Opinione

Gli esperti e gli scienziati vanno ascoltati: ma poi è la politica che deve avere l'ultima parola

di Donatella Di Cesare   26 marzo 2020

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I governanti non possono restare succubi degli economisti come dei virologi e non possono abdicare alla scienza. Sarebbe gravissimo

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Da quando il coronavirus si è impossessato dello spazio pubblico, scandendo l’agenda di notiziari, giornali, rubriche, gli esponenti di maggioranza e opposizione sembrano spariti. Con poche eccezioni, come quella del capo del governo. Nei giorni in cui andava emergendo l’infezione virale alcuni politici hanno invocato a gran voce i medici. Hanno, anzi, ribadito di non voler fare altro che rimettersi alla scienza. «Lasciamo parlare gli esperti!».

Affermazioni del genere sono state accolte come se fossero un’ovvietà. Molti commentatori hanno anzi sostenuto che questa sarebbe l’occasione per considerare i danni provocati dall’incompetenza. Così si è passati dal Partito complottista dei NoVax al Partito scientista dello Stato medico.

È gravissimo che la politica abdichi apertamente alla scienza. Subalterna al dettato dell’economia, ridotta a governance amministrativa, la politica conserva ormai un margine strettissimo che rischierebbe di svanire del tutto. Perciò non può sottrarsi alle proprie responsabilità.

Certo che l’incompetenza è dannosa. Non ci si può improvvisare economisti, giuristi, costituzionalisti, ecc. Né tanto meno politici (e nemmeno filosofi!). Si è pagato un caro prezzo per l’idea che il cittadino qualunque possa, dall’oggi al domani, svolgere tranquillamente le funzioni del deputato. Ammettere questo non significa, però, avallare il regime degli esperti. Il rischio per la democrazia sarebbe enorme.

Editoriale
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23/3/2020
Non c’è talkshow che non abbia l’esperto di turno negli ambiti più disparati. La frequenza di questa figura va ricondotta alla iperspecializzazione della scienza e alla crescente complessità. Spesso si usa erroneamente il termine “esperto” come sinonimo di “scienziato”. Si deve invece distinguere. Per lo scienziato la propria ricerca è parziale, provvisoria. Al contrario l’esperto, sotto la pressione dell’opinione pubblica, desiderosa di sapere e di prevedere, ha bisogno di risposte certe, di dati operativi. Nel gioco di interessi economici e politici contrastanti - attenzione non è neutrale! - l’esperto fornisce un parere che ha l’aura della scientificità. Ma lo scienziato spesso non lo riconosce come tale. Il rapporto tra i due è sempre segnato dall’attrito. Inoltre quel parere, una volta affidato al flusso rapidissimo dei media, cambia, si altera. Capita che sia lo stesso esperto a mutare parere nel giro di pochi giorni. Non è forse un essere umano? Nel frattempo la sua competenza, ostentata in cifre, tabelle, grafici, ha azzittito e deresponsabilizzato milioni di cittadini la cui facoltà di giudizio viene così intaccata ed erosa.

Il politico si rivolge all’esperto che dovrebbe agevolargli la scelta con dati e informazioni. In situazioni d’emergenza, come quella del coronavirus, può persino concedergli la scena. Ma se è prudente ricorrere al parere dell’esperto, è sbagliato lasciargli l’ultima parola, come se il suo giudizio fosse un responso definitivo, l’istanza decisionale suprema. La sua autorità illimitata si staglia già sovranamente nella sfera oscura dell’eccezione. Ecco perché l’abbandono fideistico nei poteri della sua perizia, questa nuova superstizione del nostro tempo, nasconde pericoli imponderabili.

La politica non può limitarsi a eseguire le indicazioni degli esperti. E il politico non è l’esperto degli esperti, l’ipertecnico della programmazione, che nel migliore dei casi sa amministrare, sa scegliere i mezzi del governo, ma non sa più vedere a qual fine, senza, anzi, riuscire più a decidere i fini. Il tormento della decisione, il fardello della responsabilità è il cardine della politica.