Ho seguito con estremo interesse da Yokohama la discussione attorno allo Human Technopole e all’opportunità che questo progetto offre all’Italia di entrare, finalmente, nella ricerca scientifica sul genoma. Creando, allo stesso tempo, una piattaforma di conoscenze poco sviluppate in Italia, che ci porterebbero finalmente al livello dei Paesi guida nella scienza e nell’innovazione. Ho lasciato l’Italia 21 anni fa per seguire il sogno di decifrare il genoma. Ho avuto la fortuna di iniziare il mio “postdoc” al Riken, un istituto indipendente supportato dal governo giapponese che si focalizza su grandi temi, tra cui neurobiologia, genomica e biologia rigenerativa. Ho potuto partecipare alla costruzione del centro in cui abbiamo sviluppato tecnologie per mappare su larga scala geni umani, studiando in particolare le condizioni in cui l’attività del genoma diventa difettosa, causando malattie.
Per il successo di questi progetti è stato essenziale importare conoscenze non presenti in Giappone, costruendo il Fantom, un consorzio internazionale con più di 250 ricercatori da oltre venti Paesi, che ha proiettato il Riken a livello mondiale e promosso un vivissimo scambio di ricercatori: il 62 per cento di quelli coinvolti oggi sono giovani talenti stranieri.
Ma torniamo all’Italia e allo Human Technopole che dovrebbe sorgere a Milano, e chiediamoci il perché di una proposta il cui senso è stato oscurato dalle polemiche. Prima di tutto bisogna dirci una verità. Le conoscenze relative al genoma e la drammatica evoluzione tecnologica stanno cambiando la medicina più velocemente di quanto molti scienziati pensano: ottenere la mappa di un genoma per una diagnosi è fattibile. Il costo di sequenziamento di un genoma sta precipitando, avvicinando questa scienza alle cure sanitarie in un orizzonte compreso tra 5 e 10 anni. La ricerca promette di sconfiggere i tumori e altre malattie, come quelle neuro-degenerative, anche se c’è molto da fare: è necessario costruire database genomici connessi alle cartelle cliniche di migliaia di persone. Va notata l’importanza delle mutazioni genetiche specifiche di una popolazione: sebbene i genomi umani siano per il 99,9 per cento identici tra loro, ci sono differenze che accomunano specifiche popolazioni, come quella italiana.
Da questa prima verità ne deriva una seconda, altrettanto scomoda: la conoscenza in questo campo non progredisce automaticamente. Stati Uniti, Giappone, Cina stanno programmando grossi investimenti. In Italia non ci sono progetti comparabili per creare conoscenze comparabili, database, ricercatori e medici competenti. Per ottenere queste tecnologie vedo due scenari possibili: iniziare a lavorarci anche noi il prima possibile; oppure - e sarebbe una scelta catastrofica - importare soluzioni preparate da altri, pagandole a caro prezzo ed esponendoci al rischio di essere il soggetto debole di una distribuzione delle scoperte non egualitaria. Uno scenario che, peraltro, non comprenderebbe l’uso di varianti genetiche italiche e altre influenze ambientali particolari.
Attuare questi grandi progetti in Italia secondo standard internazionali è dunque imperativo. Non avendo tutte le expertise necessarie, bisogna attrarle dall’estero. Questo tipo d’investimento ha una natura diversa dalla ricerca universitaria. I grandi progetti richiedono anni di organizzazione, centinaia di persone e un’essenziale continuità per costruire linee di produzione coordinate fra team diversi. Giustamente, lo Human Technopole propone il coordinamento tra la produzione di dati e di analisi tra diversi centri ricerche, finalizzati per progetto. È vero che per questi progetti servono molti fondi ma il ritorno è enorme: 141 dollari ogni dollaro investito, hanno calcolato negli Stati Uniti.
Una simile organizzazione va molto al di là di un laboratorio accademico, dove la libertà di condurre ricerca esplorativa è più centrale. Chiaramente, in parallelo agli investimenti nei grandi progetti, investire nella ricerca di base è necessario per le idee del futuro. Ma la natura di questo genere di ricerca è diversa da quella, altrettanto essenziale, che dev’essere sviluppata in grandi progetti come quello dello Human Technopole. Perciò trovo paradossale la discussione che si è sviluppata tra l’accademia e i sostenitori del Technopole. Francamente, spero che l’Italia superi i dubbi e attui questo grande progetto, essenziale non solo per la scienza ma per applicare in modo massiccio nella società conoscenze che stanno diventando mature. Gli italiani se lo meritano.
Piero Carninci
Direttore della Divisione ?di Tecnologie del Genoma
Centro per le Tecnologie della Vita
RIKEN Yokohama Campus