Una nuova filiera ideata dall'assessorato alla Salute della Regione, la seconda più colpita dal Covid-19. Che mette insieme pubblico e aziende private, il distretto della moda di Carpi e il Tecnopolo Biomedicale di Mirandola. «Entro il 20 aprile contiamo di coprire metà del fabbisogno del personale sanitario»
Nel grande caos delle mascherine c'è un punto fermo, anzi due. Primo: ne servono tante, tantissime, decine di milioni al giorno, centinaia di milioni alla settimana, per soddisfare il fabbisogno del personale sanitario e dei cittadini. Già nella "fase uno", in cui ci troviamo, e a maggior ragione nella "fase due", quando arriverà. Secondo: l'Italia non è in grado da sola di produrre la quantità necessaria, neanche lontanamente. E infatti nelle farmacie sono introvabili o quasi, oppure vendute a prezzi stellari. E dunque siamo costretti a procurarcele altrove, soprattutto in Cina.
Il commissario straordinario per l'emergenza coronavirus,
Domenico Arcuri, ha affermato
che per le prossime settimane l'Italia potrà contare su 650 milioni di mascherine e nei prossimi giorni arriveranno 17 voli cargo con dispositivi di protezione individuale. Quanto alle aziende italiane hanno deciso di riconvertirsi alla produzione di mascherine grazie
al decreto "Cura Italia" del 17 marzo, Arcuri ha sottolineato: «A ieri sera avevamo ricevuto 479 domande, 32 più di sabato; sono stati approvati i primi 36 investimenti per un totale di 16,3 milioni, ancora sabato scorso erano 30». Finora solo quaranta aziende hanno ottenuto l'autorizzazione dell'Istituto Superiore di Sanità.
In questo grande caos
la Regione Emilia-Romagna, seconda per numero di contagi dopo la Lombardia, fin dallo scoppio dell'emergenza
ha costruito una filiera locale che punta a diventare autosufficiente, in cui ha coinvolto in maniera diretta otto aziende (alcune delle quali del distretto moda di Carpi), il Tecnopolo Biomedicale di Mirandola, l'Università di Bologna, alcuni laboratori, enti certificatori e Art-ER, la società consortile della Regione per lo sviluppo dell’innovazione e della conoscenza.
Una sorta di "modello emiliano", forse replicabile altrove, di collaborazione tra sanità pubblica e imprese private per produrre mascherine chirurgiche, visiere, occhiali, camici, calzari, cuffie e altri dispositivi di protezione individuale destinati al personale delle aziende sanitarie e ospedaliere, ai medici di famiglia, alle strutture e alle residenze per disabili, anziani e malati psichiatrici. Un comparto che necessita di 350mila mascherine al giorno. «Entro il 20 aprile puntiamo a coprire la metà del nostro fabbisogno», dice Valentina Solfrini, responsabile dell'Area farmaci e dispositivi medici dell'assessorato alla Salute della Regione Emilia-Romagna. Medico specialista in Igiene, la dottoressa è in prima linea nella gestione della filiera.
«Il progetto è nato dall’intuizione dell’assessore regionale alla Sanità, Raffaele Donini, e della dottoressa Kyriakoula Petropulacos, direttore generale cura della persona, salute e welfare. Erano arrivate mail, segnalazioni di sindaci e associazioni industriali, loro hanno pensato di offrire un supporto diretto e concreto alle imprese che intendevano riconvertirsi alla produzione di mascherine», aggiunge Solfrini, che si reca insieme a infermieri esperti negli stabilimenti, segue le aziende mentre mettono a punto materiali, prototipi e modificano i macchinari finora destinati ad altre produzioni, dispensa consigli durante il procedimento che conduce alla certificazione.
Una delle otto aziende è la Nuova Sapi di San Donnino di Casalgrande (Reggio Emilia), da oltre quarant'anni nel campo della pulizia industriale, del food e del medicale. Grazie alla sinergia con gli attori pubblici e privati (tra cui Unindustria Reggio Emilia e Confindustria Emilia-Romagna), l'azienda si è riconvertita e ha messo a punto quasi un mese fa il primo esemplare di mascherina chirurgica composta da tre strati di tessuto non tessuto: quello esterno idrorepellente, quello più interno antibatterico, il terzo delicato e anallergico per evitare abrasioni sul volto di chi lo indossa. Per il confezionamento Nuova Sapi si affida ad altre imprese della zona. «Hanno già ottenuto le certificazioni e aspettano entro Pasqua il via libera dell'Istituto Superiore di Sanità. Fanno 100mila mascherine al giorno, ma l'obiettivo è aumentare gradualmente la produzione fino a 150mila», aggiunge Solfrini.
Le aziende locali hanno ricevuto anche un vademecum per produrre secondo le prescrizioni del decreto "Cura Italia": in sostanza, chi intende avvalersi della deroga alle norme dovrà inviare all’Istituto Superiore di Sanità un’autocertificazione in cui dichiara le caratteristiche tecniche delle mascherine e che queste rispettano i requisiti di sicurezza della normativa vigente, così da poter avviare la produzione. Entro tre giorni le imprese devono trasmettere all’Iss ogni elemento utile per la validazione, l'Istituto si pronuncia entro i due giorni successivi: in caso di parere negativo il produttore deve cessare la produzione. «C'è un equivoco: molte aziende pensano che basti l'autocertificazione per cominciare a produrre, in realtà bisogna fare i test. Ovviamente si tratta di una procedura molto controllata: le mascherine dovranno essere testate e risultare conforme allo standard EN 14683, e allo standard ISO 10993 e dovranno essere prodotte da un’azienda che ha un sistema produttivo di qualità certificato», sottolinea Solfrini.
In Emilia-Romagna, spiega, i laboratori in grado di testare e dichiarare la conformità di mascherine chirurgiche agli standard sono l’Università di Bologna e il Tecnopolo di Mirandola, «che hanno definito una procedura interna per rispondere in modo tempestivo alle richieste delle imprese compatibilmente con i tempi tecnici dei test". Perché non basta essere pronti a produrre, ma occorre rispettare gli standard di qualità.
Ai blocchi di partenza c'è anche Staff Jersey, azienda del distretto moda di Carpi (780 imprese in provincia di Modena) che produce tessuti per lo sport e il lavoro. Potrebbe produrre a breve mascherine e camici idrorepellenti e lavabili, dopo aver modificato ad hoc tre macchinari. Il tipo di cotone individuato, un cotone puro al 100 per cento sterilizzabile, arriva dalla sua attività di ricerca e sviluppo, e sono pronte anche le aziende che confezionano abiti e maglieria, che operano nella catena della subfornitura o che producono propri marchi. Un progetto di filiera, una trentina di imprese finora, di cui tira le fila Carpi Fashion System. «Siamo stati molto rigorosi, fin da subito ho detto: "Ci sto, ma partirò appena ottenuta la certificazione"», dice dice Federico Poletti, uno dei tre soci fondatori di Staff Jersey: «Dopo il buon esito dei test, entro questa settimana contiamo di ricevere il via libera dell'Istituto Superiore di Sanità, per cominciare subito dopo Pasqua: all'inizio 50mila mascherine al giorno, poi aumenteremo e estenderemo ad altri prodotti utili a proteggere le persone in prima linea», aggiunge Poletti.
Tra le altre cose, il personale sanitario ha bisogno di occhiali protettivi e visiere. Fanno parte della filiera anche Nannini Italian Quality (Reggio Emilia), produttore di maschere protettive da moto, e Raleri (Bologna), esperta nello sviluppo di materiali ottici innovativi ad alto contenuto tecnologico. «Intorno al 10 marzo abbiamo ricevuto una richiesta di fornitura di occhiali protettivi da parte del comando reggiano dei Vigili del Fuoco, dove scarseggiavano i materiali di protezione individuale», dice Alberto Gallinari, direttore commerciale e amministratore di Nannini, che collabora insieme a Raleri, alla Sanità regionale, Unindustria Reggio Emilia, Confindustria Emilia-Romagna e Tecnopolo di Mirandola: «Abbiamo riprogettato un prodotto già esistente: un occhiale da sport, adeguandolo alle nuove esigenze».
Da qui nasce la collaborazione con Raleri, azienda del bolognese esperta nella produzione di occhiali protettivi per differenti ambiti di utilizzo, anche sportivi e visiere proteggi volto. Insieme hanno realizzato una visiera protettiva, progettata e sviluppata da Raleri, e un modello di occhiali protettivi derivati dal progetto Modular, già esistente in Nannini. «La Sanità regionale ci ha supportato e consigliato, devo dire al di sopra di ogni aspettativa. Dal canto nostro abbiamo reingegnerizzato alcuni progetti, investito su nuovi stampi e avviato la collaborazione con Raleri. Ogni giorno produciamo 1.500 visiere, puntiamo a 2.500 entro due settimane, oltre a 750 paia di occhiali di un tipo e 3.500 di un altro. Il primo obiettivo è offrire copertura al fabbisogno della Regione, poi faremo una donazione ai Vigili del Fuoco e all'ospedale di Reggio Emilia», aggiunge il direttore commerciale di Nannini.
Mentre la filiera emilano-romagnola si rafforza, dalla Cina continua ad arrivare materiale sanitario acquistato dalla Regione Emilia-Romagna per far fronte all'emergenza Covid-19. Solo negli ultimi giorni tre aerei con centinaia di metri cubi di materiale destinato alla Protezione civile e alle aziende sanitarie. «Nel breve periodo ne abbiamo bisogno, e dobbiamo considerare che tutta la popolazione potrebbe doverle indossare. È possibile che si diventi indipendenti ma ci vorrà un po' di tempo, bisogna consolidare le nuove filiere e lavorare a renderle competitive», conclude Solfrini: «In ogni caso, questa esperienza ci insegna che esistono settori strategici che devono essere protetti, bisogna decidere che una quota di mercato deve essere dedicata al fabbisogno nazionale».