Prima la minaccia di rompere le relazioni con l'Unione europea se a Cipro verrà affidata la presidenza dei 27. Poi l'annuncio dell'invio di navi e aerei da guerra al confine marittimo con la parte greca dell'isola. Al centro delle preoccupazioni turche c'è il bacino Levantino, quello che secondo gli esperti potrebbe essere il nuovo tesoro del Mediterraneo. Una torta ricchissima, da cui Ankara non vuole essere esclusa. Sul tratto di mare compreso tra Israele, Libano, Siria e Cipro potrebbero infatti nascondersi gigantesche riserve di gas: 3.500 miliardi di metri cubi di oro azzurro, il quinto bacino al mondo se verranno confermate le stime della Us Geological Survey. Per capirci, è una quantità che l'Italia, a consumi attuali, esaurirebbe in 42 anni.
Sull'isola la tensione è tornata altissima quando il governo greco-cipriota ha annunciato che la società americana Noble Energy e la israeliana Delek stavano per iniziare l'esplorazione del Blocco 12, una delle fette del bacino Levantino. Impossibile sapere quanto gas si nasconda in quel blocco: il governo di Nicosia ha detto che la cifra non si potrà conoscere prima di due mesi. Le uniche stime le ha fornite la stessa Noble energy, secondo cui lì sotto ci potrebbero essere 280 miliardi di metri cubi di gas naturale. Per comprendere il significato della cifra basta dire che il gasdotto che dalla Libia arriva in Italia ne trasporta 9 miliardi all'anno. "La stima di 280 miliardi è piuttosto credibile visto che in Israele è stato trovato gas e questa struttura geologica è simile", spiega Giacomo Luciani, direttore del Gulf Research Center, uno dei più autorevoli think tank in materia energetica, che invita però alla cautela visto che per ora del cosiddetto oro azzurro non ne è stato portato in superficie nemmeno un metro cubo.
A Cipro sono convinti che il gas ci sia. Fin dalle prime rilevazioni, il governo turco dell'isola ha dichiarato di aver diritto agli idrocarburi che verranno scoperti. Gelida la risposta di Nicosia: la ricerca di gas e petrolio è un nostro diritto e non è affare di alcun altro Stato. La battaglia si gioca sui controversi confini marittimi stabiliti recentemente dai greco-ciprioti senza coinvolgere la controparte turca. La scoperta di abbondanti riserve offshore potrebbe infatti trasformare Cipro, oggi importatore al 100 per cento di metano, in un territorio autosufficiente. Non solo. Per ora il governo greco-cipriota ha dato il via libera all'esplorazione di un blocco, ma ce ne sono altri 12 da scandagliare, e se con il primo dovesse andare bene, Cipro potrebbe persino diventare esportatore di oro azzurro. La torta rischia di essere ricca, ma bisogna decidere come dividersela.
Per capire da dove proviene l'ottimismo che porta greci e turchi a litigare ancora prima di aver annusato l'odore del gas, è necessario guardare qualche centinaio di chilometri più a Sud. È stato Israele, sempre tramite l'americana Noble Energy e la locale Delek, a scoprire per primo le potenzialità del Mediterraneo orientale. A dare inizio al gioco, nel 2009, fu la scoperta a oltre 1.500 metri di profondità del gigantesco giacimento di Tamar, con riserve per 240 miliardi di metri cubi di gas, seguita dopo poco da un altro ritrovamento, quello di Dalit, con 14 miliardi di metri cubi da estrarre. La produzione di gas, secondo Tel Aviv, inizierà l'anno prossimo e permetterà a Israele di soddisfare il proprio fabbisogno energetico per i prossimi 20 anni. Una notizia che giunge in un momento particolare per la sicurezza energetica del Paese. Finora la materia prima è stata fornita dall'Egitto tramite una pipeline subacquea che dal nord del Sinai arriva al porto di Ashekelon. Ma da quando al Cairo è scoppiata la rivoluzione contro Mubarak, il gasdotto è stato sabotato già diverse volte. Attentati a cui si aggiunge l'opinione pubblica egiziana, in maggioranza contraria all'esportazione di gas verso Tel Aviv. Per questo la prossima estrazione dai giacimenti Tamar e Dalit rappresenta una svolta per Israele. Tutto ciò senza considerare il Leviatano, l'altro giacimento di cui Noble energy detiene la licenza, situato a 130 chilometri dal porto di Haifa e considerato la vera gallina dalle uova d'oro: secondo le stime preliminari, lì sotto ci sono 450 miliardi di metri cubi di gas, una quantità che ne farebbe una delle maggiori scoperte al mondo di oro azzurro negli ultimi dieci anni. E che permetterebbe a Israele di diventare esportatore di metano.
L'ipotesi apre altri scenari. Chi comprerà il gas israeliano? Quali strutture verranno utilizzate per il trasporto? E che ruolo avranno le grandi compagnie energetiche? La situazione geopolitica nella regione fa pensare che il metano proveniente dallo Stato ebraico non sarà acquistato da alcuni paesi arabi confinanti. Che anzi potrebbero rappresentare una minaccia per le strutture energetiche israeliane. Forse proprio basandosi su questa considerazione Tel Aviv ha fatto sapere di voler studiare un'alternativa rispetto ai tradizionali gasdotti. L'opzione prevede di basarsi sugli impianti di liquefazione del gas, così da poterlo facilmente caricare su nave e trasportarlo anche a lunga distanza. In questo caso potrebbe riproporsi l'alleanza Cipro-Israele già collaudata nell'esplorazione: si è infatti parlato della possibilità di convogliare il gas verso l'isola, dove poi verrebbe trasformato in liquido. Un'eventualità che farebbe di Cipro un nuovo hub del gas nel Mediterraneo, e che, alle condizioni attuali, taglierebbe fuori dai giochi la Turchia.
Quale sarà il ruolo delle majors lo spiega Marzio Galeotti, docente di Economia dell'energia all'università statale di Milano: "Società come Noble energy non hanno le risorse per passare alla fase di sfruttamento del giacimento. Per questo è probabile che il tutto finisca presto nelle mani delle grandi compagnie". Ed è proprio questo il momento del gioco a cui si è arrivati. I confini dei giacimenti sono ormai stati definiti. Ora sta per iniziare la fase di sviluppo, quella più costosa e potenzialmente remunerativa. La Siria ha diviso la sua costa in quattro blocchi e a ottobre dovrebbe mettere all'asta le licenze di esplorazione offshore proprio nel tratto di mare da cui nei giorni scorsi le navi dell'esercito hanno bombardato città come Latakia, principale porto del Paese, ultimo dei centri ribelli finito sotto il fuoco della repressione. Tutte le majors sono alla finestra per capire gli sviluppi della situazione. Tra queste c'è anche Eni, già oggi leader nella produzione di gas e petrolio nel Mediterraneo. "Le strutture competenti", fa sapere una fonte interna alla società di Stato italiana, "stanno preparando i dossier e l'offerta".
Il cane a sei zampe crede nelle potenzialità del Levantino, anche perché quel gas potrebbe essere convogliato nel gasdotto South Stream (di cui Eni è socia) e portato facilmente nell'Europa nord occidentale. L'azienda italiana è attenta anche a ciò che succede in Libano, dove il 5 settembre dell'anno scorso l'amministratore delegato, Paolo Scaroni, ha incontrato il presidente libanese, Michael Suleiman, per discutere possibili aree di cooperazione per lo sviluppo del settore del gas. Lì è in corso una battaglia diplomatica tra il governo di Beirut e quello di Tel Aviv per il giacimento Leviatano: dopo la sua scoperta, il Libano ha presentato all'Onu mappe dei confini marittimi che includono parte del tesoro nelle proprie acque territoriali. Israele ha risposto con altre carte che danno a Tel Aviv la proprietà del giacimento, aggiungendo che non esiterà a usare la forza per proteggere i propri interessi.
Anche qui, come a Cipro, il gas rischia insomma di rivelarsi una sciagura per i già precari equilibri. "In assenza di pace", spiega Maurizio Masi, docente al Politecnico di Milano ed esperto di sicurezza energetica, "le grandi compagnie abbandonerebbero il gioco. Garantire la sicurezza sarà dunque un parametro importante nei prezzi delle offerte". Per questo Michael Williams, inviato dell'Onu per il Libano, ha consigliato a Beirut di sviluppare a sua volta progetti di esplorazione. Perché di gas ce ne potrebbe essere anche lì, e i conflitti sparirebbero. Altrimenti il tesoro si trasformerà in una maledizione.