L’esodo epocale e la nostra inadeguatezza a dare risposte sono il segnale che, per sopravvivere, l’Unione deve dotarsi di un governo comune

Immigrati
È uno specchio quello che ci porgono. E, di fronte a centinaia di migliaia di rifugiati in fuga per salvarsi la vita, noi europei ci riveliamo a noi stessi, così come siamo, uniti e divisi, avviliti e nondimeno così benedetti dagli dei che sulla Terra nessuno è più invidiabile di noi, inconsapevoli delle tragedie che si consumano attorno, sempre più di frequente raggiunti da quelle violenze, noi cittadini di un’Unione nella quale non crediamo quasi più, ma che il resto del mondo considera un modello da imitare.

Al loro approdo su una spiaggia greca o italiana sentiamo i sopravvissuti formulare queste domande: «Questa è l’Europa? Mi trovo in Europa?». E invece no. Quella è la Grecia. Quella è l’Italia. Paesi membri dell’Unione, certo, ma non Europa, perché se l’Europa esistesse davvero non avrebbe atteso la fotografia di un bambino morto per scuotersi, per capire che le coste del Mediterraneo sono le sue frontiere e che le ondate dei rifugiati si frangeranno su di essa, tutta quanta, dalla Finlandia alla Spagna, dalla Gran Bretagna alla Masuria.

A lungo il resto d’Europa ha distolto lo sguardo. Troppo a lungo gli altri europei hanno lasciato che l’Italia se la cavasse da sola, e solo dopo aver compreso che non abbiamo più frontiere interne - e che quindi non era in uno dei loro Stati, bensì nell’Unione intera, che stavano arrivando quei disgraziati - si sono anche resi conto di non avere frontiere esterne, non ancora.

Dagli elettori agli eletti, oggi scopriamo l’America. Perché la guerra, le dittature, il fanatismo oggi devastano l’altra sponda del Mediterraneo e noi siamo presi in contropiede, quasi sbalorditi di beneficiare dell’area Schengen e della libertà di circolazione che essa prevede, ma anche di non avere una polizia comune schierata alle frontiere comuni e di non avere una Marina comunitaria da mobilitare, invece di essere costretti a convocare 32 summit per organizzare missioni di soccorso e per dare la caccia ai trafficanti di esseri umani.

Ora andiamo dicendo che all’Europa servirebbero porte da spalancare per coloro che fuggono dalla morte e da sprangare davanti a coloro che fuggono dalla miseria; e invece no, niente porte, niente centri di accoglienza, niente liste comuni con i Paesi d’origine che diano diritto allo status di rifugiato. No, non ancora, niente di tutto questo, nient’altro che confusione e improvvisazione.

E non è tutto. I rifugiati adesso li accogliamo. Nessuno, o quasi, propone più di lasciarli annegare o di rispedirli nelle grinfie del regime siriano e dello Stato Islamico. L’Europa è buona, è generosa. Fermo restando che gli europei non possono più ignorare questo dramma, la compassione li porta a essere caritatevoli. Ma… attenzione, ciascuno a casa propria! Non voglio a casa mia troppi poveracci, non voglio le quote di rifugiati che Bruxelles vorrebbe impormi! A fronte di questa sfida non abbiamo a disposizione nient’altro che la buona o la cattiva volontà dei ventotto Stati membri, la riluttanza dei governi paralizzati dalla paura nei confronti delle rispettive estreme destre, la generosità di coloro che ignorano questo problema, e le profonde divergenze tra i Paesi a Ovest - abituati all’immigrazione dalla loro storia - e i Paesi a Est, che hanno riscoperto la loro sovranità da talmente poco tempo da ritenere inammissibile ogni presenza straniera.

E dunque quegli sventurati che pensavano di essere arrivati nella terra promessa, in Europa, sono accolti dagli applausi nelle stazioni della Germania dopo essere stati respinti il giorno prima alla frontiera francese ed essere stati trattati in Ungheria come mori invasori che, a detta del primo ministro Viktor Orbán, metterebbero a repentaglio «le radici cristiane dell’Europa». Cinquecentomila rifugiati - non l’uno per cento, ma un decimo dell’uno per cento rispetto ai 500 milioni di europei - minaccerebbero la supremazia culturale del cristianesimo in Europa? È con il filo spinato e con i cani poliziotto che dovrà difendersi una religione il cui pontefice si sgola per ricordare che l’amore per il prossimo è questo? E sono proprio gli ungheresi - accolti in massa dall’Europa libera quando fuggirono dall’insurrezione di Budapest - che osano dire una cosa simile?

Lasciamo perdere. Lasciamo perdere perché si tratta dei postumi psicologici dello smembramento dell’Ungheria ad opera dei vincitori della guerra del ’14 -’18. Sorvoliamo, ma resta il fatto che guardandoci nello specchio dei rifugiati possiamo quantificare altresì fino a che punto ignoriamo la nostra Storia. Abbiamo dimenticato che il Trattato di Versailles ha modellato il secolo scorso buttando la Germania nelle braccia di Hitler. Non rammentiamo più che, per dominare meglio gli ex possedimenti ottomani, noi europei a quei tempi disegnammo a tavolino quel mosaico di Stati la cui deflagrazione oggi ci colpisce di rimando. Tutto ciò è scusabile, risale a tanto tempo fa. Ma che dire della Germania?

Tra i paesi europei essa è la più immune nei confronti della rinascita di un’estrema destra. Sconfitta, la Germania si è ricostruita teorizzando l’esigenza del consenso sociale. Nei confronti dei Paesi islamici non ha quei rapporti emotivi, fatti di odio e di attaccamento, che nutrono le ex potenze coloniali, Francia e Gran Bretagna. Dopo i successi perseguiti della sua riunificazione, nessuna sfida è troppo grande per la Germania. E noi ci stupiamo che non tema di aprirsi ai rifugiati in un gesto umanitario che riesce a far dimenticare il nazismo, e accresce il suo prestigio internazionale, e chiude il becco agli imbecilli che nelle caricature ritraevano Angela Merkel con un elmetto a punta in testa? Non soltanto noi, noi altri europei, ignoriamo che la Germania è la potenza centrale del nostro continente, ma per rammentarci che l’unico suo vero problema era il calo demografico abbiamo dovuto attendere di vedere in che modo accoglie i rifugiati. A furia di non fare più figli, tra meno di 15 anni la Germania sarà priva di manodopera. Il declino demografico non minaccia solo la Germania ma l’Europa intera; ma per iniziare a capire che avremmo tutti l’interesse a cambiare idea sull’immigrazione, abbiamo dovuto attendere di vedere con quanta intelligenza i tedeschi si sono preparati a integrare questi rifugiati facendosi amare.

Appartenenti alla classe media, spesso laureati, questi rifugiati potrebbero essere un’opportunità, la stessa che oltre un secolo fa seppero afferrare gli Usa accogliendo i disperati che hanno contribuito a costruire l’America, perché l’America aveva insegnato loro ad amarla.

Ecco, lo specchio rivela a noi stessi tutte queste cose ma, per essere visionari come gli Stati Uniti, sarebbe necessario che l’Unione fosse una, e non il gran casino che appare ai nostri occhi. Non possiamo più rassegnarci a non avere una Difesa comune né una gestione comune delle frontiere esterne. Non possiamo più rassegnarci a non avere una politica estera europea né altre politiche comuni. Qui non si tratta di cercare di imitare l’America. Noi dobbiamo fondere in uno solo Paesi dalla storia millenaria. La cosa più urgente, tuttavia, è sì pensare insieme al nostro avvenire comune, ma dotarci anche di un governo comune, affermare un’identità già comune in buona parte.

Nuove potenze emergono. Le nostre regioni meridionali e orientali sono in fermento. Da solo, nessuno dei nostri Paesi è in grado di investire quanto dovrebbe nella ricerca. La Storia ci incalza e dunque, prima che diventi realtà il declino, proviamo a rivolgerci alcune domande. I siriani sarebbero arrivati a un tale esodo di massa se noi avessimo avuto i mezzi per fare a meno degli Stati Uniti quando hanno rinunciato a immobilizzare l’aviazione di Bashar al-Assad, malgrado avesse utilizzato armi chimiche, perdendo l’occasione di costringerlo a negoziare con l’opposizione democratica? I tagliagole dello Stato Islamico si sarebbero affermati a tal punto se le democrazie non avessero abbandonato i siriani fautori della democrazia?

L'America di George W. Bush avrebbe potuto risvegliare il vulcano mediorientale con la sua avventura irachena, se l’Europa fosse stata abbastanza unita da opporsi a quella follia? Ci sarebbe stato un conflitto in Ucraina se, già coesa in un’unione politica, l’Unione europea fosse stata in grado di stringere un accordo con la Federazione Russa? E infine, gli europei sarebbero così arrabbiati con l’Europa, se essa non continuasse a essere un’entità politica nana, allo stesso tempo così potente e così impotente?

Questo specchio è implacabile e il suo verdetto è inappellabile: per sé stessa e per il mondo intero, l’Europa deve impegnarsi e fortificarsi.

traduzione di Anna Bissanti