Ieri ho dato sepoltura a mia madre. Stamattina, sul presto, quando era ancora buio e fuori casa i poliziotti dormivano nelle loro automobili, ho eluso la sorveglianza e mi sono diretto nel luogo dell’attentato. Un giornalista straniero passato ?da lì ha lasciato un taccuino del Premio Sacharov appeso a un cespuglio carbonizzato, proprio dove si è verificata la prima esplosione. Le pagine erano tutte bagnate e sgualcite dall’umidità mattutina. In copertina, a grossi caratteri, compariva la scritta: «Tutti hanno diritto alla libertà di espressione».
Chi l’ha lasciato lì sa che cosa voglia dire giornalismo. In definitiva, uno fa questo mestiere perché è coscienzioso e onesto, e perché ipocrisia, delinquenza, cinismo, ingiustizia, compromessi morali e corruzione lo fanno adirare ?a tal punto che non può fare ?a meno di esprimersi in proposito. Se invece il suo primo pensiero a quanto guadagna o al timore di irritare e inimicarsi le forze dell’ordine corrotte, penso che stia facendo il mestiere sbagliato.
Sì, era un’indagine difficile, ?del tipo di quelle che ti fanno saltare letteralmente in aria mentre sei impegnato a fare ?le tue commissioni. Mia madre lavorava senza nessuna ?risorsa esterna. I suoi unici finanziamenti le arrivavano ?dagli articoli che scriveva per ?un mensile di gastronomia e da una rivista di design pubblicate da lei stessa. Se non fosse stata assassinata, avrebbe trovato il bandolo della matassa di una storia che inizia in Azerbaijan e termina con ?un gasdotto da 40 miliardi ?di dollari in Europa.
Se noi non riusciremo a fare altrettanto, con tutte le risorse che abbiamo oggi a nostra disposizione, che razza di lavoro stiamo mai facendo?