In Italia il prezzo di un toupet oncologico va dai 400 euro per un modello sintetico fino ai duemila di uno con capelli veri. Nonostante una pronuncia dell'Agenzia delle Entrate, sono poche le Regioni che garantiscono contributi e indennizzi. E laddove non arriva lo Stato ci pensano associazioni ed enti privati
La chiamano “la rossa”. Un mix di farmaci potente, doxorubicina o epirubicina, che attacca le cellule tumorali. E ci mette poco, prima di iniziare a far cadere i capelli. Dieci, al massimo quindici giorni e poi cominciano a venir via a ciocche. Sul cuscino, sotto il cappello, durante la doccia. Fino a fare rimanere molte donne del tutto calve. La rossa è un ciclo di chemioterapie fra i più aggressivi. Quattro o cinque sedute, ma toste. «Quando mi hanno detto che avrei iniziato così ho realizzato che da lì a qualche giorno avrei perso tutti i capelli», racconta Francesca, manager di 46 anni, che nel 2014 ha scoperto di essersi ammalata di tumore.
«Carcinoma maligno al seno», le disse l’oncologo nei sotterranei dell’ospedale di Careggi, a Firenze. Da lì, da quella diagnosi, è iniziato un pellegrinaggio che si è concluso solo pochi mesi fa. L’intervento all’Istituto europeo di oncologia di Milano, cicli di chemio e sedute di radio, la mastectomia preventiva all’altro seno per allontanare «lo spettro di una ricaduta». E mentre Francesca combatteva la battaglia per «togliersi di dosso l’alieno» ha dovuto anche far fronte alla calvizie. L’ha fatto per sua figlia: «Dopo l'operazione, a causa dell'asportazione, non ha più potuto giocare con il seno, così come era abituata a fare. Non potevo sopportare di toglierle anche i miei ricci», racconta. È per questo che a un certo punto ha deciso di comprare una parrucca in un centro specializzato di Calenzano: «1350 euro. Ho beneficiato del contributo regionale ed essendo un dispositivo medico ho potuto anche detrarla dalle tasse. Ma non tutte hanno questa possibilità». Poco tempo dopo si è ammalata anche un sua amica: stesso cancro, stessa diagnosi. Ma lei una parrucca proprio non poteva permettersela. E dopo un po’ di indugi ha rinunciato: «È felice, serena. Alla fine ha capito di non volerla. Ma almeno avrebbe voluto scegliere».
Sebbene spesso sia una necessità, comprare una parrucca per le donne che combattono il cancro può rivelarsi un lusso. Il prezzo oscilla fra i 400 e i duemila euro: 500 euro in media il costo di un modello sintetico. Millecinquecento, invece, per un toupet organico con capelli veri. Una spesa importante, che incide sul bilancio, in un momento in cui le famiglie devono sostenere terapie mediche salvavita costose. Le pazienti spesso rinunciano a coprire la testa con una parrucca. Indossano foulard e berretti: copricapo meno costosi. Si rinchiudono in casa e smettono di lavorare. Potersi permettere una parrucca, dunque, non significa solo appagare un bisogno estetico ma è un modo per migliorare la qualità della vita delle pazienti.
In Italia la situazione è e resta fumosa. Nel 2010 l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che la parrucca può «rientrare tra le spese sanitarie detraibili se serve a rimediare al danno estetico provocato da una patologia e ad alleviare una condizione di grave disagio psicologico». Nello stesso anno il Servizio sanitario nazionale l’ha assimilata a una protesi. Da allora solo otto Regioni hanno stanziato fondi a parziale indennizzo. Si va dai 300 euro della Toscana, dove il rimborso esiste dal 2008 ai 150 euro della Lombardia. Nel Lazio, invece, esiste solo la detrazione della spesa al momento della denuncia dei redditi. Mentre in Trentino è previsto il rimborso totale. Una geografia confusa e caotica «che evidenzia una forte disparità tra Nord e Sud e criteri diversi per il rimborso da regione a regione. Sotto questo profilo siamo totalmente inadempienti», spiega Elisabetta Iannelli vicepresidente AIMaC, Associazione Italiana Malati di Cancro. In uno studio della F.a.v.o in partnership con il Censis si stima che i costi sociali a carico del malato oncologico nei primi anni di malattia si aggirino intorno ai 30 mila euro. Nel calcolo sono comprese diverse voci: disoccupazione, assistenza, cure, farmaci e protesi. E in alcuni casi anche la parrucca.
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In medicina l’importanza dell’aspetto estetico compare già nella definizione di salute formulata dall’’Organizzazione mondiale della Sanità nel 1948: «la sanità è uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale e non consiste solo in un assenza di malattia o d’infermità», si legge nella costituzione dell’Oms. E da decenni psicologi e oncologi riconoscono la valenza terapeutica di questo tipo di protesi nel percorso di riabilitazione: «Può essere uno strumento per affrontare meglio la malattia sotto il profilo psicologico», conferma Giovanna Franchi, psicoterapeuta e responsabile Lilt presso il Cerion, il centro di riabilitazione di Firenze.
Ma su questo fronte nulla sembra essere cambiato: le amministrazioni locali che riconoscono contributi sono «un’eccezione più che la regola». Non c’è una legge nazionale che disciplini la materia, né un intervento del Ministero della Salute che la renda omogenea. C’è invece tanta disinformazione. E molte pazienti si rivolgono alle associazioni di volontariato, che spesso «svolgono il doppio ruolo di assistenza e sostegno economico». Questo modello ha creato una sorta di "welfare parallelo": una rete di onlus e privati che in alcuni casi distribuiscono gratuitamente le parrucche. Esperienze, queste, che uniscono tutto il Paese. In Lombardia dal 2010 c’è il ‘Progetto Parrucca’ di Cancro Primo Aiuto. Nato all’ospedale Manzoni di Lecco, ne distribuisce circa 1500 all’anno, accompagnando le donne durante tutto il processo di scelta. «Le pazienti in molti casi non vogliono essere compatite né capite, ma soltanto consigliate», spiega la coordinatrice Tina Giammello.
Un’esigenza confermata anche da Valentina De Marino, medico e anima di Un angelo per Capello. Il progetto che raccoglie ciocche da donatori di tutt’Italia per regalare parrucche alle persone che non possono permettersi di acquistarne una. All’inizio l’idea nata nel 2014 a Santeramo in Colle, nel barese, era rivolta solo alle donne pugliesi. Ma grazie al passaparola su Facebook ha subito travalicato i confini della regione: «in futuro vorremmo poter aiutare tutte», aggiunge De Marino secondo cui l’attuale sistema «non garantisce il diritto a scegliere di indossare o meno una parrucca». I costi proibitivi non solo l’unico problema. Mettersi addosso un toupet non è semplice: bisogna scegliere il modello più adatto ai propri lineamenti, acconciarlo. E conviverci finché non ricrescono i capelli.
«La prima volta dopo la chemio ho usato bandane e cuffiette. Mi sentivo orgogliosa della malattia, di come la affrontavo e ne vedevo la fine», racconta Elena, 34 anni, impiegata, mamma single e con un figlio di un anno e mezzo. Lotta dal 2012 contro un cancro alla mammella. Ha subito l’asportazione del seno e delle ovaie. Nel frattempo è arrivato anche un tumore al polmone. «Quando ti parlano di metastasi pensi solo a quanti anni ti rimangono e inizi a contare. Uno. Due. Quattro. Cinque. Dieci». Stavolta la parrucca l’ha voluta: doveva sconfiggere la depressione: «Non vedevo più la luce in fondo al tunnel». «La prima l’ho presa sintetica: poco meno di 400 euro. L’ha comprata una mia conoscente a cui poi ho restituito la somma», spiega. Poi nel 2015 le amiche hanno organizzato una colletta per aiutarla ad acquistare un modello con capelli veri: 800 euro a fronte di una spesa di 1300. «Ora ogni volta che mi guardo allo specchio mi sembra di rivedermi quando ero sana». Elena lotta ancora, suo figlio si è abituato alla chioma di capelli corti color ramato. Francesca invece sta meglio. I capelli sono ricresciuti e ha riposto la parrucca in una scatola, nell’armadio: «Vado a sbirciare, ho la tentazione di buttarla poi però non lo faccio mai». Un modo per ricordare a se stessa che il mostro non c’è più.