È stato per lungo tempo il padre padrone di Veneto Banca, un piccolo istituto che partendo da Montebelluna aspirava a diventare un big del credito nazionale. Poi, quando la situazione patrimoniale delle banche italiane si è deteriorata e i crediti concessi alla clientela hanno iniziato a non tornare più indietro, ha perso la poltrona, non senza dare battaglia persino contro le autorità di Vigilanza. Questa mattina, infine, Vincenzo Consoli è stato arrestato per ordine del gip del Tribunale di Roma, proprio con l'accusa di ostacolo alle funzioni delle autorità di Vigilanza e aggiotaggio. Lo riferiscono le agenzie di stampa, secondo le quali Consoli è agli arresti domiciliari. Sono stati eseguiti sequestri per un valore di 45 milioni di euro, compreso un immobile riconducibile a Consoli, nonché effettuate perquisizioni nei confronti di 14 indagati.
I lettori de “l'Espresso” conoscono bene le vicende di Veneto Banca, che il nostro settimanale ha iniziato a raccontare da diversi anni. La forza di Consoli era il controllo dell'assemblea dei soci. Grazie al voto per testa (e non per numero di azioni) che vigeva nelle popolari, il numero uno della banca ha potuto restare al suo posto per un periodo molto lungo, senza mai essere messo in discussione. Direttore generale fin dal 1997, poi amministratore delegato, era stato costretto a lasciare la poltrona più importante dalla Banca d'Italia nel 2014, riuscendo però a conservare quella di direttore. Poi, nel 2015, la resa definitiva, con le dimissioni ma, ancora, con qualche pretesa: nel giugno scorso si era saputo che aveva chiesto alla banca di riconoscergli 3,4 milioni di euro che a suo dire non gli erano stati dati al momento dell'uscita.
nell'articolo “Per Vespa prestito facile”, Veneto Banca effettuava dei prestiti ad alcuni clienti che poi compravano i titoli dell'istituto. Il caso del conduttore televisivo Bruno Vespa era solo uno dei tanti, in un sistema che serviva per mettere in piedi una specie di partita di giro: la banca aveva bisogno di risorse fresche per mettere a posto i bilanci, faceva un aumento di capitale rivolto ai soci ma, ad alcuni di loro, era la banca stessa che prestava i quattrini per sottoscrivere l'aumento. Il fatto è che quelle azioni non erano quotate in Borsa: se un cliente voleva venderle, doveva rivolgersi alla stessa banca, che gestiva una specie di mercato interno.
Questo ha permesso all'istituto di effettuare aumenti di capitale a prezzi largamente sopravvalutati ma poi, quando il sistema è andato in crisi, nessuno ha più potuto rivendere le proprie azioni. E così, tranne pochi privilegiati, molti clienti hanno perso i loro investimenti: quando Veneto Banca, all'inizio dell'estate, è tata salvata dal Fondo Atlante, il valore dei vecchi titoli è stato di fatto azzerato.