Calabria, il governo della Regione ora è un problema serio per la Lega
Tra faide interne, scissioni e patti il partito di Salvini è nel pantano. E la strategia dello shopping selvaggio del Carroccio va avanti anche in Sicilia
Scissioni. Un pattuglione di eletti che in larga parte risponde più a bande locali che a via Bellerio. Un partito che neanche il commissariamento ha rimesso in ordine e un derby con il centrodestra che non si può mettere in standby. Più che una solida base da cui partire alla conquista del Sud, per la Lega all’indomani delle regionali la Calabria sembra essere quasi una zavorra. O meglio una potenzialmente infinita fonte di guai e imbarazzi, cui al Carroccio toccherà a breve mettere mano, con l’ansia di non lasciare spazi agli alleati di centrodestra che giocano in Calabria, ma sono pronti a far pesare il punteggio in tutta Italia. Anche perché le regionali in Puglia e Campania sono dietro l’angolo e per la Lega che punta a Sud sono uno scalpo a cui è impossibile rinunciare.
Se sulle consultazioni calabresi il partito di Matteo Salvini puntava per strappare l’unanime riconoscimento di guida nazionale del centrodestra, la manovra non è riuscita. E Forza Italia, al limite dell’irrilevanza in Emilia Romagna, ma decisamente ancora in buona salute in Calabria, non ha tardato a ricordarlo con tutti i suoi, da un redivivo Berlusconi alla sua neogovernatrice Santelli, che a meno di 12 ore dalla vittoria a Capitano ha mandato un messaggio chiaro: niente aut aut sulla Giunta. Ma proprio il governo della Regione per la Lega è un problema.
Con il 12 e spicci di preferenze il Carroccio calabro strappa quattro eletti. Peccato che meno della metà sia considerata affidabile dalle parti di via Bellerio, anche perché per lo più espressione della lunga stagione dei patti con tutti. A partire dalla destra di Storace, che in terra calabra ha provocato più di un imbarazzo a Matteo Salvini.
Il primo si chiama Domenico Furgiuele, ex coordinatore regionale di “Noi con Salvini” e unico deputato leghista, dalle ingombranti parentele acquisite. Genero dell’imprenditore Salvatore Mazzei, condannato e finito in carcere per estorsione, da candidato si è visto piombare in casa gli investigatori che nel febbraio 2018 hanno notificato alla moglie un provvedimento di confisca dell’intero patrimonio. Lui si è difeso confessandosi colpevole «solo di essere innamorato di mia moglie», Salvini ha tentato di derubricare la cosa. Ma nella stagione da ministro “Legge e ordine”, il Capitano ha dovuto – quanto meno internamente – affrontare il problema. Risultato, commissariamento della Lega regionale, affidato al pressoché ineffabile Cristian Invernizzi, e azzeramento delle nomine locali, con conseguente guerriglia interna che sulle regionali ha probabilmente raggiunto il punto di non ritorno.
Sulle liste, Furgiuele ha preteso di dire la sua, piazzando in ottima collocazione Pietro Raso, che come da programmi è finito in Regione. Una vittoria che il deputato leghista ha ben pensato di andare a festeggiare nel comitato elettorale di Santelli, ignorando la Lega acquartierata altrove, quasi a rimarcare lo iato fra la dirigenza ufficiale del partito e il Carroccio in salsa calabra.
Stessa sorte di Raso però non è toccata a Michele Gullace, un altro dei protetti di Furgiuele, che prima del commissariamento lo ha voluto coordinatore del partito nel reggino. Convinto di ritrovarsi in lista, è stato buttato fuori a poco più di 24 ore dalla presentazione delle candidature, nonostante proteste e sbandieramenti di moduli certificati dal notaio. E non l’ha proprio digerita. Dopo un’arrabbiata conferenza stampa post elettorale, durante la quale ha sparato a zero su tutto e tutti, ha annunciato l’adesione ad un nuovo partito, Lega per l’Italia. Che sui social si presenta con un’immagine che lascia poco spazio alle interpretazioni “Ama la Lega per l’Italia, Odia la Lega di Salvini”. Una candidatura negata è l’apostrofo fra “Capitano ti seguiremo fino in capo al mondo” e scissione.
Estromesso dalle liste leghiste ma non dalla competizione Antonino Parrello, che ha trovato collocazione alternativa nella lista della Casa delle Libertà, degli eterni fratelli Gentile, da 50 anni fra parlamento e regione, con abbastanza scarsi risultati elettorali. Tuttavia per la Lega è un segnale d’allarme. Primo, perché nonostante i numeri risibili ha potuto contare sul sostegno di un’area ben precisa del partito che ai candidati ufficiali nella medesima circoscrizione ha preferito lui. Secondo, perché non sarebbe l’unico. Terzo, perché racconta di un rapporta di un rapporto sempre più stretto fra un pezzo di partito e gente che del partito non è. In più, il mezzo tradimento ha scatenato quasi una rivolta interna, con un pezzo di partito calabro che tira per la giacca via Bellerio e invoca vendetta. Sotto accusa, c’è l’area – considerata tollerabile a fasi alterne – dell’estrema destra con poco celate nostalgie neofasciste che nell’ex missino Alfredo Iorio ha il suo faccendiere sul territorio e nel “talebano” calabro-milanese Vincenzo Sofo il suo riferimento pubblico.
Ex responsabile milanese di “Gioventù italiana”, la costola giovanile della Destra di Francesco Storace, in poi transitato in Lega sotto l’ala di Fabrizio Fratus, nome noto dell’estrema destra milanese, ex segretario dell’onorevole Daniela Santanchè, riciclatosi ideologo di un curioso fronte antidarwinista, antievoluzionista e creazionista, a Milano ha vivacchiato di incarichi fra via Bellerio e Regione Lombardia, ma le avventure elettorali non gli sono mai andate troppo bene. Spedito per le Europee il Calabria, dove è nato ma non ha mai vissuto, curiosamente fa il boom. E almeno all’inizio, rimane di un soffio fuori dall’Europarlamento.
Il perché di cotanto successo non è dato sapere. In Calabria Sofo è più noto per la bionda fidanzata Marion Le Pen, con cui si è prodigato in giri di santuari a favor di telecamera, più che per la storia politica. Ma il pedigree di estrema destra sembra aver fatto battere i cuori anche fuori dal partito, tanto da convincere Casa Pound e cespugli affini a sostenerlo nonostante corressero con una lista di candidati propri.
Adesso la Brexit lo ha spedito in Europarlamento e tanto basta per dargli uno straccio di credibilità agli occhi di alcuni e a far salire le quotazioni del suo candidato alle regionali, l’ex presidente di Coldiretti, Pietro Molinaro, che da tempo sgomita per l’assessorato all’agricoltura. Tanto per interesse personale, come per smacco al collega di partito e nemico di corporazione Filippo Mancuso, espressione di Confagricoltura. E a quella delega Molinaro oggi punta – dicono ben informati – proprio favoleggiando un asse con Bruxelles grazie a Sofo.
Che sia vero pochi ci credono, ma l’area Furgiuele sembra esserci cascata e dopo un paio di abboccamenti in campagna elettorale e un accordo di non belligeranza e mutuo soccorso nel sostegno ai personalissimi candidati in lista, le due bande sembrano filare d’amore e d’accordo. Con tanto di riunione riservatissima in un hotel di Cosenza per programmare le prossime mosse. Un problema (interno) doppio per via Bellerio, cui spettano due assessorati, ma che con la nomina sbagliata rischia di rafforzare la fronda interna che vuole disfarsi del commissario e ripristinare i confini del proprio personalissimo feudo. Magari imbarcando anche gli eterni fratelli Gentile fino a qualche tempo fa dati per certi in quota Lega e poi rimasti fuori dalla porta. E dopo una candidatura con una lista personale all’interno del centrodestra anche dalla Regione.
Il problema numero tre per la Lega si chiama Tilde Minasi, fedelissima dell’ex governatore finito in carcere Giuseppe Scopelliti e suo assessore comunale a Reggio. Non si tratta della Giunta sciolta per mafia, ma di quella cui il Viminale faceva riferimento nel parlare di «continuità nella contiguità ai clan». Più scopellitiana che leghista, più amica della Santelli che vicina a Matteo Salvini, Minasi è un’altra incognita per la Lega e c’è già chi raccoglie scommesse su una sua futura collocazione altrove. Morale della favola, se all’esterno Matteo Salvini può parlare di vittoria calabra, in casa ha un sacco di guai. La neogovernatrice Jole Santelli si sfrega le mani e poco sembra preoccuparsi dell’interlocuzione sempre più fitta fra la Lega e il potentissimo sindaco di Catanzaro, Sergio Abramo, scartato dalla sua Forza Italia come candidato governatore e con il dente avvelenato da allora. Anche Giorgia Meloni ghigna da lontano, guardando le pubbliche effusioni fra i frondisti interni del Carroccio e i suoi in terra calabra. E dopo aver imbarcato e spedito in Regione più di un transfuga del Pd, sembra progettare di ramazzare proseliti (ed eletti) anche alla sua destra, magari grazie a pontieri con mezzo secolo di esperienza come i fratelli Gentile.
In ogni caso, il pantano non sembra essere servito da lezione a Salvini. E anche in Sicilia da tempo è partito lo shopping selvaggio non solo sui territori, ma anche all’interno dell’Ars. Da inizio gennaio, nell’assemblea siciliana c’è ufficialmente un gruppo della Lega. A governare il traghettamento è stato l'ex Forza Italia, Antonio Minardo, che in squadra ha imbarcato Orazio Ragusa (ex Forza Italia), Marianna Caronia (ex misto), Giovanni Bulla (ex Udc) e Antonio Catalfamo (ex Fdi). E in regalo potrebbe ricevere anche un assessorato di riconoscimento. Un ingresso a gamba tesa nella faida tutta interna a Forza Italia in Sicilia, all’insegna del motto tanto caro a Terza posizione “il nemico del mio nemico è mio amico”. Almeno fino a quando gli scenari non cambiano e i pantani non si moltiplicano.