Attualità
ottobre, 2015

Intanto le trivelle di Eni si fanno largo in Croazia

A lungo paradiso naturale ma non certo potenza energetica, Zagabria è determinata a diventare ?uno dei principali fornitori ?di idrocarburi dell’area. E l'italiana si è appena aggiudicata una delle dieci licenze esplorative

Se sulle coste italiane l’opposizione alle trivelle è forte e frena la possibilità ?di limare la dipendenza energetica dall’estero ?(tre quarti del fabbisogno nazionale è importato), dall’altra parte dell’Adriatico la Croazia ha preso la rincorsa.

A lungo paradiso naturale ma non certo potenza energetica, Zagabria è determinata a diventare ?uno dei principali fornitori ?di idrocarburi dell’area. Quest’anno ha assegnato dieci nuove licenze esplorative nelle acque internazionali dell’Adriatico.

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A riceverne una, in acque confinanti con quelle italiane, è stata l’Eni, che in Croazia lavora da tempo con la compagnia locale Ina ed è diventata il primo produttore straniero. La società italiana si è aggiudicata una quota del 60 per cento della nuova licenza, ottenuta al fianco dell’inglese Rockhopper.

Sette delle dieci licenze sono andate invece all’americana Marathon Oil, che poi però vi ha rinunciato, preoccupata dal calo dei prezzi al barile. E così non è detto che, alla fine, Eni non finisca per rafforzare ulteriormente la sua presenza in Adriatico.

Il gruppo italiano è sempre più concentrato sul bacino del Mediterraneo, ricco di idrocarburi di facile estrazione e prossimi alle coste. In particolare, è sul Mediterraneo del Sud (Egitto, Libia, Algeria e Tunisia) e sull’area compresa tra Grecia, Turchia, Cipro e Israele che, da un paio d’anni, sta puntando.

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Nel farlo segue ?le orme del fondatore Enrico Mattei, che vedeva negli investimenti in Nord Africa una chance di crescita rapida per quella che, negli anni Sessanta, era la più piccola fra le società petrolifere occidentali. Il passato spesso aiuta. Per gli analisti, non è un caso se poche settimane fa Eni ha annunciato la scoperta di Zohr, con i suoi 850 miliardi di metri cubi il più grande giacimento del Mediterraneo, situato a Nord dei pozzi egiziani sui cui opera da anni. E che l’abbia fatto proprio ?il mese dopo che possibili partner dell’operazione avevano deciso di non esercitare l’opzione, lasciando alla società italiana il 100 per cento dei diritti di sfruttamento; evento raro nel settore.

«Devono avere tirato fuori dal cassetto alcune mappe degli anni Sessanta-Settanta», ipotizza un analista che non vuol essere identificato. «Forse», dice, ?«la tecnologia di allora non ?ne permetteva l’estrazione a costi sostenibili». Presidiare un’area geografica per decenni alla lunga paga. ?Lo sfruttamento del maxi giacimento consentirà una produzione di 30-35 miliardi ?di metri cubi annui e permetterà all’Eni di colmare il gap di fabbisogno energetico.

Non solo. Lo farà a un costo contenuto: meno di 10 miliardi di dollari, una frazione del costo dello sviluppo del giacimento trovato dall’Eni in Mozambico nel 2013, stimato in 100 miliardi di dollari, che la compagnia intende condividere con altri operatori. A consentire spese così basse ?è la presenza di infrastrutture già in uso, come l’impianto ?di liquefazione di Damietta, ?a ovest di Port Said, uno dei principali centri estrattivi in Egitto. «La nuova strategia di Eni è quella del “near-field”: mira a sfruttare aree attigue ?a quelle già sviluppate, con un significativo risparmio di costi e di tempi», spiega l’analista.

Ed è infatti di due anni fa il contratto con il governo cipriota per l’esplorazione e lo sfruttamento di un giacimento nelle acque di Cipro. Di quest’estate la scoperta di un altro pozzo egiziano di gas, 120 chilometri ad est di Alessandria. Di questa primavera il nuovo giacimento offshore in Libia, a 140 chilometri dalla costa e a soli 20 dell’aerea estrattiva di Bouri. «Per gli italiani lavorare in Africa, soprattutto nel Mediterraneo, è più facile che per altri», sottolinea Davide Tabarelli di Nomisma Energia: «Abbiamo iniziato presto, differenziandoci da chi puntava sul Medio Oriente e sui suoi maxi giacimenti». L’Egitto e la Libia furono i primi Paesi africani in cui l’Eni si avventurò, rispettivamente nel 1954 e nel 1959, offrendo accordi più vantaggiosi di quelli standard per ingraziarsi ?i governi locali. Con il tempo interessi economici e politici ?si sono intrecciati, creando strane alleanze. Il fatto che ?in Libia l’Eni produca metà dell’energia elettrica utilizzata dalla popolazione vuol dire ?che per le milizie islamiche attaccare i pozzi potrebbe rivelarsi un boomerang. Ma vuol dire anche, ad esempio, che l’Eni non può ignorare l’autorità del governo di Tripoli, attualmente non riconosciuto a livello internazionale. E nemmeno può farlo l’Italia, ?che dell’Eni è azionista di maggioranza. Un discorso simile vale anche in Egitto, dove da un paio d’anni gli interessi petroliferi hanno posto in secondo piano altre istanze, come quelle democratiche. Con il colpo ?di stato del 14 agosto 2013 i militari dell’attuale presidente Abdel Fattah al-Sisi hanno ucciso 900 persone in un solo giorno e imprigionato l’allora presidente Mohamed Morsi, leader di quei Fratelli musulmani che avevano democraticamente vinto le elezioni. Da allora in carcere, senza processo sono finite oltre 40 mila persone. Centinaia sono i condannati a morte, altrettanti al carcere a vita, tra cui decine di bambini. Il tutto nel silenzio dell’Europa e del premier italiano Matteo Renzi, recentemente in visita al Cairo con l’unico obiettivo ?di rafforzare i rapporti ?di collaborazione.

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