terrorismo
Turchia, così lontana, così vicina. Is, Pkk, Israele e Assad: i fronti aperti di Erdogan
Istanbul ha subito un attacco che sembra ricalcare quello all'aeroporto di Bruxelles del 22 marzo. Nella Mezzaluna il presidente si deve confrontare con più focolai, dai curdi al fronte jihadista. E intanto il Paese si allontana dall'Europa, inghiottito da problemi interni ed esterni, e i suoi morti non fanno notizia
Istanbul e l’Europa sono più vicine di quello che si vuol credere. Almeno dopo l’attentato all’aeroporto internazionale Ataturk costato la vita a 41 persone e che ha causato oltre 230 feriti. Vicine perché dai primi minuti dopo l’attacco, avvenuto alle 22 locali (le 21 italiane), gli elementi che rimbalzavano su social network e agenzie ricalcavano quelli del terribile attentato di Bruxelles a marzo, 32 i morti quel giorno. In quel caso Is rivendicò. Per ora tutto tace. Nel giorno in cui l'organizzazione festeggia i due anni dell'autoproclamazione del Califfato di Abu Bakr al Baghdadi.
Ma abbiamo uno scalo internazionale, simbolo della circolazione mondiale da est ed ovest, il quinto in Europa per numero di passeggeri. Abbiamo alcuni kamikaze, armati e dotati di cinture esplosive. Le misure di sicurezza, seppur di alto livello, non hanno impedito che gli attentatori arrivassero in taxi allo scalo si dirigessero fino all’area controlli per farsi saltare in aria.
Europa e Turchia sono vicine anche perché per Istanbul un attacco del genere è cosa nuova. La città turca oggi conosce uno sconforto simile al dopo Brexelles, al dopo Parigi, di nuovo nel mirino dopo le nuove minacce al settimanale Charlie Hebdo. Questo attacco è ben diverso dagli attentati che nell’ultimo anno hanno interessato la città del Bosforo. L’ultimo in ordine di tempo è stato a giugno quando un’autobomba è esplosa al passaggio di un bus della polizia causando 11 morti e 36 feriti. Un attentato poi rivendicato dal Pkk, il movimento politico-militare che combatte per una maggiore autonomia della minoranza curda. E vicino al fratello curdo-siriano Ypg.
Il 2016 si era aperto con una strage di turisti di fronte a Sultanahmet, la piazza dove sorgono due delle più importanti moschee di Turchia: Aya Sofia e la Moschea Blu. In quel caso fu colpito un gruppo di tedeschi: 12 le vittime dell’esplosione, causata anche in quel caso da un kamikaze.
La Turchia non è nuova alle minacce di Is e i rapporti con lo Stato Islamico sono ambigui. E non è nuova agli attentati terroristici di matrice fondamentalista. Nel 2003 Al Qaeda colpì due volte con autobombe: una vicino alla sinagoga di Istanbul, l’altra di fronte al Consolato generale del Regno Unito. In totale 60 morti e quasi 800 feriti. Dalla sua Erdogan ha sempre rivendicato la dura battaglia di Ankara contro Daesh. Poi quelli di Is a Suruc e Ankara, dello scorso 20 luglio e 10 ottobre, in cui persero la vita rispettivamente 31 e 103 persone.
Da gennaio alla frontiera con la Siria sono stati fermati 388 presunti jihadisti dello Stato islamico e dall’inizio della lotta all’Is in Siria e Iraq sono stati uccisi almeno 3.000 jihadisti. Ad Ankara sono detenuti oltre 460 militanti, 199 arrestati nel 2016, su un totale di quasi 900 sospetti fermati.
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Ma è proprio dal paese della Mezzaluna che negli ultimi anni si è aperto il “corridoio del terrore” da cui passano gli jihadisti per l'Europa e i cosiddetti “foreign fighters” che entrano in territorio siriano per combattere contro il regime di Bashar Assad. Il presidente turco è poi intimorito dalla guerra in Siria per via dei curdi dell'Ypg che combattono a fianco della coalizione statunitense. Mai vorrebbe la creazione di un territorio autonomo curdo.
A queste situazioni in mutazione si aggiungono i numerosi attacchi che avvengono nel sud-est del paese e che quasi mai rimbalzano sui giornali europei. Perché proprio in quelle zone c’è uno dei fronti aperti del governo turco, uno di quelli mai risolti nel Paese, quello con i curdi del Pkk. E’ stato un anno difficile finora. Erdogan da tempo porta avanti una battaglia contro il partito considerato in Turchia una cellula terroristica. Il territorio curdo è ormai schiacciato: intere città al confine siriano sotto coprifuoco da mesi. Controllate a vista dall'esercito turco, che non manca di far ricorso alle armi, bombardando le città della provincia di Diyarbakir. A pagare il prezzo della repressione spesso sono i civili.
Il presidente turco ha interrotto dopo tre anni i negoziati di pace con il Pkk, iniziati nel 2013, dopo che il movimento è tornato a colpire nel 2015 con nuovi attacchi. Questo in concomitanza con la vittoria del partito filo-curdo Hdp che è diventato forte dopo le ultime elezioni: ha superato per la prima volta nella sua storia la soglia di sbarramento del 10 per cento per entrare in Parlamento, conquistando il 13 per cento e diventando così il terzo partito del Paese.
Questo ha fatto perdere terreno al saldo Akp, il partito della Giustizia e dello Sviluppo, del presidente Erdogan che si è fatto scippare così la maggioranza assoluta in Parlamento. Per questa incertezza politica infatti il paese era tornato a votare a novembre. Meglio non va sul fronte delle alleanze interne: l'ex storico alleato di Erdogan, Fethullah Gulen è in esilio negli Stati Uniti, ma ancora alla guida del movimento Hizmet, accusato di terrorismo. La galassia di televisioni e giornali di proprietà di Gulen, negli ultimi mesi, è stata chiusa dal governo.
La settimana era iniziata bene per Ankara. Nello stesso giorno Erdogan ha allungato la mano a Russia e Israele. Un primo passo con Mosca l’aveva fatto proprio il presidente turco, facendo gli auguri allo 'zar' Putin nel giorno della festa nazionale russa; quello decisivo però è arrivato con le scuse tanto attese per l’abbattimento del jet russo al confine con la Siria. Avvenuto, secondo Ankara, mentre il velivolo si trovava nello spazio aereo turco. Da lì l’augurio di un futuro di “rapporti amichevoli”. Gli investigatori turchi ora non escludono che il riavvicinamento con i due paesi possa essere alla radice dell'attentato.
Con il governo israeliano di Benjamin Netanyahu si è chiusa invece una crisi diplomatica durata sei anni e nata dopo l’uccisione di nove attivisti filo-palestinesi turchi sulla nave Mavi Marmara da parte di militari israeliani.
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Ma anche qui il Sultano è vago. La Russia da tempo accusa Erdogan di sostenere la battaglia armata di Is: con immagini satellitari il governo di Mosca aveva mostrato un traffico di armi, mezzi militari e petrolio lungo la frontiera turca. Le pagine del quotidiano turco Cumhuryet, diretto da Can Dundar, avevano raccontato di armi inviate in Siria e scortate proprio dai servizi segreti turchi. Dundar e il caporedattore del giornale Erdem Gül sono stati per questo condannati a 92 giorni di carcere, con l’accusa di spionaggio, minaccia alla sicurezza dello Stato e sostegno ai gruppi terroristici armati.
E se con Pkk, Is e Assad i guai non finiscono, il presidente sembra schiacciato anche da ovest. Sono stati infatti anche i giorni della visita di Papa Francesco in Armenia. Infiammata dall’uso della parola “genocidio” da parte del pontefice che ha ricordato la tragedia durante la Prima Guerra Mondiale: la deportazione e uccisione sistematica di 250.000 (c’è chi ne ha calcolate 500.000, un milione e mezzo secondo gli armeni) persone di etnia armena. “Una mentalità da crociata” l’ha definita il vicepremier turco, Nurettin Canikli “ e che non corrisponde a realtà”. Da sempre il governo turco nega che il massacro sia stato un genocidio pianificato.
Questa instabilità sta costando carissima, in termini economici, alla Turchia. Sopratutto per il collasso del turismo. Il Paese vicino solo qualche ora di aereo, circa tre dall’Italia, ormai è ad anni luce. Gli arrivi dall’estero negli ultimi due mesi sono diminuiti quasi del 35 per cento rispetto allo stesso periodo del 2015. Mai così male dagli anni Novanta. Un crollo netto che ha interessato in primis i visitarori russi, che da sempre popolano le spiagge chiare e chiassose del sud ovest del paese: meno 92 per cento in un anno per colpa della “guerra fredda” con Putin per via del jet abbattuto.
Incerti e mutevoli, infine, i tanto sperati negoziati con l’Europa. Iniziati dieci anni fa e da due mesi in stallo per la mancata soddisfazione di alcuni criteri richiesti dalla Commissione. Sembrano essersi aggiunti chilometri tra noi e le distese di origine vulcanica della Cappadocia, e le acque limpide del Mediterraneo. Distanti gli odori dei caffè e bazar dell’antica Costantinopoli. Lontani, ma almeno per oggi tremendamente vicini.