Il direttore (in quota leghista) Gennaro Sangiuliano e la sua redazione mettono in onda una ricostruzione dei fatti del 1970-1971 in salsa sovranista. Il popolo nobile e ingenuo contro lo Stato oppressore e democomunista. Nessuna menzione per la destra eversiva e la mafia

La storia secondo Gennaro Sangiuliano, direttore salviniano del Tg2 con trascorsi nel Msi, è bella e tragica come un romanzo cavalleresco. È anche altrettanto semplice. Da una parte, ci sono i popoli oppressi da uno Stato carognesco. Dall'altra, incombe sulla loro autodeterminazione il fantasma del comunismo.

I cinquant'anni dai Moti di Reggio Calabria, iniziati il 14 luglio 1970, erano un'occasione da non sprecare per ridurre la complessità a uno scontro da opera dei pupi fra paladini e saraceni. Sebbene con qualche ritardo, il primo novembre un servizio di Tg2 Storie a firma di Giuseppe Malara ha colmato la lacuna.

In sei minuti e quarantatré secondi di filmato, gli oltre sette mesi guerra civile sulle sponde dello Stretto vengono ridotti a un "furibondo scontro fra popolo e Stato" concluso dall'arrivo dei carri armati dell'esercito italiano contro "padri di famiglia, donne, studenti che lottavano per vedere riconosciuto un loro diritto".


Questo diritto era il capoluogo di regione che "fin dal 1947" doveva spettare a Reggio e che invece andò a Catanzaro per quello che Renato Meduri, ex senatore di Alleanza nazionale ed esponente missino passato sulle rive leghiste, definisce "un accordo di Mancini, Pucci, Mancini per spartirsi la Calabria con la benedizione dei comunisti".

Il complotto fra democristiani, socialisti e comunisti scatenò "una rivolta squisitamente popolare". Il cronista però aggiunge una postilla. "Se è vero che la rivolta non ebbe colori politici, è innegabile che ebbe un leader in Ciccio Franco, sindacalista della Cisnal".
In un servizio che riesce a non pronunciare mai la parola fascismo si mettono insieme le falsità riduzionistiche e negazioniste che accompagnano da cinquant'anni i Moti.

Si dice per esempio che le vittime furono sei e si escludono dal conto i sei passeggeri del treno Palermo-Torino uccisi nella strage di Gioia Tauro del 22 luglio 1970, rievocata quest'anno dal presidente Sergio Mattarella e messa in opera dai neofascisti di Avanguardia Nazionale con esplosivo procurato dalla 'ndrangheta. Si escludono anche i cinque anarchici morti in un autostrada il 26 settembre 1970 in un massacro che è rimasto un incidente come è rimasto un incidente per oltre vent'anni la strage di Gioia Tauro finché il processo Olimpia nel 1993 non ha ristabilito la verità giudiziaria e storica.

Nessuna menzione per gli assalti, a poche ore dall'inizio dei Moti, contro la Camera del lavoro e la sede del Psi, di chiara marca neofascista. Nessuna menzione sul fatto che due settimane dopo l'inizio degli scontri, il 29 luglio 1970, Ciccio Franco e le forze della destra eversiva costituirono il Comitato d'azione per Reggio capoluogo con il motto "Boia chi molla" dell'ex parlamentare missino Roberto Mieville. 

Nessuna menzione che questo Comitato (altro slogan "Reggio è nera e nera resterà") divenne la direzione tattica dei Moti prendendo il sopravvento su ogni spontanea protesta popolare.

Il caso
Il libro che i fascisti hanno messo all'indice
6/7/2020
Nessuna menzione per il fatto che l'università di Messina fu occupata dalle associazioni giovanili e studentesche di estrema destra (Fuan, Fdg) e che il leader della goliardia nell'ateneo siciliano fosse l'avanguardista Paolo Romeo, in seguito condannato per concorso esterno in associazione mafiosa nonché mentore del futuro sindaco Giuseppe Scopelliti, ex Msi e An, condannato per i bilanci falsi del Comune reggino.

Nessuna menzione del blocco totale degli uffici pubblici e dell'economia ufficiale, mentre l'economia sommersa serviva a finanziare quintali di tritolo per gli ordigni che padri e madri di famiglia, tutti esperti artificieri, facevano brillare quotidianamente.

Certo, in 6'43" è difficile condensare troppe nozioni. Il popolo, si sa, è di mente semplice e il tempo è tiranno.

Così la ben nota organizzazione criminale calabrese fa capolino in zona Cesarini (6'19") dopo che si è detto come lo Stato "in cambio della fine delle ostilità offrì ai reggini il pacchetto Colombo per un piano di industrializzazione mai nato e la 'ndrangheta con la costruzione di quelle opere inutili iniziò un costante e progressivo arricchimento".

Come passata di lì per caso, insomma, la 'ndrangheta che armava i Moti e che cooperava con i neofascisti si trovò in mano duemila miliardi dell'epoca, nonostante il capoluogo fosse andato a Catanzaro. E sì che i mafiosi reggini ci tenevano moltissimo. Ma non quanto ai soldi, evidentemente.