Pubblicità
Archivio
aprile, 2019

M5S, la carica degli onorevoli nessuno: umiliati, vessati e campioni di gaffe

m5s-jpg
m5s-jpg

Dovevano cambiare tutto, sono la nuova palude. Vi raccontiamo le tragiche disavventure dei parlamentari a 5 stelle da cui dipende la vita della legislatura. E su cui pende il dramma collettivo: non essere rieletti

m5s-jpg


Dovevano essere i giacobini, invece sono gli spettri, i fantasmi, le anime morte. Sono, letteralmente, la maggioranza silenziosa e indistinta: una nuova «palude» - si chiamava così il gruppo più moderato e più numeroso, anche al tempo della rivoluzione francese. Trainati da Salvini e dalla sua volontà di potenza, messi sotto tiro dal Pd, i 327 parlamentari grillini hanno invaso Montecitorio e Palazzo Madama un anno fa, il 23 marzo 2018, prima seduta delle Camere dopo il voto trionfale del 4 marzo. Oggi rappresentano la quintessenza di questa legislatura recitata a soggetto. Il correlato collettivo del premier Conte (chi era costui?). Sono quelli che, avvicinandosi il vaticinato crollo delle Europee, finalmente entrano al ristorante di Montecitorio, ormai aggirati i divieti di un tempo: dopo il decreto sicurezza, vale tutto. Quelli che vagolano per la buvette del Senato addentando una crostata, nel giorno in cui, appena votato per il salvataggio di Matteo Salvini dal processo sulla Diciotti, si sono ritrovati in manette il loro presidente dell’assemblea capitolina, Marcello De Vito. Quelli - sempre più numerosi - che sanno che non torneranno: i sei della Basilicata, i quindici della Sardegna, gli undici dell’Abruzzo e gli altri eletti nelle regioni dove i consensi in meno di un anno si sono più che dimezzati (in media dal 40 al 20 per cento) e che fanno da memento a tutti gli altri fanti pentastellati. A partire dal Piemonte, dove si vota in maggio. Quanto durerà?

GREGGE FANTOZZIANO
Stretto tra Lega e sinistra, il gregge grillino non sembra però prossimo a colpi di scena, o clamorosi cambi di casacca. Difficilmente tra loro ci saranno i nuovi responsabili: non hanno il pelo sullo stomaco, l’autonomia, la struttura. Più che degli Scilipoti, dei De Gregorio, o addirittura dei Cossiga in erba, sembrano dei ragionier Fantozzi. Tragicamente ligi, curvi sotto il peso di soverchianti responsabilità che, per lo più, non sanno come gestire - hanno il vaglio preventivo dei vertici pure su interpellanze e interrogazioni. «Non sanno le cose, e non studiano. O comunque non abbastanza. A volte mi sono sentito rispondere: e che ne so, me lo ha scritto l’assistente», è uno degli sfoghi che si possono raccogliere da chi si trova a lavorarci insieme nelle varie Commissioni.

Il numero
Il problema cronico del Movimento 5 Stelle con le elezioni regionali
2/4/2019
Svogliati, dunque obbedientissimi. Più di tutti gli altri gruppi, secondo le statistiche, meglio di loro solo i leghisti. Su circa tremila votazioni che sono state fatte in un anno, infatti, alla Camera i grillini si sono espressi in maniera discordante dalle indicazioni del gruppo meno di una volta a testa (0,7 per la precisione). Su 220 deputati (di cui 151 al primo mandato) 149 hanno votato in dissenso mai, neanche una volta. Per un confronto: ciascun deputato di Forza Italia ha votato in dissenso 17, 7 volte (venti in più rispetto ai grillini).

Pressoché inattaccabili, da questo punto di vista. Tanto che al Senato la semplice esistenza di dissidenti come Elena Fattori fa sballare le percentuali. Su 107 eletti (di cui 69 al primo incarico), una media di 5,6 voti in dissenso a testa (sempre per paragone: i senatori di Forza Italia ne totalizzano 89 ciascuno). Insomma dalle parti dei Cinque Stelle è facile essere un rivoluzionario: basta votare in modo diverso un paio di volte. A Gregorio De Falco e Saverio De Bonis, i due espulsi del Senato in questa legislatura, è stata sufficiente la contrarietà sul decreto sicurezza. E in effetti le fuoriuscite, finora, sono pochissime: oltre ai due senatori c’è il velista Andrea Mura, che rivendicò con orgoglio le proprie assenze, e l’iscrizione a Forza Italia di Matteo Dall’Osso. Pochi, se si pensa che la zona Siberia degli ex, dal 2012 a oggi, totalizza ottanta persone.

SGUARDO VITREO
Del resto, per capire quale sia il clima, basta vedere le scenette che sono allestite in caso di dissidenza. Nel giorno del voto su Salvini, Elena Fattori ha espresso la sua contrarietà avendo alla sinistra un Francesco Mollame che, seduto, faceva lo sguardo vitreo in stile mi-vedete-ma-non-sono-davvero-qui (eppure è recordman di presente: 99,76 per cento). E prima di lei Paola Nugnes ha parlato di «diritti umani compressi» avendo sulla sua destra una Virginia La Mura intenta nel medesimo sguardo (sono specializzati, forse c’è un corso), mentre alla sua sinistra l’onnipresente Gianluigi Paragone era in piedi, a braccia conserte, minaccioso stile Bravo manzoniano (ma lui dice di averlo fatto «per solidarietà». Nobile).
Analisi
Mettetevelo in testa: onestà e competenza non bastano per governare
2/4/2019

Avendo una impostazione made in Casalino e dunque spiccatamente televisiva, in effetti, stanno sempre molto attenti a cosa c’è nell’inquadratura, ovvero a chi circonda il parlamentare che parla. Persino il 7 novembre, quando il senatore Sergio Puglia, baffetti, cravattino e cardigan rosso, fu beccato a fare le prove del suo discorso seduto sul suo scranno (con le pause, le faccette e tutto: uno spasso) proprio mentre stava intervenendo in Aula il leghista Campari, ebbene persino allora i suoi vicini erano compresi nella messa in scena. Gianni Pietro Girotto, alla sua sinistra, mimava pure gli applausi.

NON TORNERANNO
La loro tragedia è che non torneranno: ligi come Fantozzi, sì, ma col contratto a termine. Sulla piattaforma Rousseau si sta discutendo il superamento del tetto del doppio mandato: potrebbe facilitarli, ma non è tanto quello il punto. Piuttosto, a far paura è il crollo dei voti, le sette elezioni perse nell’ultimo anno in giro per l’Italia. Percentuali che fanno tremare le vene a gente come Luciano Cillis, agronomo, ex mastelliano, e agli altri cinque parlamentari eletti con il 44 per cento in una Basilicata che lo scorso weekend ai grillini ha dato solo il 20 per cento, meno della metà dei voti; come il pastore Luciano Cadeddu e gli altri 14 della Sardegna, dove si è passati dal 42 per cento del 2018 all’11 per cento di febbraio. Tremano gli undici dell’Abruzzo, in cui si è scesi dal 39 delle politiche al 20 per cento delle ultime regionali. E non si sentono tanto bene nemmeno i 12 del Piemonte, la regione dove nel 2014 M5S ha ottenuto il 21 per cento, nel 2018 alle politiche ha sfiorato il 30 per cento e che alle prossime regionali di maggio «difficilmente andrà molto oltre il 10», come ha sussurrato qualche settimana fa Michele Dell’Orco in Transatlantico.

TERRORE E STRATEGIE
Di qui, terrore da un lato, strategie dall’altro. Il terrore è implicito, pari solo alla misura della distanza tra la vita prima del Parlamento e quella attuale (un abisso, per molti). Per le strategie, si fa quel che si può. Più che fantomatici gruppi di responsabili (Silvio Berlusconi a un certo punto parlò addirittura di uno scouting), fa molto la fascinazione nei confronti del Salvini-mondo. La senatrice Gabriella Di Girolamo, eletta in Abruzzo, ad esempio, pubblica forsennata selfie con l’allievo di Savona, Antonio Maria Rinaldi, dicendosene affascinatissima. L’area sovranista di Borghi e Bagnai suscita del resto grande interesse sui Cinque Stelle. Gli ex ultra della prima ora sono diventati tutti sovranisti. Come Paolo Becchi, che ha intitolato il suo ultimo libro “Italia sovrana” e ormai parla solo (e bene) del segretario leghista. O l’ex responsabile della comunicazione Claudio Messora, che nella sua web tv byoblu dà costantemente voce a questa area no euro. Mentre il senatore Elio Lannutti cuoricina su twitter ogni uscita di Rinaldi. E Mario Improta detto Marione, già grillino purissimo, è ormai perfettamente a cavallo. Sull’assenza di Alessandro Di Battista dai social ha fatto una vignetta, in cui Dibba ha un bavaglio a Cinque Stelle e dice: Giuro che non dirò mai più a Salvini di non rompere i ...». Bella atmosfera, no?

I FASTI DEL PASSATO
Oltreché fosca, la seconda legislatura grillina è mesta: un Secondo tragico Fantozzi. I primi arrivati erano più euforici, uscivano, tiravano tardi. I secondi molto più grigi, e ricordiamo che rappresentano circa il 65 per cento del totale, quindi fanno il clima. Si favoleggia, a paragone, di una serata organizzata nella scorsa legislatura in casa di un deputato grillino, proprio alle spalle di Montecitorio, nello stesso edificio dove abitava pure il piddino Andrea Orlando, all’epoca ministro. Bicchieri, musica, frizzi e lazzi, stile festa di studenti: una atmosfera talmente alterata che persino un tipo che non disdegna il divertimento come appunto Orlando, pur invitato a partecipare, a un certo punto si dissolse con cortesia. Molto inferiore l’intraprendenza in questa seconda infornata, pur segnalandosi casi come quelli di Marianna Iori e Angela Masi, intente a ballare la danza del ventre all’ultima festa sul barcone di Luigi Di Maio.

Gli eletti restano pesci fuori dall’acqua. Nessuno emerge, ed è pure più difficile, perché stando in maggioranza, si ragiona in Transatlantico, devono evitare il più possibile di rallentare i lavori parlamentari: zitti e votare, rischiano di non parlare mai. Non possono nemmeno esercitarsi a fare i tribuni dall’opposizione - anche se qualcuno, come la deputata Yana Chiara Ehm, continua a farla, accusando il governo ad esempio di non aver fatto nulla per scoprire la verità su Giulio Regeni («ma adesso sei tu al governo», le urlano dall’opposizione).
Schermata-2019-03-28-alle-15-43-15-png

Bisogna anche dire che, col tempo, il controllo sui parlamentari si è fatto sempre più preciso. E anche più efficace, vista la sostanziale tendenza Carneade dell’intero gruppo. Ci sono casi di pubblica umiliazione, come quella cui si è volentieri prestato il deputato sardo Andrea Vallascas. Assente il giorno della votazione finale sulla manovra, è stato oggetto di una nota, inviata all’agenzia di stampa Ansa, in cui i vertici M5S con tanto di elenco di nomi chiedevano una «esaustiva delucidazione in merito» alla mancata presenza sua e di altri nove colleghi. Ecco la nota vergata da Vallascas su Facebook: «Oggi, con dispiacere, non ho potuto partecipare alla votazione finale della manovra del cambiamento per problemi di salute, (…) benché avessi già fornito indicazioni al mio capogruppo, ho ritenuto opportuno fornire delucidazioni a voi tutti. Ci tengo in modo particolare, perché ho sempre fatto della mia partecipazione ai lavori della Camera una priorità su ogni aspetto della mia vita, il giorno dopo che mia figlia è nata ero in aereo per tornare a Roma e quando il mio impegno mi ha chiamato non ho mai mancato dal rispondere, anche sacrificando, come tanti altri lavoratori, i miei affetti. Questo per intendere che la mia assenza in questi giorni non è un prolungamento o anticipo di vacanza». Roba da far impallidire il ragionier Ugo Fantozzi, murato vivo in un bagno della sua azienda e tirato fuori dalla telefonata della signora Pina: «Volevo fare umilmente osservare che non ho più notizie di mio marito da diciotto giorni». Un Vallascas, praticamente.

MOZIONE TONINELLI
Non serve notorietà, in questa legislatura che può sempre contare sui big che ha costruito tra il 2013 e il 2018. Non è un caso quindi che gli unici personaggi a emergere dal grigiore siano titolari di gaffe. Modello Toninelli, ai confini della realtà. Uno dei capofila è Riccardo Olgiati, autore dell’immortale pronuncia “Uensmaister” (Westminster). Ultrà dell’Inter, oggi calciatore nella nazionale parlamentari, quando faceva il consigliere comunale a Legnano si vantò sui social di aver imbrogliato il vigile, mettendo sotto il parabrezza della propria auto una sua vecchia multa.
Schermata-2019-03-26-alle-12-18-09-png

Bacchettato dalla rete, promise che non averebbe riscosso il successivo gettone al comune per ripianare il danno inferto alle casse comunali. Cotanta onestà gli valse il posto in Parlamento, nonché l’onore, in autunno, di vedersi officiare il matrimonio da Stefano Buffagni in persona (ci sono anche le foto). Su twitter restano tracce dell’era pre Casalino: come quando, tre mesi prima di essere eletto, con raro senso della fase politica intimò a Carlo Sibilia: «Se chiudi il tuo profilo ci fai guadagnare due punti».
[[ge:rep-locali:espresso:285329478]]
Tra congiuntivi fallati e strafalcioni a ripetizione, la cosa interessante - e forse spaventosa - è constatare che nessuno però si preoccupa di correggere o insegnare: strano, al limite del dolo, visto che è sempre stata nella logica della Casaleggio la pratica di fare corsi ai nuovi arrivati (c’è anche la famosa coach tv, Silvia Virgulti).

Ecco, difficile li abbia fatti Maria Luisa Faro, 32 anni, una agenzia di viaggi a San Nicandro Garganico (reddito dichiarato 2017: 11 mila euro), che lunedì scorso, leggendo il suo discorso, ha parlato di «stime iniziali della banchbenk», intendendo pronunciare la tedesca Bundesbank, come si evince dai pietosi (nel senso di pietas) resoconti ufficiali di Montecitorio. Il dettaglio inquietante è che Faro siede in commissione Bilancio, dove ricopre la carica di capogruppo Cinque Stelle, motivo per il quale la “Gazzetta del Mezzogiorno”, intervistandola, parlò di lei come di una che aveva «bruciato le tappe».
[[ge:rep-locali:espresso:285329461]]

Fa parte di diritto del gruppo anche la deputata Teresa Manzo da Castellammare di Stabia, che a fine anno inanellò talmente tanti strafalcioni nel suo intervento da meritarsi il video a “Un giorno da pecora”. Sfilava agile il suo italiano alternativo: «popularsi» di opinioni, vitalizi «a sbaffo», Jobs act che «ha precariato» i lavoratori, persone che «se ne sono dovute andare a cercare maggior ricchezza e maggior dettaglio in un altro paese», fino alla promessa: «Toglieremo i giovani da quel divano, che erano stati messi lì, a parcheggio». Capolavoro. Intervistata dal “Corriere del Mezzogiorno”, chiarì di essere «una persona molto puntigliosa», che ama «dare un riscatto all’Italia». Concluse dicendo di voler essere ricordata come una che aveva «mantenuto le promesse, contribuendo a fare dell’Italia un paese autoritario» - autorevole, intendeva. Forse, così il M5S vuol accentuare il senso di vicinanza tra dentro e fuori dal Parlamento?

PRESTANOME
Il grigiore si riflette pari pari nell’attività parlamentare. Tante presenze, tanti emendamenti, tante seconde firme. Nessuno titolare di grandi dossier. Prestanome, più che politici. Davide Tripiedi, idraulico, milanese di Desio, quello del «sarò breve e circonciso», poteva uscire dall’anonimato facendo il relatore al decreto Dignità - il primo provvedimento di questa maggioranza - eppure niente, non ce l’ha fatta. «Quando parlava del gioco d’azzardo sembrava un’anima in pena», racconta chi ha seguito i lavori d’Aula. I parlamentari se la cavano meglio sui rispettivi territori, quando si tratta di accompagnare i big o di fare gli incontri sul reddito di cittadinanza. E non sempre i più bravi e meritevoli nel lavoro d’Aula e di Commissione sono premiati con una maggiore visibilità.

In tv, oltre ai soliti big e agli ancora da collocare come l’ex Iena Dino Giarrusso (ora ci riproverà con le Europee) ci vanno i più governabili e affidabili, come Lucia Azzollina, Vittoria Baldino, o l’ex collaboratore parlamentare Luca Carabetta (seguiva Ivan Della Valle, poi sepolto da Rimborsopoli). Se tutto dovesse crollare, avranno almeno una esperienza televisiva su cui contare. Nel dubbio Nicola Acunzo, attore, all’attivo due interrogazioni a prima firma e una risoluzione in commissione, si è appena assicurato il ruolo di giardiniere del Pontefice nel film “The Pope” prodotto da Netflix. Di questi tempi, un patrimonio.

L'edicola

La pace al ribasso può segnare la fine dell'Europa

Esclusa dai negoziati, per contare deve essere davvero un’Unione di Stati con una sola voce

Pubblicità