È la situazione paradossale che vivono nella procura antimafia di Catanzaro, competente sulla provincia di Vibo Valentia. Un territorio dove operano più di venti famiglie di 'ndrangheta e sul quale è applicato un solo inquirente, costretto a correre da una parte all'altra della provincia per udienze e arresti

Un magistrato per 24 cosche. Nella guerra contro la 'ndrangheta della provincia di Vibo Valentia, lo Stato utilizza risorse striminzite. La guerra, insomma, è combattuta decisamente ad armi impari. In questo territorio comandano i clan della mafia calabrese tra i più potenti e ricchi. Un nome su tutti da queste parti incute più timore di altri: Mancuso. Sono loro i padroni del territorio. Sono loro che gestiscono larga parte del narcotraffico. E sempre loro riescono a riciclare senza problemi e con molte complicità tra Roma, Milano e il resto d'Europa.

Basterebbe questo profilo familiare a far muovere le istituzioni e fornire le risorse necessarie alla procura antimafia di Catanzaro, competente sul comprensorio di Vibo, che attualmente ha un solo pm applicato in questa provincia. Un'anomalia che rischia di bloccare e far cadere in prescrizione decine di processi in corso.

La situazione è talmente insostenibile che i magistrati, esasperati, consegneranno un dossier dettagliato al ministro della Giustizia, che si è recato proprio in Calabria per un tour dedicato al processo civile. Il documento, letto da “l'Espresso”, è un resoconto delle difficoltà quotidiane incontrate dal magistrato, il solo che si occupa di un territorio ad altissima densità criminale.

Calabria
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«Oltre ai Mancuso, operano nel territorio vibonese numerose altre cosche e gruppi criminali mafiosi, in particolare ne sono stati censiti almeno 24» si legge nel rapporto. Che prosegue: «L’area in questione, diversamente dagli altri comprensori di cui si occupa la Dda di Catanzaro (con l’eccezione, per alcuni versi, del crotonese), presenta numerose analogie con quelle di cui si occupa la Dda di Reggio Calabria, e particolarmente con quelli di Locri (fascia ionica) e Palmi (fascia tirrenica), dove, a quanto a conoscenza dello scrivente, sono applicati ben 8 magistrati Dda quattro per ciascun comprensorio). Ciò basterebbe a dimostrare l’assoluta inadeguatezza della situazione in atto».

Nel documento, poi, vengono elencati tutti i processi in corso al il tribunale di Vibo. «Risultano 22 procedimenti, che vengono trattati da un collegio composto da magistrati di prima nomina che non potrebbero neanche trattare il rito monocratico proveniente da udienza preliminare. Ai processi pendenti davanti al tribunale di Vibo Valentia, devono aggiungersi numerosi procedimenti in trattazione innanzi al Gup (giudice udienza preliminare), per la trattazione delle udienze preliminari e /o dei giudizi abbreviati, e i numerosi procedimenti in Corte di Assise».

A questi numeri già di per sé impressionanti per un unico pm applicato, si aggiungono «procedimenti per i quali sono state emesse le misure cautelari più recenti e di quelle per le quali pendono le richieste al Gip, che andranno ad aggravare ulteriormente la situazione sopra descritta».

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Il magistrato che indaga sulla terra dei Mancuso quindi «è impegnato quotidianamente in attività di udienza, spesso fissata dinanzi a più organi giudicanti diversi nella medesima giornata, ovvero innanzi a Gip-Gup, in Assise e al Tribunale di Vibo Valentia (tribunale situato a 60 km dalla sede di servizio, è necessario quindi percorrere circa 120 Km tra andata e ritorno), con notevoli difficoltà già nella sola preparazione dei diversi processi (studio dei fascicoli) e nell’impossibilità, di fatto, oltre che di partecipare a tutte le udienze previste dal ruolo, di svolgere qualsivoglia attività istruttoria di indagine. In tale situazione risulta evidente, ad esempio, la materiale impossibilità a partecipare agli interrogatori di garanzia innanzi al Gip, alle udienze del tribunale del Riesame, di impugnare i relativi provvedimenti, di predisporre richieste cautelari, personali e reali, misure di prevenzione».

Il quadro è destinato a peggiorare in brevissimo tempo. Perché lo stesso pm chiederà di mandare a processo altri sospetti boss, per di più a rischio scarcerazione.

E a tutto questo vanno aggiunte le indagini in corso: 159 fascicoli aperti, con più di 1600 indagati. Un numero enorme, gestito sempre e solo dal pm solitario. Nonostante tutto però nel 2014 è riuscito a celebrare quasi 150 udienze tra Corte di Assise, Gup e Tribunale di Vibo Valentia. Ha emesso diversi fermi e ha proseguito nelle tante indagini chiedendo diverse misure cautelari in carcere. Tutto questo in un solo anno.

«La pesante situazione in precedenza illustrata, già rappresentata ai vertici dell’Ufficio(della procura di Catanzaro ndr) i quali, a loro volta, si trovano a dover affrontare una grave situazione di assoluta inadeguatezza, oltre che carenza, dell’organico della procura della Repubblica di Catanzaro», si legge nel dossier.

Ci sono però anche altre questioni da risolvere al più presto, come segnalano i magistrati. «Per tentare di arginare l’emergenza dovuta all’aggressività delle organizzazioni criminali sul territorio, vera e propria metastasi, occorrerebbe potenziare, oltre che il numero dei magistrati Dda addetti all’area, il settore investigativo e il personale di segreteria. Le difficoltà investigative sul territorio di Vibo Valentia sono dovute principalmente al sottodimensionamento degli apparati di polizia giudiziaria, la cui insufficienza rispetto alla complessità dei fenomeni criminali presenti sulla provincia appare (ribadendo il concetto già evidenziato nella precedente nota) così evidente da risultare assolutamente inspiegabile, con una palese penuria degli organici. Anche le segreterie soffrono la medesima situazione di carenza di organico e, con grandi sacrifici, riescono a far fronte alla mole di lavoro».

Poco è cambiato dunque da quando, l'anno scorso, l'Espresso denunciò la carenza di magistrati nell'antimafia del capoluogo calabrese.

Non è il primo dossier che i magistrati di Catanzaro scrivono per chiedere più uomini e mezzi. Un’altra simile relazione era stata in precedenza consegnata anche a Rosy Bindi, presidente della commissione parlamentare antimafia.

«Non abbiamo il dono dell’ubiquità» è il grido d’allarme ripetutamente  lanciato e sistematicamente caduto nel vuoto, dai pm della Dda di Catanzaro. Il procuratore Vincenzo Lombardo, capo dell’ufficio inquirente in evidente affanno, dopo i tanti appelli lanciati, senza ottenere il minimo risultato, è sfiduciato e scoraggiato.

«Ci dicono continuamente che la ndrangheta è l’organizzazione criminale più forte, che ha superato pure la mafia – puntualizzano all’unisono i due procuratori aggiunti di Catanzaro, Giovanni Bombardieri e Vincenzo Luberto – ma poi gli interventi concreti per potenziare gli uffici che devono combattere la ndrangheta, sempre più potente e insidiosa mancano».

Più dura è stata la presa di posizione del giudice Gabriella Reillo, presidente della prima sezione penale della Corte d’Appello di Catanzaro ed ex presidente della sezione gip-gup del tribunale del capoluogo calabrese, che più di un anno fa, con una lettera aperta si era rivolta direttamente al premier Matteo Renzi, evidenziandogli le criticità degli uffici distrettuali. Lettera che non ha avuto risposte.

«Non posso non rilevare che, nonostante le ripetute segnalazioni della Dda e dell’ufficio gip distrettuale di Catanzaro avvenute in modo ininterrotto per circa due anni (lettere aperte al presidente del Consiglio, interventi sulla stampa e precedente incontro con il ministro Orlando a Cosenza), non si è riusciti ad ottenere nemmeno l’aumento di una unità presso la procura antimafia. Uffici che, com’è noto hanno competenza per i reati di mafia dell’intero distretto. Eppure in tempi rapidi – è l’amara considerazione del giudice – il Csm ed il ministero sono pervenuti all’aumento di altri due posti nell’organico della direzione nazionale antimafia. Ribadisco, pertanto – ha concluso la Reillo –  la necessità di non abbandonare chi si trova ad affrontare la ndrangheta in prima linea».

Sul tema è intervenuto anche il guardasigilli dopo l'incontro al tribunale di Lamezia Terme:«La mafia si combatte con gli organici, si combatte con il personale amministrativo nel penale, ma si combatte anche facendo funzionare il civile. Molte disfunzioni in questo settore infatti creano l'humus che poi sfocia nel penale. Fare funzionare bene il primo permette di liberare risorse per il secondo, per questo è sbagliato contrapporre i due termini». Il ministro tornerà comunque in Calabria. E questa volta il tour sarà dedicato alle questioni irrisolte del penale.