Ora anche Tesla e Musk sono preoccupati per i dazi: "Alcuni componenti essenziali sono difficili o impossibili da reperire negli Stati Uniti"

La casa automobilistica fondata dal braccio destro di Trump ha scritto al dipartimento per il Commercio Usa: "Rischi di possibili ritorsioni". Il momento no dell'azienda: da inizio anno ha perso in borsa oltre il 40 per cento

Anche Tesla è preoccupata per i dazi di Donald Trump. In una lettera inviata all’ufficio del rappresentante commerciale degli Stati Uniti, Jamieson Greer, la casa automobilistica di Elon Musk si è detta preoccupata dalla possibile esposizione alla ritorsione doganale in risposta alle barriere commerciali imposte (o solo annunciate, come quelle su veicoli e componenti realizzati in tutto il mondo, che dovrebbero partire da aprile) dall’inquilino della Casa Bianca. Molte aziende statunitensi si sono già dette preoccupate dai potenziali danni che potrebbe creare la guerra commerciale scatenata da Trump, ma l’avvertimento di Tesla ha un significato diverso perché Musk non è solo il ceo della casa automobilistica, ma anche uno stretto alleato del tycoon ed esponente di spicco della nuova amministrazione americana. Il rischio – per Tesla – è che possa schizzare in alto il costo di alcuni materiali e componenti essenziali, difficilmente reperibili sul suolo americano (per esempio le batterie al litio, fondamentali per i veicoli elettrici).

 La lettera di Tesla al dipartimento del Commercio Usa

La lettera della casa automobilistica fondata da Musk è una delle tante arrivate al dipartimento del Commercio statunitense, che nelle scorse settimane ha aperto una consultazione pubblica sulle misure avviate da Trump per contrastare le prassi commerciali “inique”. Tesla sottolinea l’importanza di garantire che gli sforzi americani “non danneggino inavvertitamente le aziende statunitensi. Sebbene Tesla riconosca e sostenga l’importanza del commercio equo e solidale, la valutazione intrapresa dall’Ustr (l’ufficio del rappresentante per il Commercio, ndr) delle potenziali azioni per rettificare il commercio sleale dovrebbe tenere conto anche delle esportazioni dagli Stati Uniti”. Gli esportatori americani, si legge, “sono intrinsecamente esposti a impatti sproporzionati quando altri Paesi rispondono alle azioni commerciali degli Stati Uniti. Ad esempio, le passate azioni commerciali degli Stati Uniti hanno portato a reazioni immediate da parte dei Paesi presi di mira, tra cui un aumento delle tariffe sui veicoli elettrici importati in quei Paesi”. C’è un dato che spiega meglio questa preoccupazione: dei 97 miliardi di ricavi annui, circa la metà Tesla li genera fuori dai confini statunitensi (soprattutto in Cina).

L’azienda produttrice di veicoli elettrici scrive senza giri di parole che “alcune parti o componenti sono difficili o impossibili da reperire negli Stati Uniti”, e consiglia invece un “approccio graduale” per consentire alle aziende “di prepararsi di conseguenza e garantire che vengano adottate misure appropriate per la catena di fornitura”. Prima di Tesla, negli scorsi giorni si era mossa anche l’Autos Drive America, il gruppo che rappresenta le principali case automobilistiche straniere (come Toyota, Volkswagen, Bmw, Honda e Hyundai), mettendo in guardia sul rischio che l’imposizione di “tariffe su larga scala interromperà la produzione negli stabilimenti di assemblaggio statunitensi”.

 Il momento no di Tesla

Il rischio-dazi non è l’unica grana per Tesla e per le altre società di Elon Musk. La vicinanza a Trump gli ha permesso di guadagnare, in un solo giorno, quello dopo le elezioni del 5 novembre, 13 miliardi di dollari (con il titolo in borsa che è schizzato su del 13 per cento). Una crescita proseguita fino alla metà di dicembre, con le azioni Tesla che in meno di due mesi hanno raddoppiato il proprio valora. Ma col tempo il rapporto con Trump (che il 12 marzo, di fronte alla Casa Bianca, ha “comprato” una Tesla per appoggiare il suo grande sponsor) si sta rivelando un’arma a doppio taglio: in poche settimane Musk ha bruciato 148 miliardi di euro. Secondo l’Associazione europea dei produttori di automobili, solo a gennaio le vendite in Europa sono diminuite del 45 per cento (con picchi del 70 in Germania). In Cina – principale mercato di sbocco per l’azienda di Musk – le spedizioni a febbraio si sono contratte del 49 per cento, raggiungendo livelli mai visti dal luglio del 2022. E da inizio anno, a Wall Street, Tesla ha perso oltre il 40 per cento.

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