L'Espresso ha scelto come protagonisti del 2020 la vita e la morte. Diego rappresenta la vita: è il primo bimbo nato in Italia, a Napoli, con il nome di Maradona. All’alba della nuova era piena di incognite e di speranze. Sua mamma dice: «È il nostro nuovo inizio». Ed è anche il simbolo di quello di tutti noi (Foto di Sara Camilli per L’Espresso)

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Il futuro si chiama Diego, è nato con gli occhi aperti, ancora non si regge in piedi, vive al quarto di undici piani in un palazzone grigio a Poggioreale, nelle case del comune ai piedi del cimitero, con la statua della Madonna nell’androne e il lucchetto sopra alla teca degli avvisi, un posto tutto sommato tranquillo dal quale non esce praticamente mai. È la paura a tenerlo dentro, nient’altro: la paura del Covid-19, del contagio, della pandemia. Tutte cose che non si può permettere accadano, entrino dentro, perché lui «è il nostro nuovo inizio», come dice sua madre, 25 anni, infilandosi nella retorica con la beata audacia di chi non la teme. È certamente adagiato su un confine, Diego: è il primo nato nel 2020, a Napoli, alle 00.00 del 1° gennaio, che è in pratica l’ultimo festeggiamento normale prima del Covid-19, il nemico invisibile e sconosciuto. La soglia della nuova era, la nostra.

Un giorno che non somiglia a niente, quello, rispetto all’orizzonte di oggi. A niente nelle nostre vite sospese, a niente nemmeno nella sua. Rivedere la notizia di quella nascita è come tornare a prima di una guerra. Quando il mondo era ancora un mondo normale, senza mascherine, con mille ovvie routine alle quali non far caso. Come quella del primo nato del decennio, e le cento persone che si affollano in sala parto, e gli assembramenti attorno ai letti degli ospedali che oggi sono inconcepibili, mettono ansia anche solo a guardarli in foto: ricercarsi sulla rete le foto di Diego, ma anche di Bianca, la prima bambina nata alla Santa Famiglia di Roma. Tutto era talmente diverso che quella notte la mamma, Marika, per dire, subito dopo aver partorito Diego chiese un panino col salame, che poi mangiò direttamente nella sala parto dell’ospedale Fatebenefratelli, guardando i fuochi d’artificio sul golfo di Napoli: immaginiamo per un attimo quanto sarebbe impossibile comprarlo adesso, in piena notte, un panino col salame, e quanti fuochi d’artificio si alzeranno la notte di capodanno (e nel caso con quali polemiche, stavolta).
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In quella sera di fine secolo, sui social circola il video in cui Papa Francesco schiaffeggia la mano di una fedele cinese che lo strattonava in strada, episodio che poi diverrà delizia dei complottisti come primo segno della imminente dittatura del Covid 19. Marika intanto partorisce in piedi e dorme il suo ultimo sonno filato, suo marito riesce nell’impresa di non svenire, l’ostetrica - amica d’infanzia - si mette a terra per prendere il neonato. La mattina dopo, a Wuhan, in Cina, viene chiuso il Huanan Seafood Wholesale Market, per l’alta concentrazione di contagiati del nuovo ceppo di coronavirus, che ancora non è stato sequenziato, né battezzato. Diego, invece, un nome già ce l’ha da un pezzo, da prima di essere concepito. Suo padre Fabio, 29 anni, commerciante all’ingrosso di scarpe e adesso ormai quasi senza lavoro, è un patito del Napoli e di Maradona (ora ha il profilo whatsapp listato a lutto), al punto da fare pellegrinaggio sotto il murales che Jorit Agoc ha dipinto sulle case popolari di San Giovanni a Teduccio anche nel giorno del suo matrimonio. «Voleva chiamarlo Diego Armando, solo a questo mi sono opposta», dice la moglie.

Editoriale
La morte e la vita sono le persone dell'anno del 2020 per L'Espresso
18/12/2020
Nel 2020 pieno di morte e di morti, 65 mila solo di Covid dicono i dati più aggiornati, e nel quale l’Istat parla di una recessione demografica pari a quella successiva alla Grande Guerra del ’15-’18, con la possibilità di registrare nell’ultimo mese di quest’anno un’impennata che finirà quasi per raddoppiare il calo già previsto per il 2020 (secondo i calcoli del rapporto annuale Istat si conteranno 408 mila nascite, contro le 420 mila del 2019: previsione per il 2021, 393 mila), quelli come Diego sono una specie di miraggio. Quasi incredibile esistano davvero.

Gli ultimi a essere concepiti nel mondo di prima e i primi ad aver aperto gli occhi nel mondo di dopo. In perfetto transito, inconsapevole. A gennaio, mentre il papà di Diego riusciva nell’impresa non semplice di registrare suo figlio all’anagrafe («poiché sul certificato c’era scritto 00.00, l’impiegato non sapeva se dovesse metterlo al 31 dicembre o al 1° gennaio, abbiamo girato per tutto l’ufficio prima di risolvere la cosa»), e la madre apprendeva dai gruppi social delle mamme come destreggiarsi con l’allattamento e un figlio perennemente attivo, c’erano in Italia i primi casi di coronavirus importato dall’estero: a Roma i due turisti cinesi di Wuhan, che sarebbero rimasti ricoverati allo Spallanzani fino a fine febbraio, poi quello del ricercatore italiano proveniente dalla Cina, e di un diciassettenne rimasto a lungo a Wuhan a causa di sintomi simil-influenzali, non positivo ma ugualmente ricoverato. Una faccenda comunque ancora lontanissima, per tutti gli italiani, anche dopo la proclamazione dello stato d’emergenza, il 31 del mese.
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Quando a febbraio Diego fa la sua prima lunga passeggiata in carrozzina sul lungomare e va a palazzo San Giacomo per incontrare il sindaco Luigi De Magistris, l’Oms sceglie per la nuova malattia il nome di Covid-19. Soprattutto, in Italia arrivano i primi casi di virus autoctono. Il paziente zero di Codogno, Mattia, è del 21 febbraio. C’è il primo morto a Padova, le prime zone rosse. Il 4 marzo si chiudono le scuole ma Diego a scuola non va, e neanche adesso andrà al nido: Marika, che lavorava in un bar e così ha conosciuto suo marito, adesso coi locali mezzi chiusi l’impiego forse non l’avrebbe, e comunque preferisce stare con il bimbo - che del resto non lascia mai, nemmeno per andare dal parrucchiere. C’è da dire che qui, a Napoli, il virus si è fatto sentire davvero solo con la fine dell’estate: «Prima non conoscevo nessuno che si fosse ammalato, ora tanti: è solo una questione di percezione, lo so, ma da quando si è fatto più vicino fa più paura», racconta Fabio.

Speciale 2020
Persone dell'anno: la Morte
18/12/2020
Così le prime conferenze stampa del premier Giuseppe Conte, i Dpcm, le zone rosse, l’assalto ai treni del 7 marzo, i primi mille morti del 12, l’esercito che porta via le salme da Bergamo dove non c’è più posto nei cimiteri, trascorrono come un tremendo film sul mega schermo piatto appeso in salotto, proprio sopra l’automobile nera telecomandata, riproduzione di una Audi Q5, dentro cui Diego si siede per trascorrere le lunghe giornate in casa. Arriva infatti soprattutto il lockdown, da queste parti. Il 19 marzo, quando l’Italia supera la Cina per numero di morti (3405), è anche San Giuseppe: nell’album di foto in cui si è trasformato il telefonino dei genitori di Diego, la giornata è segnata dall’immagine delle zeppole preparate in casa. Il 27 marzo, quando il Papa sul sagrato della basilica di San Pietro deserta e piovosa all’imbrunire dà la benedizione Urbi et Orbi e parla delle «fitte tenebre» che «si sono addensate sulle nostre piazze, strade e città» invocando la fine della pandemia, Diego affronta la sua prima pizza margherita. Tragedia del resto non significa tragedia in ogni piega: né può dirsi che le difficoltà abbiano risparmiato pure questa di famiglia, che si muove nel salotto-cucina e quindi nell’esistenza che ha costruito con l’accortezza contenta di chi cammini sulle uova, dopo aver parecchio penato lungo abissi che guarda e non dice.

All’ingresso della casa di Diego, venti piccole stampe di foto ricordano i passi per arrivare fino a oggi, dai primi weekend all’estero dei genitori da fidanzati, passando per il matrimonio e il viaggio di nozze, fino al neonato del 1° gennaio. Orgoglio celebrazionista di due ventenni che sono andati a vivere insieme spericolatamente due settimane dopo essersi conosciuti. «Proiettarsi nel futuro significa sempre confrontarsi con l’inaspettato», dice Marika, che sotto alla parete di fotografie ha fatto scrivere sul muro una frase che finisce dicendo che «l’amore ti porta a casa».
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E di quest’epoca ci pensa il virus a fartici restare chiusi dentro, per tentare di conservare un futuro che, meno viene toccato, meglio è. «Diego non ha avuto in pratica altri abbracci e spupazzamenti oltre ai nostri. Quando esce è spaesato: è abituato a vedere solo noi, è impaurito dalle mascherine, che coprono i sorrisi», racconta la mamma. L’unico momento di normalità, come i più, l’ha avuto in estate, quando è andato al mare a Marina di Sibari e, mentre nel resto d’Italia si riaprivano temporaneamente le discoteche (che sarebbero poi state richiuse dopo Ferragosto), Diego come supremo elemento sociale conosceva l’epica perversa della baby-dance. Ma piangeva, al momento di mangiare, ogni volta che assisteva al pianto di un bambino: incapace di capire che farsene e del tutto non avvezzo al confronto con l’altro, una china lungo la quale a gradi diversi è facilissimo scivolare per tutti, in quest’epoca.
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Del resto anche nel giorno del suo battesimo, a fine settembre, al ristorante c’erano ancora una volta solo i genitori, appena prima che la seconda ondata e le nuove zone rosse chiudessero di nuovo tutti. Unica eccezione recente, come del resto l’intera città, il pellegrinaggio davanti allo stadio San Paolo, in formazione completa e tutina del Napoli, per omaggiare il campione omonimo. Sperava il padre di riuscire a incrociarlo in vita, Maradona, anche magari per via di quel nome e quel record di nascita. Diego, che non lo sa, per il momento suona la pianola, suo attuale passatempo preferito, in attesa di celebrare, in condizioni ancora ignote, la sua prima festa di compleanno, giocando a scacchi con il Covid-19, ancora una volta.