Senza Formigoni e Lupi la rete di Cl è più forte di prima
Al meeting di Rimini parlano di politica. Ma persi i vecchi referenti, il sistema si è riorganizzato attorno al cardinale Scola. E fa affari, dalla sanità alle banche
di Vittorio Malagutti
29 agosto 2016
Don Julian Carron, presidente di Comunione e Liberazione, rende omaggio al PapaFrancesco Bernardi è un ciellino tutto d’un pezzo, il tipo di imprenditore che da sempre rivendica con orgoglio la sua vicinanza al movimento fondato da don Luigi Giussani. Non per niente, al Meeting di Rimini appena concluso, una sala conferenze era intitolata a Illumia, l’azienda fondata e diretta da Bernardi. Questa volta però, a differenza delle tre precedenti edizioni, l’uomo d’affari bolognese non ha parlato dal palco dell’happening di Cl, discettando di welfare, monopolio elettrico o del valore sociale dell’impresa. E il marchio Illumia non figurava più nel club dei maggiori finanziatori dell’evento. Un club che si è ristretto, quest’anno. Tra i partner ufficiali che si sono sfilati, ce ne sono almeno due, Ferrovie dello Stato e Finmeccanica, che dipendono dalla politica e maneggiano denaro pubblico.
A Rimini, insomma, il borsino degli sponsor segnava ribasso. E anche altre assenze eccellenti all’annuale raduno ciellino, come quella del premier Matteo Renzi, finiscono per accreditare l’immagine di un movimento che ha perso quota nei palazzi del potere, di una lobby alla ricerca di nuovi punti di riferimento in politica dopo l’eclisse di due star come il governatore lombardo Roberto Formigoni, finito nella polvere delle inchieste giudiziarie, e l’ex ministro Maurizio Lupi, costretto alle dimissioni l’anno scorso. Questa, però, è solo la facciata di un palazzo che resta ben più solido di quanto può apparire a prima vista. La macchina degli affari gira ancora alla grande, compatibilmente con un’economia che stenta a ripartire.
Nel nome della sussidiarietà e del no profit, una pletora di fondazioni si sono trasformate in un eccezionale volano di business. E poi c’è la rete capillare della Compagnia delle opere (Cdo), forte soprattutto nel nord produttivo da Varese a Brescia passando per la Brianza con migliaia di aziende associate. A Milano, per dire, le imprese targate Cdo sono riuscite ad agganciarsi al treno di Expo. Un successo che ha fruttato commesse e profitti. E non solo. L’intesa affaristica ha avuto un’immediata ricaduta politica.
Nel maggio scorso, i voti di una parte del mondo ciellino sono stati determinanti per eleggere a sindaco di Milano il candidato del Pd, Giuseppe Sala, che aveva appena smesso gli abiti da commissario unico dell’Esposizione universale. Del resto, sin dai tempi del fondatore don Giussani, a lungo professore all’Università Cattolica, la crescita di Comunione e Liberazione ha trovato terreno fertile nel capoluogo lombardo. Con gli anni, insieme ai militanti si sono moltiplicati anche gli affari. La caduta di Formigoni ha scosso dalle fondamenta un gruppo di potere che ha fatto il bello e il cattivo tempo per quasi un ventennio.
Il crollo, però, non ha travolto tutto e tutti. Un imprenditore come Antonio Intiglietta, da sempre legatissimo all’ex governatore con targa Cl, ha visto aumentare ancora il fatturato milionario della sua creatura, l’Artigiano in fiera, gigantesco mercato prenatalizio con più di un milione di visitatori nei dieci giorni di esposizione. Una vera macchina da soldi: nel 2015 la Gefi spa di Intiglietta ha guadagnato oltre 2 milioni di euro su circa 17 milioni di giro d’affari. D’altra parte il sistema di potere ciellino, orfano di Formigoni, si è ben presto riorganizzato intorno al cardinale Angelo Scola, nominato cinque anni fa arcivescovo di Milano al posto di Dionigi Tettamanzi. Scola, che è entrato in seminario solo a 26 anni, ha trovato la sua vocazione anche grazie all’insegnamento di don Giussani di cui è stato allievo e poi grande amico.
Non è una sorpresa, allora, che l’attuale capo della diocesi ambrosiana, fino al 2011 titolare del patriarcato di Venezia, sia sempre stato considerato molto più che un semplice simpatizzante di Comunione e Liberazione. A Milano, e anche a Roma, negli ambienti di curia si sussurra che il “cardinale ciellino” non sia esattamente tra i favoriti di papa Francesco. Sarà anche vero, quindi, che Scola è costretto a giocare in difesa. Di sicuro però l’arcivescovo lombardo è riuscito a rafforzare la presa sull’Università Cattolica e sulla principale attività economica di quest’ultima, ovvero il Policlinico Gemelli di Roma. Cinque anni fa, l’allora segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone voleva portare il grande ospedale della Capitale sotto il controllo diretto della Santa Sede. Attacco respinto.
L'ASCESA DEI DUE BANCHIERI Nel 2015 il controllo del Gemelli, che vale oltre 600 milioni di giro d’affari, è stato affidato a una neonata Fondazione, partecipata dall’Università Cattolica insieme all’istituto Toniolo, cioè l’ente a cui fa capo l’ateneo milanese. Questo riassetto ha coinciso con l’ascesa di due uomini di finanza, due banchieri, considerati molto vicini a Scola. Il primo è Giovanni Raimondi, 58 anni, una lunga carriera alle spalle cominciata come agente di cambio alla Borsa di Milano. L’altro, il veneto Carlo Fratta Pasini, classe 1956, è appena stato designato al vertice della terza banca italiana, il nuovo istituto che nascerà dalla fusione tra la Popolare di Milano e il veronese Banco Popolare.
Quando l’anno scorso Raimondi ha conquistato la presidenza della neonata Fondazione Policlinico Gemelli, le fonti ufficiali accreditarono uno scarno curriculum in cui si menzionavano gli incarichi nel consiglio di amministrazione dell’istituto Toniolo e dell’Università Cattolica. Nessuno ha però ricordato che quel manager tanto apprezzato da Scola ha lavorato a lungo nelle file del gruppo di Salvatore Ligresti, travolto tre anni fa dalle inchieste giudiziarie e dalle perdite di bilancio. Tra il 2006 e il 2013 il nome di Raimondi compare tra gli amministratori di diverse società, anche in Svizzera, che all’epoca erano controllate dalla famiglia Ligresti. Per esempio Banca Sai e Gesfid, un piccolo istituto di credito con base a Lugano.
L’attuale presidente del Policlinico Gemelli è attivo anche come imprenditore in proprio. Possiede una holding che si chiama Pia, un nome che è tutto un programma vista la vicinanza alla Chiesa del maggiore azionista. Pia viaggia anche con targa svizzera. Il 10 per cento del suo capitale risulta infatti intestato alla Vicos, una società di Lugano. Raimondi è ben conosciuto nel mondo ristretto della finanza milanese. Una ventina d’anni fa lavorava come agente di cambio e una volta chiusa la parentesi alle dipendenze dei Ligresti ha collezionato poltrone in serie. Lo troviamo per esempio alla presidenza di Castello sgr, una società di gestione di fondi immobiliari che amministra un patrimonio superiore al miliardo di euro. Anche questo è un affare di Curia. L’azionista più importante di Castello sgr è l’Istituto atesino di sviluppo (Isa), una finanziaria che fa riferimento alla diocesi di Trento.
GLI INTRECCI CON LE POPOLARI Sul corso dell’Adige si specchia anche la carriera del veronese Fratta Pasini, che al pari di Raimondi è stato chiamato da Scola tra gli amministratori dell’istituto Toniolo e dei due grandi enti che da questo dipendono, la Fondazione Policlinico Gemelli e l’Università Cattolica. A dire il vero è difficile incasellare il banchiere del Banco Popolare come un semplice sostenitore di Comunione e Liberazione. In passato gli è stata più volte attribuita anche una frequentazione assidua delle stanze dell’Opus Dei. Certo è che il rapporto con l’arcivescovo di Milano risale almeno al 2008, quando Scola, allora patriarca di Venezia, istituì la Fondazione Marcianum, che aveva tra i suoi promotori e (finanziatori) anche il Banco Popolare, con sede a Verona, presieduto da Fratta Pasini.
Negli otto anni successivi è accaduto di tutto nel mondo del credito, tra crolli di Borsa e bilanci in rosso. Un tunnel di guai che portato il banchiere veneto a negoziare un’alleanza con la Popolare di Milano. Dopo mesi di trattative, la fusione attende solo il via libera definitivo delle assemblee dei soci, probabilmente entro dicembre, ma gli accordi preliminari prevedono che sarà proprio il manager amico di Scola a presiedere il nuovo grande istituto. Un record, se vogliamo.
Fratta Pasini è da un ventennio al vertice della banca di Verona e nonostante i risultati tutt’altro che brillanti degli anni scorsi, con un filotto di bilanci in rosso, il manager cattolico è riuscito a salvare la poltrona. L’integrazione tra le due Popolari, prevedono gli esperti, sarà tutt’altro che facile. Con Milano che parte da una posizione ben più solida rispetto all’alleato. Fratta Pasini però, grazie al suo rapporto diretto con l’arcivescovo, può contare su una sponda eccellente nel capoluogo lombardo.
Nell’organigramma di vertice del nuovo polo creditizio trova posto anche un altro ciellino militante come Graziano Tarantini, presidente di Banca Akros, controllata dalla Popolare di Milano. Origini abruzzesi, cresciuto a Brescia, fondatore della locale Compagnia delle opere, Tarantini è da un ventennio in prima linea tra incarichi di ogni tipo. Uno su tutti: la presidenza del consiglio di gestione di A2A, l’ex municipalizzata dell’energia di Milano unita con quella di Brescia e quotata in Borsa. Due anni fa, un rimpasto in consiglio lo ha costretto a fare un passo indietro, ma l’avvocato ciellino resta il terminale di un sistema di relazioni e di interessi che riconducono a un indirizzo di Milano, nella centralissima via Larga. Qui, in un palazzo a due passi dal Duomo, ha sede lo studio Gft, specializzato in consulenza legale e societaria. Tra i partner dell’iniziativa, insieme a Tarantini, compare anche il commercialista Paolo Fumagalli, un altro nome importante nella nomenklatura di Comunione e Liberazione.
Negli anni scorsi, Fumagalli si era fatto strada anche a Roma, approdando al collegio sindacale dell’Eni e della Cassa depositi e prestiti. Due nomine che risalgono ai governi berlusconiani con Tremonti al ministero dell’Economia. Chiusa quella stagione, e perse le relative poltrone, il socio di Tarantini si è aperto un varco nel mondo delle coop rosse. Su indicazione dei fondi d’investimento, Fumagalli è stato chiamato tra i revisori incaricati di vigilare sui conti di UnipolSai, il grande gruppo assicurativo che fa capo alla Lega delle cooperative. Fin qui gli incarichi ai piani alti della finanza, ma la coppia Fumagalli-Tarantini è molto attiva anche su altri fronti più lontani dai riflettori delle cronache. I due professionisti controllano insieme la piccola holding Capfin a cui fa capo un’altra società, la Bfs partner, specializzata, si legge nelle carte sociali, in “mediazione creditizia”. In pratica mette in contatto imprenditori a caccia di prestiti con le banche e propone formule ad hoc di finanziamento.
Gli affari, a quanto pare, vanno più che bene: in bilancio ci sono utili accantonati a riserva per un paio di milioni. Da dove arrivano i clienti della società di mediazione? Manco a dirlo dalla Compagnia delle opere, che propone ai propri associati i servizi di Bfs. Alla fine quindi, a guadagnarci sono i professionisti ciellini Fumagalli e Tarantini. Ma non solo loro. Al capitale di Bfs partecipa anche la Fondazione educazione e sviluppo, sede a Milano nello steso palazzo dello studio Gft, presieduta da tale Giuseppe Di Masi. E quest’ultimo è un legale che lavora con Alberto Sciumé, avvocato milanese noto anche per la sua lunga frequentazione con l’ex governatore lombardo Formigoni. Le poltrone passano, gli affari restano.