Mafia

Onu e cocaina: così la camorra usa i privilegi diplomatici per il traffico di droga

di Lorenzo Bagnoli e Craig Shaw   8 settembre 2017

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Un flusso internazionale di stupefacenti gestito da esponenti dell'organizzazione criminale. Grazie a immunità  e documenti ?di collaborazione con la diplomazia. E con i buoni uffici di un diplomatico accreditato presso le Nazioni Unite. L’operazione più ambiziosa: trasportare decine di chili di polvere bianca dal Sudamerica all’Italia in valigia diplomatica. Il faccendiere arrestato aveva un badge per entrare al Palazza di Vetro di New York. E si qualificava come ambasciatore di São Tomé

Sono circa le 16.30 dell’11 febbraio quando un’Audi A6 grigio scuro imbocca l’uscita autostradale Napoli Nord. L’auto è partita da Amsterdam il giorno prima: un percorso che copriva spesso, in quei mesi. Fino a quest’ultimo viaggio. Il nucleo di pronto impiego della Guardia di Finanza di Napoli, appostato appena oltre il casello, mostra al guidatore la paletta. L’odore di cannabis si sente anche con i finestrini chiusi: a bordo ci sono 50 chili di marijuana e hashish. L’uomo alla guida scende. Sembra molto teso. Mostra un tesserino che, dice, gli garantisce l’immunità diplomatica. Si chiama Sebastiano Lauritano, è nato a Castellammare di Stabia nel 1965. Mentre consegna il documento ricorda che è l’assistente di “Sua Eminenza” Angelo Antonio Toriello, vice ambasciatore all’Onu per l’arcipelago africano di Sao Tomé e Principe. Il nome del diplomatico non gli evita però il carcere e l’accusa di traffico internazionale di droga.

Due mesi dopo, ad aprile, quando viene sentito dai magistrati, Lauritano capisce che quel controllo non era casuale. La sua auto era piena di microspie da mesi. E dalle conversazioni carpite i finanzieri hanno ricostruito una rete di relazioni che tocca Italia, Spagna, Germania, Paesi Bassi, Marocco ed Ecuador. Sullo sfondo, uomini vicini ai clan di camorra Polverino, Contini e Puccinelli. Lauritano e Toriello si erano accreditati con i narcos come uomini in grado di garantire spedizioni di droga protette. L’immunità diplomatica delle Nazioni Unite sarebbe stato il modo per aggirare i controlli. I due uomini non sono i soli professionisti legati all’organizzazione: tra gli indagati a piede libero c’è anche un ex poliziotto campano con contatti nell’Interpol. La rete di cui fanno parte viene smantellata con l’operazione Santa Lucia, il 5 luglio 2017.

Lauritano è stato il primo a cadere. Nel suo curriculum dice di essere un naturopata, consulente del ministero dell’Ambiente e coordinatore di una missione permanente all’Onu. Titoli che, se analizzati, rivelano qualche ombra. Sul suo profilo Linkedin dichiara infatti di essersi laureato nel 1986 in naturopatia alla Clayton University, negli Usa. Quella stessa università nel 2005 è stata coinvolta in uno scandalo: bastavano 40 euro per comprarsi un titolo. Anche l’immobiliarista Stefano Ricucci, come ricostruì a suo tempo il Corriere della Sera, si era comprato lì una laurea in economia. E nemmeno i documenti da coordinatore della missione all’Onu sono a posto: all’ufficio stampa delle Nazioni Unite non risulta che Lauritano sia accreditato come dipendente al Palazzo di Vetro di New York. Il “dottore”- come si fa chiamare il cinquantaduenne campano - è in realtà un faccendiere.
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Dotato di una parlantina spigliata ed efficace, ha agganci in mezzo mondo: contattava lui i “logisti” per l’organizzazione dei viaggi della droga e pianificava le missioni per incontrare i fornitori. Un broker della droga, secondo gli inquirenti, finito a trasportare cannabis sulla rotta Napoli-Amsterdam per incassare in fretta dopo alcuni investimenti andati male. Anche Toriello, l’ambasciatore che ha vissuto mille vite, finisce in manette durante l’operazione Santa Lucia. Cresciuto a Mercato San Severino (Salerno), nella stessa casa in cui lo trovano gli uomini del Goa di Napoli guidati dal capitano Domenico Mollo, negli ultimi anni ha vissuto principalmente a Londra, dove risulta titolare di diverse aziende di comunicazione e consulenza diplomatica. La sua carriera non è però di quelle che si definirebbero senza sbalzi. Quando ha poco più di vent’anni ha una parte nello show “Quelli della notte” di Renzo Arbore. Dieci anni dopo si trasferisce in India a fare il santone e a imparare le arti marziali. Nel mezzo anche una parentesi da giornalista investigativo in emittenti prestigiose come la Cnn, di cui però non esiste traccia.

È invece datato 2012 l’inizio ufficiale della missione diplomatica all’Onu come vice dell’ambasciatore Agostinho des Neves. Incarico prestigioso, preceduto di poco dai primi guai con la giustizia italiana: a suo carico ad Avellino c’è infatti ancora un procedimento aperto nel 2010 per corruzione. Nemmeno il suo ruolo di diplomatico, in realtà, è molto chiaro. Al momento dell’arresto, Toriello aveva effettivamente con sé un badge per entrare nel Palazzo di Vetro. Ma nessun passaporto diplomatico, che gli inquirenti ipotizzano si trovi nella sua casa di Londra. Abbiamo contattato un procuratore dell’isola africana, che ha confermato la decadenza di Toriello dal ruolo tempo prima dell’operazione che lo ha portato in carcere. Nessuna risposta invece dall’ambasciatore des Neves, il superiore di Toriello, mentre dubbi sul diplomatico campano ne ha espressi anche la Farnesina, sentita dal Mattino di Napoli all’indomani del suo arresto: «Le autorità della repubblica dell’Africa Centro-occidentale hanno segnalato a questo Ministero che non riconoscono questo signore come proprio rappresentante presso enti privati o pubblici negli Usa. Non gli è stato riconosciuto alcuno stato diplomatico, non è accreditato presso la repubblica italiana e non gode di alcuna immunità o privilegio». Sempre sul Mattino, la replica di Toriello: «Sono ambasciatore, con decreto del febbraio 2012, adottato dal presidente della Repubblica di Sao Tomè e Principe, Manuel Pinto Da Costa, anche se al momento sono in stand-by a causa di problemi interni allo Stato africano».
Angelo Antonio Toriello - Foto: Courtesy of Un
Si chiama invece Cristian Neri il personaggio chiave per comprendere le strane connessioni di questa storia. Era lui a intrattenere rapporti diretti con la camorra. Ed era lui a tenere insieme imprenditori catalani accusati di riciclaggio con il mondo dei trafficanti. Il broker è infatti amico da tempo di Giuseppe Carrano, napoletano trapiantato a Barcellona, compagno d’affari di Francesco D’Argenio, il proprietario del ristorante Assunta Madre di Barcellona. La Guardia Civil e i Mossos d’Esquadra lo tengono sotto controllo da quando hanno scoperto un carico di cocaina che ha fatto arrivare a Civitavecchia nel dicembre 2015. Dopo qualche mese, Neri organizza un incontro con Lauritano a Fuorigrotta. Dovevano preparare l’arrivo di un container da 900 chili di hashish a Ceuta, l’enclave spagnola in Marocco. Gli acquirenti erano Gennaro Annunziata e Gennaro Ciotola, due narcotrafficanti che per gli inquirenti sono legati al clan Puccinelli. L’operazione alla fine è saltata perché Lauritano è stato arrestato. E perché il “dottore” era preso da troppe attività: alla fine non è riuscito a far partire il pagamento alla banca che avrebbe sbloccato la consegna.

Ma il colpo più ambizioso riguarda il Sudamerica: una valigia diplomatica carica di cocaina da far spedire dall’ambasciatore Toriello in Italia, via Spagna. Ad acquistare la merce sono i fratelli Liccardo - Evangelista, Gennaro e Raffaele - legati al clan camorristico dei Polverino di Marano. Lauritano era stato personalmente con uno dei fratelli Liccardo in Ecuador a organizzare la logistica. L’uomo sul campo per l’organizzazione era Claudio Scalia, catanese. Il nome dei Liccardo gli aveva permesso di trattare la vendita direttamente con i narcos colombiani. Scalia era anche riuscito a recuperare 30 chili di cocaina e a nasconderli in un appartamento. Ma il problema più grosso, per i narcos, era far uscire la droga dal Sudamerica: il sistema di mazzette e nascondigli è sempre più complesso e costoso. Toriello e Lauritano offrivano la via d’uscita diplomatica: la missione di Toriello sarebbe dovuta avvenire prima di Natale 2016, ma i problemi con la famiglia e qualche timore per la sua posizione hanno fatto desistere il vice ambasciatore.

È sfumato così per Lauritano un affare che avrebbe dovuto fruttare 500 mila euro. I Liccardo hanno cominciato a minacciarlo, tramite Neri: gli hanno fatto sapere che avrebbero fatto del male a suo figlio Italo, 22 anni, in carcere a Kleve, in Germania, dopo essere stato beccato al confine con i Paesi Bassi con a bordo un carico di ecstasy. Ad acquistarla, secondo la Guardia di Finanza, è stato proprio il padre Sebastiano. Ai magistrati che lo avevano interrogato ad aprile aveva detto il contrario: se si era infilato in quel giro, era colpa dei debiti del figlio. «Prendo atto che ciò che dico non ha molto senso però io volevo fare il genitore infiltrato per aiutare mio figlio a uscire dalla situazione in cui era finito», ha fatto scrivere a verbale.

La droga non è l’unica merce che il duo Toriello-Lauritano trattava. Il diplomatico ha chiesto con insistenza al suo coordinatore di proporre al clan Puccinelli una partita di armi. Trenta in tutto, tra fucili e pistole Penna 7mm, corredate di munizioni e giubbotti antiproiettili. Com’è finita? Gli inquirenti stanno ancora indagando. Di certo Lorenzetti è stato ucciso il 3 aprile a Varcaturo, Napoli, in quello che sembra un regolamento di conti tra clan. A lui Lauritano era arrivato a mostrare le foto del carico, 10 scatole da 70 mila euro l’una. Con un vantaggio non di poco conto. La loro provenienza sarebbe stata lecita: materiale «appena arrivato al governo».

Ovviamente quello di Sao Tomè, come lascia intendere Toriello: dà istruzioni al suo coordinatore di dire così nel caso qualcuno gli avesse chiesto spiegazioni. Il tutto, mentre fonti giudiziarie di Sao Tomè dicono che il periodo di “stand by”, come lo aveva definito Toriello al Mattino, durava ormai da anni. E il vice ambasciatore si fa vedere ben poco a quelle latitudini. Eppure l’Africa è un pensiero fisso. Quando viene interrogato, dopo l’arresto, Lauritano dichiara ai magistrati: «Voglio specificare che io viaggio molto per lavoro in quanto coordino un progetto diplomatico per lo sviluppo sanitario e sociale della popolazione africana». Tra questi ce n’è uno di cui l’Espresso aveva già parlato due anni fa: il “Concert for ebola relief”, una raccolta di fondi organizzata sotto l’egida dell’Onu e di alcune associazioni di ambasciatori per portare aiuti ai Paesi colpiti dall’ebola. Un progetto mai partito. E di cui il tesoriere sarebbe dovuto essere il Pintus Group, guidato da un faccendiere condannato per riciclaggio nel ‘93. Intervistato sul progetto, Lauritano all’epoca aveva definito «truffatori» quelli del Pintus Group, promettendo informazioni per un’inchiesta giudiziaria sul loro conto partita proprio da una sua denuncia. Chiacchiere.

I finanzieri che hanno intercettato per mesi Toriello e Lauritano li descrivono come due personaggi opposti. Tanto intraprendente e sfacciato il secondo, quanto mansueto e succube il primo. Lauritano conosce i meccanismi della camorra, sa della rata che ogni affiliato deve versare al sistema per mantenere le famiglie dei carcerati, non si tira indietro di fronte alle minacce e definisce alcuni suoi contatti «boss di Napoli» o «mafiosi con le palle». Toriello sembra invece un pupazzo nelle sue mani. Le intercettazioni rivelano che ha ricevuto per diverso tempo un salario da 5 mila euro al mese da Lauritano. Di più: il “dottore” dice che è merito suo se Toriello ha iniziato la carriera diplomatica. Dopo l’arresto, il vice ambasciatore di Sao Tomè e Principe ha cercato di scaricare Lauritano con una nota al Mattino in cui nega qualsiasi sua carica ufficiale nella missione diplomatica. Eppure, stando a quanto i due si dicevano pensando di non essere ascoltati da nessuno, sarebbe stato proprio il “dottore” a farlo entrare nelle Nazioni Unite. Come? Un mistero a cui solo il processo potrà dare risposta.