C’è un dato che spiega meglio di ogni parola i motivi del (quasi) passo indietro di Elon Musk dall’amministrazione Trump: la sua casa automobilistica Tesla, da cui derivano circa il 60 per cento delle entrate del magnate, ha registrato nel primo trimestre del 2025 un utile di 409 milioni di dollari, il 71 per cento in meno rispetto ai risultati dello scorso anno. Un calo dovuto in gran parte (ma non solo), come ammesso dallo stesso Musk, al “cambiamento del sentimento politico”, e che per questo lo ha spinto ad annunciare che il suo “tempo dedicato al Doge (il Dipartimento per l’efficienza amministrativa, ndr) diminuirà significativamente” a partire da maggio. Alle questioni governative dedicherà, aggiunto in una conference call in cui sono stati presentati i risultati dei primi tre mesi dell’anno, “uno o due giorni a settimana”, “finché il presidente lo vorrà e finché sarà utile”, per “assicurarmi che sprechi e frodi non si verifichino più”.
Per Tesla -71% di utile
Ma se il futuro della sua carriera politica è pieno di punti interrogativi, non si può dire lo stesso sullo stato di salute di Tesla, con tutti gli indicatori che ormai da mesi registrano il segno meno. I ricavi nel primo trimestre sono calati del 9% a 19,3 miliardi di dollari, con quelli della divisione automotive scesi del 20%. L'utile è calato del 71% a 409 milioni o 12 centesimi per azione, sotto le previsioni del mercato. L'utile operativo è sceso del 66% a 0,4 miliardi, risultando in un margine operativo del 2,1% rispetto al 5,5% dello stesso periodo dello scorso anno. Anche le vendite globali sono diminuite più drasticamente del previsto, con solo 336.681 veicoli consegnati (-13% su base annua). Accanto all’impegno politico, il freno al business di Musk è dovuto anche ai dazi annunciati (e parzialmente sospesi) da Trump: già prima del Liberation day Tesla aveva diffuso una nota con cui metteva in guardia dal rischio di non riuscire più a reperire a prezzi di mercato componentistica prodotta al di fuori dei confini statunitensi. E non è un mistero che il patron di Tesla sia stato tra i più insistenti con il presidente Usa affinché allentasse le misure protezionistiche, e che quest’attivismo l’ha portato a scontrarsi duramente con il consigliere al Commercio, tra i principali ideologi del nuovo corso economico americano. "L'incertezza sui mercati automobilistico ed energetico continua ad aumentare perché la rapida evoluzione delle politiche commerciali influisce negativamente sulla catena di approvvigionamento globale e sulla struttura dei costi di Tesla e delle nostre rivali”, ha spiegato il colosso delle auto elettriche. Comunque, l’annuncio di Musk un primo effetto ce l’ha avuto, con i titoli di Tesla a Wall Street che hanno guadagnato quasi il 4%.
Trump, tra Cina e Powell
Intanto Trump, parlando con i giornalisti nello Studio Ovale della Casa Bianca, ha rivendicato che l’economia americana sta “andando molto bene. Vedo che il mercato azionario è cresciuto, ma questo - ha ammesso - è un periodo di transizione e ci vorrà un po’”. Il tycoon ha poi anche spiegato che “alla fine ridurrà i dazi sulla Cina, ma non a zero. Il 145% è molto alto, e non sarà sempre così alto. Nemmeno lontananente così alto. Scenderà sostanzialmente, ma non sarà a zero”, ha assicurato senza però sbilanciarsi né sui tempi e né sull’ammontare delle imposte doganali. Trump ha anche spiegato, dopo che anche il Fondo monetario internazionale l’ha richiamato su questo punto, di non avere “alcuna intenzione” di licenziare il capo della Fed, Jerome Powell, “colpevole” a suo dire di non aver ancora abbassato i tassi di interesse, come invece ha scelto di fare la Banca centrale europea con Christine Lagarde.