Princesse è una piccola ivoriana oggi in un centro di accoglienza. Dimenticata dalle istituzioni e ignorata dai decreti dell'emergenza. Una bimba di serie b
I baci sono proibitissimi, oggi. Preziosi come non lo sono stati mai. L’epidemia li ha ridotti a un messaggio scritto, a un suono, a un gesto attraverso lo schermo. Eppure «baci» è l’unica parola che ha imparato Princesse, sei anni, ivoriana. Per lei, come per tutti gli altri bambini del centro di accoglienza, non ci sono nemmeno lezioni virtuali.
Sono stati dimenticati dal sistema scolastico, vengono ignorati dai decreti, che non li riguardano. Come se fossero una sottocategoria di bambini. Hanno vietato gli assembramenti, anche dentro i centri, e come diretta conseguenza non imparano più, neanche l’italiano base.
A Princesse pesa stare chiusa nella sua stanza («Cosa fai tutto il giorno?» «Niente»). In aggiunta lei era chiusa dentro a qualcosa ben prima del Covid: chiusa per mesi in una prigione libica, chiusa per giorni su un gommone in avaria in mezzo al Mediterraneo, chiusa per una settimana sul ponte della Ocean Viking.
Impazziscono i bambini chiusi in casa: lei non ha una casa. A tutti i suoi coetanei manca la scuola. A lei non può mancare: non l’ha mai cominciata. Per Princesse, bambina che appartiene a una sottocategoria, il trauma da Covid non può che essere un “sottotrauma”.
Quando uscirà e entrerà nel mondo – per lei è diverso anche il verbo: non si può dire che «tornerà nel mondo», perché non ci è mai stata – avrà in mano una parola sola: baci. La sua parola preferita, l’unica che conosce. Una parola che acquisterà un significato diverso dopo avere attraversato il Coronavirus. Una parola nuova in mano a una bambina nuova. Il futuro, chissà.