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Attualità
dicembre, 2020

«Noi giovani italiani all'estero vogliamo tornare in Italia per invertire la rotta»

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Progetti e finanzamenti disponibili. E poi il Covid. Sono tantI quelli che potrebbero rientrare. Ma gli ostacoli che trovano sono ancora troppi. Ecco le loro storie

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Una laurea in Fisica e un dottorato in Nanoscienze. Un lavoro da ricercatore a tempo indeterminato all’Università di Lille. Ma in testa ha il sogno di tornare in Italia, nel Cilento. La storia di Silvio Pipolo, 35 anni, è la stessa di molti altri talenti italiani: cresciuti nelle ottime università del paese, se ne sono andati perché qui non c’era opportunità di lavoro all’altezza delle loro aspettative. Il funesto 2020 - segnato dal dramma della pandemia mondiale - sembra però essere l’anno del giro di boa, del ritorno, spesso obbligato a causa del Covid, e delle basi per un progetto di futuro nella propria terra natale. C’è chi è già tornato, chi vorrebbe farlo e chi sta mettendo a disposizione le proprie competenze per sostenere i talenti del Sud. L’Espresso vi racconta le storie di chi sta cercando di invertire la rotta.

Partiamo da Silvio che, dopo la laurea in Fisica cerca un’opportunità nelle università italiane: «Ma per ottenere un incarico qui ci vuole un curriculum stratosferico, mentre in Francia ci sono più occasioni per i giovani». Vince un concorso all’Università di Lille, al confine con il Belgio: «Sono un dipendente pubblico francese, quindi posso godere di tre anni di aspettativa non retribuita. Così trascorro sei mesi in Francia e metà anno in Cilento, dove sto avviando un’azienda agricola innovativa. Mi sono dato tre anni di tempo per renderla profittevole, anche se, fra burocrazia e assenza di infrastrutture, non è facile». Silvio sta innescando piccoli progetti di collaborazione tra le aziende agricole del territorio: «Spero che qualcuno mi segua e che il territorio possa diventare più attrattivo, sfruttando l’elevata biodiversità di questa zona». Altrimenti? «Tornerò definitivamente a Lille, ma che sconfitta».
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Anche Luca Iose, 35 anni, di Campobasso, si laurea in Economia e va a lavorare a Bruxelles. Poi decide di tornare in Molise, avviare una start up e offrire le proprie competenze a una torrefazione locale. «Insieme alla cooperativa JustMo, creata un paio d’anni fa, a gennaio verrà inaugurato uno spazio coworking a Campobasso, rispondendo all’esigenza di molti professionisti e colletti bianchi tornati qui dall’estero o da altre zone d’Italia - specialmente da Milano - per lavorare da remoto. Il Covid ha spinto molti a tornare, per ora lavorando in smartworking, ma con l’obiettivo di restare a vivere qui, mettere radici, trovare un impiego. Un sogno che stenta a realizzarsi perché mancano lavori attrattivi, oltre a un contesto culturale e sociale stimolante».

Come spiega Luca, affinché il South Working possa davvero prendere piede, è necessario «poter garantire stipendi adeguati. Magari non le quarantamila sterline che si possono guadagnare a Londra, ma abbastanza per un futuro dignitoso». Ecco quindi l’idea di lanciare Pop Molise, un hub di professionisti, ma anche un festival, al fine di stimolare le aziende molisane a fare rete, crescere insieme, sfruttando le competenze di coloro che sono rientrati in regione».

L’obiettivo di Silvio e di Luca è lo stesso: riaccendere l’interesse per le aree interne, vale a dire le zone che più di tutte hanno subito il fenomeno dello spopolamento negli ultimi decenni. «Esistono molti programmi finanziati da fondi strutturali per favorirne la permanenza o il ritorno», dice Massimo Sabatini, Direttore generale dell’Agenzia per la Coesione, che fa capo alla Presidenza del Consiglio, che continua: «È il caso di Pon Metro per coinvolgere i giovani talenti in materia di innovazione sociale nelle città metropolitane. Oppure i progetti finanziati dai programmi delle Regioni meridionali e da quelli Ricerca e Innovazione 14-20: è il caso il Fondo StudioSì, che stanzia 93 milioni di euro per chi, italiano e non, voglia studiare nelle Università del Sud materie che vanno dall’areospazio all’agrifood, dal design al made in Italy, dalla salute alla chimica verde. O ancora il Fondo di Fondi gestito dalla Banca Europea degli Investimenti, che sostiene attività di ricerca industriale e sviluppo sperimentale, finanziando percorsi di altissima formazione da svolgersi nelle Regioni del Sud».

A livello governativo - centrale e regionale - non mancano i progetti, tuttavia, come sostengono i tecnici del Nucleo di Valutazione e Analisi per la Programmazione, che fa capo al Dipartimento per le Politiche di Coesione della Presidenza del Consiglio dei Ministri, «esistono misure poco o per nulla comunicate che potrebbero avere un grande potenziale», si legge nella relazione della Conferenza di Valutazione, che fa il punto sulle misure attivate per contrastare l’emigrazione giovanile. Sempre la Conferenza di Valorizzare suggerisce di sfruttare al meglio le rimesse 2.0, vale a dire fare leva sulle competenze, le esperienze e il contributo intellettuale che chi è andato all’estero può dare all’Italia. Un consiglio raccolto dal ministro per il Sud e la Coesione Territoriale, Giuseppe Provenzano, che a inizio 2020 ha lanciato la Rete dei Talenti per il Sud, una piattaforma per mettere a disposizione dei giovani che vogliono avviare un’attività nel meridione l’esperienza di chi è andato all’estero. Il ministero ha individuato 700 fra ricercatori, professori, imprenditori, manager, funzionari di pubblica amministrazione che vivono all’estero, li ha contattati per sondare l’interesse a offrire la propria esperienza e competenza ai giovani italiani.

L’obiettivo è creare delle reti di competenze trasversali che fungano da sostegno per chi aspira a creare soluzioni innovative in Italia. A gennaio sarà online la piattaforma digitale, che offrirà la possibilità di consultare direttamente queste persone. Fra loro Antonio Ereditato, professore emerito di Fisica delle Particelle Elementari al Cern di Ginevra e docente all’Università di Berna: «È irrealistico pensare a un ritorno in massa di quel capitale umano che il sud ha regalato ai paesi stranieri. Noi italiani all’estero potremmo però collaborare sinergicamente con i colleghi in Italia, mettendo la nostra esperienza, i nostri network e la nostra voglia di contribuire al servizio della futura agenda di innovazione e sviluppo del paese. È per questo che ho accettato di partecipare al progetto lanciato dal ministero». Il professore, però, non si fa illusioni: «Servono innanzitutto le giuste basi: gestione flessibile dei finanziamenti, riduzione della burocrazia, creatività e meritocrazia; ma serve anche visione, puntando su educazione, giovani, risorse del territorio, innovazione, progetti “high-risk high-gain”, nuovi lavori, digitalizzazione, etica della legalità. Per tutto questo non è sufficiente il consiglio di qualche expat, serve il supporto di una politica lungimirante e non invasiva». L’obiettivo di Antonio è offrire un contributo in innovazione e competenze, mentre Stefano Cuccia, 40 anni, di Cagliari, anche lui fra gli esperti della Rete per il Sud, punta a fare ritorno in Italia: «Dopo la laurea in Economia, ho fondato Rumundu, società di supporto strategico ad aziende e amministrazioni pubbliche nello sviluppo di progetti a basso impatto ambientale. Fino a luglio ho vissuto a Città del Capo con la mia famiglia poi sono rientrato a Cagliari a causa del Covid. Sto pensando di lanciare un progetto imprenditoriale qui, ma ci vogliono le giuste premesse».

Ci sta pensando anche Carmine Paolo De Salvo, 36 anni, lucano e funzionario della Banca Interamericana di Sviluppo, dove si occupa dei progetti di sviluppo agricolo ad Haiti: «L’emigrazione delle giovani generazioni è un problema ben più grave degli sbarchi dei migranti a Lampedusa. Il mio contributo? Potrei aiutare chi intende investire in agricoltura innovativa a reperire fondi e scrivere piani di sviluppo. E poi, dopo 12 anni all’estero, non mi dispiacerebbe avviare un’attività per rilanciare la Basilicata».

Tony Azzarelli, 57 anni, originario di Pozzallo, il paese più a Sud d’Italia, da 27 vive nel Regno Unito, è un ingegnere delle telecomunicazioni satellitari: «Mi sono laureato al Politecnico di Torino, una città dove mi piacerebbe trasferire la mia azienda». Tony è un imprenditore, si occupa di tecnologie spaziali, progetta soluzioni per andare sulla Luna. «Potrei tornare entro i prossimi cinque anni, nel frattempo metterò le mie competenze a disposizione dei giovani. Ma la Rete dei Talenti deve essere affiancata da maggior sostegno economico alle piccole imprese per sostenere chi ha idee ingegnose». Anche Pamela Campa, professore associato in Economia alla Stockholm School of Economics, dove si occupa di economia ambientale e di genere, è pronta a offrire una mano a chi intende dare un futuro al paese: «Manca un’idea di Paese, probabilmente perché non c’è una classe dirigente all’altezza. Il futuro che mi immagino? Con meno disuguaglianze di genere e più attento all’ambiente, due ambiti di cui mi occupo e su cui potrei offrire aiuto».

È rientrata in Italia anche la giovane economista Federica Daniele. Lavorava nella sede parigina dell’Ocse, oggi sta a Roma in Banca d’Italia. Nel frattempo ha presentato una proposta per meglio sfruttare le rimesse economiche degli italiani, che è stata presentata a inizio 2020 all’incontro Rimesse 2.0, organizzato a Parigi in febbraio, in collaborazione con l’associazione Movimenta: «Secondo il Fondo Monetario Internazionale, dal 2006 al 2019 il valore nominale espresso in dollari delle rimesse in entrata in Italia è cresciuto al tasso annuale del 7,5 per cento. Questi capitali in entrata possono essere convogliati in spesa per l’innovazione e rappresentare quindi un’opportunità per il nostro paese attraverso l’impact investing, ossia finanza che consente a capitali privati di essere incanalati in progetti d’investimento aventi un’utilità pubblica e quindi di coniugare rendimento economico e impatto sociale. Si potrebbero strutturare dei Sib, cioè dei Social Impact Bond, tarati su obiettivi di natura locale, che si sposino bene con l’obiettivo di coinvolgere finanziariamente e tramite lo scambio di idee gli italiani all’estero in progetti di sviluppo dei rispettivi territori d’origine».

Un altro fronte su cui la Conferenza di Valutazione suggerisce di lavorare è l’attrattività di talenti stranieri. Mathew Diamond, neuroscienziato cognitivo e vicedirettore alla Sissa di Trieste è arrivato in Friuli Venezia Giulia nel 1996: «Ero affascinato dalla cultura italiana, ma se non avessi trovato un lavoro interessante, non avrei sacrificato la mia carriera». L’opportunità arriva: un incarico alla Sissa, Scuola Internazionale di Studi Avanzati, polo universitario di altissimo livello dove, non a caso, il 30 per cento del personale scientifico è straniero: «È una scuola internazionale e, di default, si parla inglese. Se questo fosse la norma in tutte le università, allora sarebbe più facile attrarre ricercatori da tutto il mondo». Secondo Diamond l’Italia resta un paese attraente per molti scienziati e docenti di spicco: «Molti ex studenti della Sissa a malincuore lasciano il Bel Paese terminato il proprio percorso. Ma le opportunità sono davvero poche, nonostante le università siano di alto livello. Bisogna fare di più: semplificare il sistema di abilitazione e l’accesso nel mondo accademico e favorire un sistema di finanziamento più regolare. Servono almeno due miliardi l’anno per offrire maggiore stabilità ai ricercatori».

Chi sceglie di vivere in Italia lo fa soprattutto per la qualità della vita, pur dovendo fare i conti con stipendi bassi e lungaggini burocratiche. Riri Nakamura è giapponese, lavora come location specialist per il mercato giapponese da Yoox Net à Porter, multinazionale della moda: «Dalla selezione all’assunzione è passato oltre un anno a causa di problemi con il visto». È la burocrazia il primo ostacolo incontrato dai talenti stranieri. Il secondo neo è la busta paga: «Se fossi rimasta a lavorare in Giappone avrei avuto uno stipendio più alto. Però ho scelto di vivere a Bologna perché la qualità della vita è eccellente. E so per certo che questa è la motivazione che ha spinto molti altri colleghi a sacrificare salari maggiori in cambio della dolce vita». Poi c’è chi è stato scelto dall’Italia, come Blane Chapman, inglese, 31 anni, manager di Luxottica: «L’Italia dovrebbe meglio raccontare al mondo cosa significa vivere qui, l’Italian experience, che convincerebbe molti a cercare lavoro nel Bel Paese».

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