Professori universitari senza nemmeno una citazione scientifica. Chiamati a giudicare candidati-professori che di citazioni ne hanno centinaia. È la storia paradossale della commissione che un mese fa ha annunciato chi saranno i nuovi docenti ordinari di geografia in Italia. Ruolo ambitissimo; stipendio di partenza da oltre 3 mila euro netti al mese. Ma non è il salario a essere messo in discussione qui. Piuttosto il metodo attraverso cui vengono scelti i professori del domani, più precisamente la statura scientifica di chi li seleziona.
Tutto legale, meglio dirlo subito. È infatti la legge a prevedere questa contraddizione in cui si è trovato stritolato Marco Grasso, novarese di 51 anni, professore associato di geografia economica e politica all’università Bicocca di Milano. In aprile, insieme a centinaia di colleghi, ha inviato la candidatura per diventare ordinario. Si chiama abilitazione scientifica nazionale ed è una sorta di patentino, indispensabile per poter poi partecipare a concorsi ed essere eventualmente assunto come docente presso le università italiane. Un filtro anti-raccomandati, insomma, frutto della riforma voluta nel 2010 dall’allora ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini.
L’abilitazione aveva infatti l’obiettivo dichiarato di frenare il nepotismo imperante negli atenei italiani. Perché, centralizzando il processo di selezione, fino ad allora appannaggio esclusivo delle singole università, promuovere l’amico dell’amico sarebbe risultato più difficile e il merito avrebbe avuto finalmente un riconoscimento. Così almeno si diceva.
Le cronache giornalistiche, i ricorsi alla giustizia amministrativa e le inchieste giudiziarie degli ultimi anni hanno dimostrato che le cose non sono andate come l’ex ministro auspicava. Professori che hanno truccato il curriculum per far parte delle commissioni, conflitti d’interesse fra giudici e giudicati, accordi sottobanco tra membri di diverse giurie. Scandali che hanno costretto Stefania Giannini, succeduta alla Gelmini, ad apportare alcune modifiche alla riforma. La storia dell’ultimo concorso per diventare professore di geografia mostra però che i problemi sono ancora tanti. E fornisce una spiegazione in più per capire come mai, ancora una volta, fra i primi 100 migliori atenei del mondo (selezionati nell’Academic Ranking of World Universities) anche quest’anno non ce ne sia nemmeno uno italiano.
Il profilo di Grasso è quello di un tipico cervello in fuga. Proprio coloro che il nuovo sistema punta in teoria a far tornare indietro. Economista e geografo, è un esperto di cambiamenti climatici. Studia gli effetti del surriscaldamento globale. Per esempio. Dove si trasferiranno gli abitanti di quelle zone del mondo che già stanno diventando invivibili? Che cosa si potrà coltivare in Italia quando la temperatura si sarà alzata mediamente di 2 gradi?
Laurea in economia alla Bocconi di Milano, corso di specializzazione in sistemi dinamici e ambiente al Politecnico della Catalogna, dottorato di ricerca in geografia al King’s College di Londra, Grasso ha insegnato all’estero per parecchi anni: Sydney, Amsterdam, Stati Uniti e Inghilterra. «Poi sono diventato papà, volevo far crescere mio figlio in Italia e ho fatto di tutto per poter tornare qui», racconta davanti a una granita in un bar di Milano. Pantaloncini corti e maglietta, Grasso sembra il tipico prof che si potrebbe incontrare in un campus universitario del Nord Europa, lontano dallo stereotipo del barone italiano. Dalla sua ha decine di pubblicazioni su riviste scientifiche autorevoli.
La sorpresa di Grasso è stata quella di essere bocciato da una commissione con “zero tituli”, per citare l’ex allenatore dell’Inter, José Mourinho. Uno degli aspetti cruciali per decidere se concedere l’abilitazione è infatti la produzione di documenti scientifici da parte dell’aspirante professore, prova tangibile della capacità di fare ricerca. Ai candidati per il posto di ordinario di geografia, quello a cui ha partecipato Grasso, era richiesta la pubblicazione negli ultimi 15 anni di almeno due articoli su riviste di classe A. Fanno parte di questa categoria, per dire, Nature e Geoforum: pubblicazioni di qualità indiscussa. Quanti articoli devono aver scritto i commissari su questo tipo di riviste? Zero. Lo prevede l’Anvur, l’agenzia del ministero dell’Istruzione responsabile del processo di selezione dei nuovi docenti.
Il risultato paradossale è che Grasso, con all’attivo tre pezzi su riviste di fascia “A”, è stato valutato da persone che su quei giornali non hanno mai scritto una riga. Una contraddizione che potrebbe aver penalizzato molti altri candidati: scorrendo la lista dei requisiti richiesti ai commissari si vede infatti che sono moltissimi i settori per i quali non sono previste pubblicazioni in riviste di fascia “A”. Tanto per citarne alcuni: storia moderna, scienza delle finanze, economia applicata, statistica, demografia.
Ma c’è di più. Un’altra variabile presa generalmente in considerazione per valutare le qualità di uno studioso sono le citazioni, cioè il numero di volte in cui un suo lavoro scientifico viene menzionato da altri articoli accademici. Anche qui Grasso pensava di avere il terreno spianato. Su Scopus, una delle banche dati più usate per la letteratura scientifica, il geografo novarese conta infatti 18 articoli e 212 citazioni. E i membri della commissione chiamata a giudicarlo? Questo il loro palmares. La presidente della giuria, Emanuela Casti, tre articoli e diciannove citazioni. Il segretario, Gian Marco Ugolini, due articoli e nessuna citazione. Girolamo Cusimano e Laura Federzoni: un articolo a testa e nessuna citazione. Chiude la cinquina Gavino Mariotti, il cui nome sulla banca dati non compare.
Il sito del ministero dell’Istruzione mostra che Grasso non è stato il solo a essere bocciato da questa commissione. Lo stesso è capitato per esempio a Francesco Chiodelli, Cecilia Pasquinelli e Oreste Terranova: tutti e tre candidati al ruolo di professore di geografia (associato, in questo caso), tutti e tre respinti nonostante una produzione scientifica molto maggiore rispetto a quella dei commissari.
Va detto che per diventare docente non basta essere un prolifico ricercatore. I requisiti sono parecchi, dalle esperienze di insegnamento alle partecipazioni a convegni. Nelle motivazioni della bocciatura di Grasso i commissari scrivono che, «seppure di discreta qualità», i titoli posseduti dal candidato «quasi sempre non sono collocabili all’interno del settore concorsuale di geografia». Come dire: ha fatto cose accettabili, ma spesso riguardavano altri ambiti. Il punto qui non è però giudicare se sia stato giusto non concedere l’abilitazione a certi candidati, ma se è autorevole un sistema universitario in cui un aspirante professore viene valutato da studiosi con una produzione scientifica molto più bassa della sua. Perché, come in ogni ambito, maggiore è l’autorevolezza di chi giudica e maggiore sarà quella dell’istituzione stessa. E quella dell’università italiana, stando alle classifiche, non è proprio delle più invidiabili.
Inchiesta28.09.2010
Atenei privati, soldi pubblici