«Dopo il caso Englaro, i partiti avevano promesso una norma sul fine vita entro 30 giorni. Ne sono passati 3.000. Adesso una proposta arriva in Aula il 13 marzo. Non è perfetta ma è un importante passo in avanti. E, soprattutto, ora non è più tempo di dilazioni e ipocrisie»

Poco più di un anno fa sono andato a Senigallia, a casa di Max Fanelli, ammalato di sclerosi laterale amiotrofica e strenuo sostenitore della libertà di scelta nelle cure per i malati. Max era completamente immobilizzato a letto e muoveva solo un occhio, attraverso il quale riusciva a rimanere in contatto con il mondo comunicando con un computer a lettura ottica. Max ha condotto la sua battaglia fino a che ha potuto, e lo scorso luglio ci ha lasciati. La sua morte ha suscitato commozione e promesse di portare avanti la sua lotta per i diritti e la dignità dei malati, ottenendo dal suo letto, l’impegno pubblico di sostegno di molti esponenti politici.
Intervista
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Dieci anni prima, era il 2006, si era spento Piergiorgio Welby, affetto da distrofia muscolare, una malattia atroce che lascia intatte le facoltà intellettive, ma distrugge il corpo. Piergiorgio lottava per un semplice diritto, chiedeva che gli venisse staccato il respiratore automatico che gli insufflava l’aria nei polmoni e lo manteneva in vita. Voleva lucidamente rinunciare a strumenti di cura e spegnersi come sarebbe accaduto nel decorso naturale della malattia. All’epoca fu un anestesista di Cremona, Mario Riccio, ad assumersi la responsabilità di sedare il paziente e poi staccare il respiratore. Lo accusarono di essere un assassino ma la magistratura lo ha assolto, riconoscendo che quel medico non aveva fatto altro che rispettare la Costituzione che all’articolo 32 prevede la libertà di scelta delle cure e sancisce che nessuno può essere sottoposto ad una terapia medica contro la sua volontà.

Battaglie civili
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C’è stata poi la drammatica e ultradecennale storia di Eluana Englaro e la battaglia civile di suo padre Beppino per interrompere l’idratazione e l’alimentazione artificiale, rispettando le volontà che la ragazza aveva espresso ai propri genitori prima di ammalarsi. Anche in questo caso si sprecarono i giudizi e le accuse, ma a mio avviso, gli unici colpevoli in quella circostanza erano coloro che volevano imporre una propria visione ideologica senza rispettare le volontà dell’ammalata e della sua famiglia.


Sono i casi più eclatanti, quelli che hanno toccato le nostre coscienze e che ricordiamo di più perché sono entrati nelle nostre case e nelle nostre vite attraverso la tv o Internet.
Stupidario
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Ma ogni giorno negli ospedali, negli hospice, anche a casa, migliaia di Max, di Piergiorgio, di Eluana affrontano con indescrivibile sofferenza malattie inguaribili e vorrebbero poter decidere, secondo regole chiare e senza ricorrere a sotterfugi, quali terapie accettare e quando fermare quelle cure che ritengono sproporzionate se un giorno non potranno più farlo direttamente. In fondo è ciò che ognuno di noi, in piena salute e consapevolezza, dovrebbe poter fare attraverso le direttive anticipate di trattamento, comunemente dette testamento biologico. Uno strumento giuridico che ha risvolti sulla vita di ogni singola persona ma che ha una valore molto più ampio, universale, che attiene alla sfera dei diritti civili.

Negli ultimi dieci anni la sensibilità degli italiani è molto maturata al punto che tutti gli studi condotti, anche a distanza di tempo, confermano che più del 70 per cento degli italiani è favorevole al testamento biologico e circa il 50 per cento reputa accettabile anche l’eutanasia.

E non è un fatto di mera sensibilità ma più probabilmente la conseguenza di esperienze dirette, di vita vissuta a fianco di un parente o un amico malato in una situazione in cui la medicina continua a fare progressi positivi ma che rendono spesso la morte un evento da procrastinare artificialmente e dolorosamente anche per molto tempo.
È quasi ridicolo sostenere quanto un intervento normativo sia urgente e necessario ma, come spesso accade nel nostro paese quando si affronta il tema dei diritti, i parlamentari sono più disponibili a impegnarsi nei talk show piuttosto che nel votare le leggi.


Di una legge sul testamento biologico si discute nel Parlamento italiano da decenni e nel 2009, dopo il gran clamore del caso Englaro, il Senato promise solennemente che una legge sarebbe stata approvata entro trenta giorni. Ne sono passati circa tremila e ogni tentativo è caduto miseramente nel vuoto. Qualche Comune si è dotato di un registro, un modo per fornire delle indicazioni senza valore legale, ma per ora bisogna sperare di imbattersi in un medico rispettoso delle volontà del malato, anche in assenza di regole che lo tutelino.
[[ge:espresso:opinioni:l-antitaliano:1.293194:article:https://espresso.repubblica.it/opinioni/l-antitaliano/2017/01/11/news/eutanasia-modello-citta-del-messico-1.293194]]
Dunque una legge serve. Serve per attuare il principio della libertà dell’individuo rispetto alle cure, serve ai familiari di pazienti che spesso assistono impotenti all’agonia di un parente che mai recupererà la coscienza e senza speranza di guarigione, serve ai medici che devono poter operare senza la preoccupazione di commettere un reato nel momento in cui cercano di alleviare il dolore di un malato nelle fasi finali della sua esistenza.
Aggiungerei, senza timore di essere smentito, che oggi operatori sanitari, pazienti, familiari, vivono l’esperienza della fine della vita a volte nascosti da un velo d’ipocrisia, in cui ci si capisce attraverso i silenzi, in cui la volontà del paziente viene rispettata grazie alla sensibilità di chi ha a cuore la dignità dei malati e più in generale degli esseri umani e che interpretano le terapie mediche non come risorse infinite ma come strumento per curare e alleviare il dolore. Quando questo scopo viene meno è giusto fermarsi, interrompere le terapie e accompagnare il paziente con antidolorifici che gli consentano di spegnersi senza sofferenze fisiche o psichiche, anche se i farmaci utilizzati potrebbero abbreviare la vita residua.

Lasciamo alle spalle ciò che non è stato fatto e guardiamo avanti con un po’ di fiducia. Nei prossimi giorni approderà a Montecitorio una nuova proposta di legge, frutto di un lavoro lungo che ha portato ad unire pareri differenti nella speranza di arrivare ad un voto positivo da parte di un ampio numero di parlamentari.

I punti salienti della legge prevedono che ogni persona capace di intendere e di volere, in previsione di una futura incapacità di scelta delle cure, possa esprimere il consenso o il rifiuto rispetto ai trattamenti sanitari, comprese le pratiche di nutrizione e idratazione artificiali, attraverso le Disposizioni anticipate di trattamento (Dat). Inoltre, ognuno potrà nominare un fiduciario che sia disponibile a parlare con i medici, e per il medico le Dat saranno vincolanti. Ovviamente potranno essere modificate in ogni momento dal paziente e potranno essere disattese dal medico qualora vi siano evidenze scientifiche di progressi non immaginabili al momento della sottoscrizione.

Nel suo complesso si tratta di una buona legge, con qualche mancanza soprattutto perché non prevede come comportarsi in assenza di dichiarazioni anticipate. Senza il testamento biologico chi potrà prendere decisioni nel caso di un paziente senza speranza di guarigione ma tenuto in vita artificialmente? E nel caso di un conflitto tra il medico e il fiduciario?

La discussione non sarà semplice e sono già annunciati tremila emendamenti da parte delle forze politiche che da sempre si oppongono al diritto di poter scegliere le cure. Quello a cui davvero non vorremmo assistere è uno scontro tra politici di diversi schieramenti, tra chi si erge a paladino della vita ad ogni costo e in qualunque circostanza e chi sostiene la libertà di scelta di un individuo. Uno spettacolo odioso, che abbiamo già visto e che gli italiani non meritano, né tollererebbero.

Meritano invece una discussione seria e pacata, rispettosa delle idee e dei valori di ognuno ma soprattutto attenta alla dignità e alle esigenze delle persone, dal momento che (sembra ovvio ma è bene ricordarlo) i parlamentari ricoprono un incarico di rappresentanza dei cittadini italiani e non di loro stessi. Cittadini che per troppo tempo e con infinita pazienza hanno atteso l’attuazione di un loro diritto.