I sistemi sanitari regionali stanno distribuendo quasi solo mascherine chirurgiche, che evitano di infettare ma non di essere infettati. E si contano i primi morti. «E non ci vengono fornite nemmeno scarpe, sovrascarpe, cappelli, tute, guanti, visori. Ma tutti hanno bisogno delle nostre cure. Non ci sono malati, e morti, di serie A e di serie B»
Coronavirus, medici di base senza protezioni: «Se ci ammaliamo contagiamo i pazienti»
Coronavirus, medici di base senza protezioni: «Se ci ammaliamo contagiamo i pazienti»
I sistemi sanitari regionali stanno distribuendo quasi solo mascherine chirurgiche, che evitano di infettare ma non di essere infettati. E si contano i primi morti. «E non ci vengono fornite nemmeno scarpe, sovrascarpe, cappelli, tute, guanti, visori. Ma tutti hanno bisogno delle nostre cure. Non ci sono malati, e morti, di serie A e di serie B»
Una mascherina con dentro un assorbente. Una precauzione senza logica, e sicuramente inefficace a prevenire il contagio. Un gesto irrazionale, come quasi tutti quelli dettati dalla paura, in questo caso di ammalarsi. “So bene che non serve a molto, ma mi fa sentire più al sicuro”, spiega P., medico di famiglia. Vive e lavora nelle Marche, una delle regioni più colpite dal contagio. Ha una lunghissima carriera alle spalle – «Quasi una vita, 40 anni» – e ora, come tutti i suoi colleghi alle prese con l’epidemia di coronavirus: «Noi cerchiamo di continuare ad aiutare il più possibile i nostri pazienti, utilizzando la telemedicina. Ma ci sono casi che necessitano una visita in studio o a casa: e in quei casi i dispositivi di protezione non sono all’altezza». thumbnail-WhatsApp-Image-2020-03-24-at-15-02-32-jpg
P. ha ricevuto infatti solo mascherine chirurgiche. «Sappiamo tutti ormai che sono utili solo a non trasmettere il virus se si è infetti, non a proteggersi dal contagio come le FFP2 o le FFP3», dice preoccupata. «Se noi ci ammaliamo, non mettiamo solo a rischio la nostra salute, ma anche quella di quei pazienti che ancora visitiamo».
«È stata una situazione forse sottovalutata all’inizio», racconta F., medico che lavora a Roma. «Quando ancora non era stato imposto il distanziamento sociale, gli studi erano pieni come sempre. Un rischio molto alto: non solo per noi, ma anche per i nostri pazienti. Allora, forse più di adesso, è stato un periodo psicologicamente provante».
Nella guerra contro il coronavirus, se gli ospedali sono la prima fila di trincea, i medici di famiglia sono la seconda. Anche tra di loro si contano vittime – ad oggi la metà dei 31 medici morti è un medico di base – e contagiati, e la preoccupazione cresce con il passare dei giorni. Ogni sistema sanitario regionale e ogni Asl (quasi 300 in tutta Italia), cerca di sostenerli come può. Ma non sempre i dispositivi di protezioni forniti sono sufficienti a tenerli al sicuro.
«Adesso sembra che viviamo in un mondo mascherina: ne chiediamo agli altri paesi, facciamo riconvertire le fabbriche per farne produrre di più. Ma non bastano solo queste, né tutte sono adeguate a proteggere», afferma Claudio Cricelli, presidente della SIMG, la Società italiana di medicina generale.
«Abbiamo bisogno di protezioni che non sono state neanche predisposte, come quelle totali. E non ci vengono fornite nemmeno scarpe, sovrascarpe, cappelli, tute, guanti, visori, i disinfettanti per sanificare gli ambulatori», continua.
Il problema principale: in Italia il numero di contagiati è almeno dieci volte superiore a quello comunicato dal bollettino quotidiano, e i medici di famiglia non sempre possono evitare le visite. «Anche se lo facciamo il più possibile: ormai i consulti sono fatti con il cellulare, stiamo cercando di realizzare il più possibile dei monitoraggi telematici, mandiamo le ricette per sms. E questo forse è un lato positivo di questa situazione: anche dopo questa crisi continueremo a risparmiare carta e a evitare le file ai nostri pazienti», racconta Cricelli.
Le protezioni, però, servono: «Non ne abbiamo a sufficienza. Quello che sembra passato in secondo piano è che in Italia ci sono milioni di persone malate di cuore, di diabete, di cancro. Loro hanno bisogno delle nostre cure. Prima del Covid-19 in Italia morivano circa 200 persone al giorno, e sono tante le persone ammalate che si spengono in questi giorni: tutti hanno bisogno delle nostre cure. Non ci sono malati, e morti, di serie a e di serie B».