“Un unico destino”: esce il lungometraggio esclusivo dell’Espresso e Repubblica che rivela le verità nascoste sulla strage nel Mediterraneo di quattro anni fa
Non è facile puntare la cinepresa sul più grande massacro di civili di cui è formalmente accusata la nostra Marina militare. Nessuna Procura italiana o maltese o europea ha mai ascoltato i testimoni, nemmeno quelli principali. Nessuna. Quindi non ci sono carte giudiziarie da cercare, verbali da leggere, investigatori da intervistare. Abbiamo dovuto fare da soli.
“Un unico destino”, il film prodotto da
Espresso, Repubblica e Sky con “42° Parallelo” per “Gedi - Divisione digitale”, è prima di tutto un dovere contro l’indifferenza.
Ma non solo. Il film è anche un viaggio nelle pieghe più nascoste dell’anima di
tre papà: quei luoghi privati raramente raggiungibili dove si inseguono la tenerezza di un genitore per i propri figli, l’amore per le proprie mogli ma anche i demoni indomabili dei sensi di colpa. Perché i piccoli protagonisti della storia, i loro bambini, appartengono oggi al Mediterraneo. Li hanno portati lì i loro padri, per liberarli dalle immagini oscene della guerra. Era l’unica via percorribile lungo la rotta tra il terrore e l’Europa, tra la Libia e la salvezza. E lì sono rimasti, dispersi in mare per sempre.
Il titolo completo è “Un unico destino - Tre padri e il naufragio che ha cambiato la nostra storia”. Il progetto coinvolge le testate del gruppo, Sky e “42° Parallelo”, che ha realizzato materialmente il film. «Abbiamo deciso di investire sui video e sui film», spiega Massimo Russo, direttore della Divisione digitale di “Gedi”, «per permettere al nostro modo di fare giornalismo e alle nostre inchieste di raggiungere un pubblico nuovo, giovane e internazionale».
[[ge:rep-locali:espresso:285298095]]La caratteristica che unisce le diverse produzioni come “Un unico destino” è ben definita: sono storie che non devono essere raccontate. «Andiamo a mettere il dito dove solitamente i media si fermano», dice Mauro Parissone, direttore editoriale di “42° Parallelo”, la società specializzata nei film “non fiction”: «Approfondiamo dove non c’è interesse ad andare oltre. Dove vince la superficialità, il galleggiamento. Affrontiamo temi centrali senza scorciatoie, raccontando quello che non deve essere raccontato. Perché non si può, perché è politicamente scorretto, perché nessuno ha voglia di sobbarcarsi rogne e di lavorare così tanto. Nell’era della post-verità, proviamo a fare ciò che nessuno osa più fare: ripartire dai fatti, raccontare storie che lasciano il segno e che aprono una discussione nella società in Rete. “Un unico destino” è il frutto di una profonda innovazione di processo, in cui il linguaggio diventa anche contenuto».
Mazen Dahhan, 40 anni, fa il medico
in un paese della Svezia. Ayman Mostafa, 42 anni, fa il chirurgo nel più grande ospedale di Malta. Mohanad Jammo, 44 anni, fa l’anestesista in una cittadina della Germania. Sono loro i protagonisti del film. Ogni giorno nel loro lavoro curano decine di persone. Sanno bene cosa significa soccorrere e salvare il prossimo. E ogni giorno si svegliano nella nuova vita con il dolore più straziante per un uomo. È il loro unico, identico segreto: dentro la loro anima, si sentono responsabili della morte dei propri figli.
Mazen, Ayman, Mohanad sono nati ad Aleppo, in Siria, e lì sono cresciuti, hanno studiato, si sono sposati e hanno visto nascere i propri bambini. Fino ai giorni della guerra, che ha sfregiato la loro città, la Firenze d’Oriente. Mazen, Ayman e Mohanad scappano con le loro famiglie in Libia, l’unico Paese che offre un lavoro in ospedale. Ma la guerra li insegue anche lì. E in Libia, a Tobruk, a Misurata, a Tripoli, scoprono di non avere più vie di fuga. È per questo che decidono di attraversare il Mediterraneo e di chiedere aiuto all’Europa. Ed è su quello stesso peschereccio che l’11 ottobre 2013, esattamente quattro anni fa, i destini di Mazen, Ayman, Mohanad, dei loro bambini, delle loro mogli si intrecciano.
[[ge:rep-locali:espresso:285298141]]Abbiamo già scritto di questo naufragio che ha spinto il governo italiano ad avviare l’operazione di salvataggio “Mare nostrum”. E continueremo a scriverne finché non verrà raccontato un finale rispettoso delle 268 persone annegate, tra le quali almeno 60 bambini.
Ormai sappiamo che non sono morti per colpa dei loro papà. Per questo ci ha colpito la temerarietà del tenente di vascello Catia Pellegrino, 41 anni, anche lei coprotagonista del film, in quegli stessi mesi comandante di nave Libra e volto immagine della Marina militare. Lei e il suo pattugliatore il pomeriggio dell’11 ottobre sono i più vicini al peschereccio che sta affondando. E proprio per le sue missioni di soccorso, alla vigilia del secondo anniversario del naufragio, Catia Pellegrino viene premiata dal Quirinale con il titolo di “Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica italiana”.
Alla fine della cerimonia, subito dopo aver stretto la mano al capo dello Stato, Sergio Mattarella, l’allora comandante di nave Libra risponde in una intervista tv che la Marina militare «ha lavorato incessantemente per quattordici mesi nel soccorso ai migranti, ma soprattutto la Marina militare italiana lo fa da sempre: contrariamente a quanto molti sanno, lo fa veramente da tanti anni». Poi tra le operazioni da ricordare, ne cita una sola: «Il naufragio dell’11 ottobre. Abbiamo salvato più di duecento persone. Molte hanno perso la vita. Ma è stata una prova non solo di solidarietà: anche di professionalità e grande coraggio».
Lavorando alle riprese abbiamo scoperto che non è andata così. Da quattro anni alcuni ufficiali della Marina militare nascondono il segreto: nave Libra e i comandanti in capo della centrale operativa di Roma della Squadra navale il pomeriggio dell’11 ottobre si sono clamorosamente sottratti al loro dovere di soccorso.
La loro fuga viene smascherata nel film da un pilota militare maltese che abbiamo rintracciato: il maggiore George Abela, comandante dell’aereo ricognitore inviato dal Centro coordinamento soccorsi di Malta a verificare le condizioni di galleggiabilità del peschereccio alla deriva con 480 persone a bordo, tra cui cento bambini.
La temerarietà dell’allora tenente di vascello Catia Pellegrino sta proprio qui: nel sostenere con il sorriso sotto gli stucchi del Quirinale, il tempio laico dello Stato, una versione che non corrisponde alla verità. Tanto che la sua risposta all’intervista tv dopo aver incontrato il presidente Mattarella risuona curiosa come un lapsus: «Contrariamente a quanto molti sanno», dice lei. Cos’è che molti sanno e non ci dicono?
Li credevamo eroi del mare. Il film diventa invece il ritratto dell’Italia contemporanea. Dove anche quanto sembra buono si rivela all’improvviso una patacca. Ecco: la fuga di questi ufficiali dal dovere della verità continua anche oggi. Rassicurati dal silenzio dello Stato maggiore della Marina che, di fronte a 268 morti, quasi tutti dispersi in acqua, ha fornito versioni non vere al Parlamento credendo così di «salvaguardare la forza armata e l’onore», come hanno scritto in un recente comunicato. Sono risposte che ricordano il muro di gomma dell’Aeronautica militare ai segreti della strage di Ustica.
Abbiamo girato ore di immagini in Svezia e in Germania. Ma alla fine la lente delle nostre telecamere tornava a inquadrare il Mediterraneo, il centro dell’orrore. Sempre lì, davanti alla stessa domanda che i papà del film rivolgono agli ufficiali della Marina italiana: perché avete lasciato morire i nostri bambini?
Il film “Un unico destino” va in onda in prima assoluta domenica 15 ottobre alle 21.15 su SkyAtlantic, all’interno del ciclo “Il racconto del reale” e sarà trasmesso in replica, sempre su SkyAtlantic, da lunedì 16 ottobre. Una storia di Fabrizio Gatti scritta da Diana Ligorio; editor Emiliano Bechi Gabrielli; filmmaker Maurizio Felicetti (che è anche direttore della fotografia), Francesco Mazzetti e Ivan M. Consiglio; produttore esecutivo Laura Guglielmetti. L’uscita del film è accompagnata da un racconto di Fabrizio Gatti su Super8 di Repubblica venerdì 13 ottobre. E da lunedì 16 ottobre sulle edizioni online di Espresso e Repubblica la webserie “Un unico destino”: cinque puntate con le tappe del viaggio, la rete dei trafficanti, le interviste ai protagonisti e i retroscena del naufragio che ha cambiato la nostra storia.