In laguna è stagione di acqua alta. C’è il Mose in difesa del centro di Venezia. Ma il sistema delle dighe mobili resta al centro di interessi e gli scontri politici caratteristici di un impegno ambientale che dovrebbe essere, e quasi mai è stato, bipartisan. Nel gioco di matrioske che parte da palazzo Chigi, passa per la Regione presieduta da Luca Zaia e arriva alla giunta di palazzo Farsetti, guidata dal sindaco Luigi Brugnaro, sono stati rimescolati ruoli, aboliti commissari, istituite autorità e comitati scientifici. L’antivigilia di Natale, con oltre un anno di ritardo, è entrata in funzione la nuova Autorità per la Laguna. L’istituzione di nuovo conio avrà fra i suoi compiti principali la manutenzione delle 78 paratoie che il ministero delle infrastrutture (Mit) ha tolto a Fincantieri. L’autorità comporta l’abolizione della struttura commissariale che governava il Mose ed era stata affidata a Elisabetta Spitz cinque anni fa dal governo giallorosa all’indomani della catastrofica “acqua granda”: 187 centimetri di onda il 12 novembre 2019.
A guidare il nuovo Magistrato alle acque, storica mano operativa della Serenissima in laguna, ci sarà Roberto Rossetto, 73 anni. Laureato in architettura come il sindaco Brugnaro, Rossetto era stato nominato a novembre del 2023 su suggerimento di Zaia. Ma ci è voluto un anno perché venissero analizzati i possibili impedimenti di legge legati ai suoi numerosi incarichi precedenti. L’urbanista di San Donà è stato a lungo consulente della Regione. Ha lavorato con Anas, con la sua partecipata Cav e con la sua controllante Ferrovie per l’alta velocità a Vicenza. Ha partecipato alla realizzazione del Passante di Mestre e della Superstrada Pedemontana Veneta. In campo privato ha collaborato con il consorzio Sis della famiglia Dogliani, con la Spea dei Benetton, con la Save di Enrico Marchi e con la Mantovani, l’impresa-cardine del Consorzio Venezia Nuova che era il concessionario unico per la costruzione delle dighe mobili.
In breve tempo, Rossetto ha nominato un comitato scientifico guidato da Andrea Rinaldo, ingegnere idraulico che ha vinto tre scudetti con il Petrarca Padova di rugby. Rinaldo ha dichiarato alla Nuova Venezia che presenterà ai sette membri del comitato di gestione pareri vincolanti sulla convivenza tra il Mose e il delicatissimo ecosistema lagunare, minacciato di asfissia se le dighe bloccheranno troppo spesso le maree. Rossetto ha anche messo in evidenza quello che alcuni sottolineano da tempo. Le dighe mobili costano molto più di quanto i suoi tifosi avessero preventivato prima dell’entrata in funzione. Sono 100-120 milioni di euro all’anno, secondo il titolare dell’Autorità che ha dichiarato di disporre soltanto di 63 milioni l’anno fino al 2034. La manutenzione delle paratoie, che costa fra i due e i tre milioni al pezzo, procede molto a rilento tanto che il termine dei controlli è stato portato da cinque a dieci anni. Il centinaio di sollevamenti messo in atto in questi quattro anni comporta ogni volta una spesa di 200 mila euro alla quale si aggiungono i mancati ricavi dal blocco dell’attività portuale per la chiusura dei passaggi alle navi. E Venezia, finita l’era ad alto tasso inquinante dell’industria petrolchimica, prende la sua ricchezza da due attività: il turismo e il porto. Per non danneggiare troppo i traffici marittimi si sono viste anche chiusure parziali del Mose alle bocche di Lido-Treporti e Chioggia. Ma i risultati sono stati insoddisfacenti perché comportano rischi di accelerazione della marea dal varco aperto a Malamocco.
La questione dei finanziamenti preoccupa Brugnaro non meno dell’avviso di garanzia per lo sviluppo immobiliare dell’area dei Pili dove un ex assessore della sua giunta, Renato Boraso, ha già patteggiato una condanna per corruzione a tre anni e dieci mesi, dopo essere stato sconfessato dallo stesso sindaco. Venezia finanzia i suoi interventi sul sistema lagunare attraverso una legge speciale la cui prima stesura porta la data del 1973. Ma il rifinanziamento fissato dalla Legge di bilancio 2025 è di 5 milioni di euro, esclusi i 40 milioni affidati al Provveditorato delle opere pubbliche. In ogni caso, la somma è molto lontana dai 150 milioni l’anno per dieci anni chiesti dalla coppia Zaia-Brugnaro. Per il capitolo spese, un collegio di cinque docenti universitari sta procedendo al collaudo funzionale integrale delle dighe mobili. Nominata dall’ex commissaria Spitz il 3 novembre 2023, la struttura è composta da Ferruccio Resta, ex rettore del Politecnico di Milano, da Attilio Toscano (Bologna), da Giulio Rosati (Padova), da Massimo Sorli (Politecnico di Torino) e da Antonio Marcomini, presidente del Coordinamento ricerche sulla Laguna di Venezia (Corila). Il quintetto presenterà il suo rapporto alla fine del 2025 e per 22 mesi di lavoro percepirà 550 mila euro di compensi totali.
Il riassetto dei poteri in Laguna riguarda anche il Consorzio Venezia Nuova che per anni, sotto la guida di Piergiorgio Baita, ha dettato legge e gestito centinaia di milioni. Dopo l’inchiesta giudiziaria di dieci anni fa, il Cvn è stato messo in liquidazione a novembre 2020, quando l’allora ministra Paola De Micheli ha nominato commissario Massimo Miani. L’incarico del commercialista veneziano è complesso e riguarda l’assorbimento dei dipendenti delle società collegate al Cvn, a partire da Thetis e Comar. Il termine del lavoro è il 2025 ma le cose fra Miani e il Mit si sono guastate quando il liquidatore ha presentato una parcella di 5 milioni di euro ad aprile 2022, negli ultimi mesi del governo Draghi. Cambiato il governo, lo scontro è rimasto. Miani si è rivolto al Tar del Lazio che a maggio del 2024 ha sospeso il giudizio «fino alla definizione dell’incidente di costituzionalità». L’Alta corte ha preso in carico la questione l’11 dicembre scorso e ha fissato l’udienza all’8 aprile 2025 nominando come giudice relatore Emanuela Navarretta.
Ma in una città che non vuole vivere di solo Mose stanno arrivando soldi pubblici, come i 319 milioni di euro per il centro polifunzionale Bosco dello Sport, e privati. Sullo sfondo rimane il rapporto altalenante fra il sindaco e l’imprenditore di riferimento per l’area, Enrico Marchi. Il presidente di Banca Finint è anche il gestore degli aeroporti di Venezia, Verona e Treviso con la Save. Da non molto ha inoltre rilevato i quotidiani del Nordest che erano di proprietà del gruppo Gedi. Anche nel management Marchi ha condotto una campagna acquisti di peso. Franco Bernabè, uscito da Finint infrastrutture lo scorso novembre, è stato rimpiazzato dall’economista ex Mef, Fabrizio Pagani. Alla presidenza della controllata Finint investments Marchi ha messo l’ex comandante generale della Guardia di finanza Giuseppe Zafarana e ha ingaggiato per la comunicazione di Save il bellunese Federico D’Incà, due legislature con il M5S ed ex ministro dei rapporti con il Parlamento nel governo Conte bis. La prossima operazione in vista riguarda il capitale della Save dove i fondi Infravia e Dws hanno annunciato l’intenzione di uscire in giugno. Il candidato alla sostituzione è il fondo francese Ardian, già acquirente del gruppo Gavio, per un investimento stimato in 900 milioni di euro. Acqua alta o bassa, Venezia rimane un ottimo investimento.