Il ddl Zan scatena resistenze trasversali. In Parlamento e nelle associazioni il dibattito scivola nello scontro ideologico. Finendo così per ricompattare vecchie alleanze e sperimentare nuovi equilibri tra i partiti. Mentre non si fermano gli episodi di intolleranza 

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Ogni volta che in Italia si parla di omosessuali si scatena il putiferio. Dopo 25 anni di tentativi, centinaia di ore di dibattito e sei ipotesi di leggi finite nel cestino, in Parlamento si torna a parlare di omofobia, con la proposta presentata da Alessandro Zan, deputato del Partito Democratico, che in questi giorni sta infiammando commissioni, piazze e associazioni Lgbt. Il testo in discussione estende la sfera di applicazione dell’articolo 604 bis del codice penale aggiungendo le parole «il genere, l’orientamento sessuale, l’identità di genere, il sesso» ampliando il contenuto della legge Mancino, che sanziona e condanna gesti, i reati per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali. Secondo le denunce di Arcigay, nel 2019 sono state 138 le aggressioni omofobe, di cui 74 al nord e l’ultima a Pescara qualche giorno fa, che ha mandato in ospedale un ragazzo con la mascella rotta.

Ddl Zan
Nella legge contro l'omofobia il rischio di "deriva liberticida" non c'è
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Dati che, il 17 maggio, hanno spinto il presidente del Consiglio Giuseppe Conte a richiamare i partiti affinché convergano su un testo e il presidente della Repubblica Sergio Mattarella a spendere parole chiare contro gli atti di omofobia che «costituiscono una violazione del principio di eguaglianza e ledono i diritti umani necessari a un pieno sviluppo della personalità umana».

Quindi tutti d’accordo? Niente affatto. In Parlamento e nelle associazioni il dibattito è scivolato come sempre nello scontro ideologico, finendo per ricompattare vecchie alleanze e sperimentando nuovi equilibri tra i partiti. Il 14 luglio nel centro di Roma, in uno dei palazzi del Vicariato, si è svolta la presentazione del libro “Omofobi per legge? - Colpevoli per non aver commesso il fatto”, iniziativa promossa da una cinquantina di associazioni del mondo cattolico, comprese quelle che si erano staccate dal Family Day del 2015 e del 2016 in contrapposizione a una visione troppo integralista dei no-gender. In quella sede si è ricompattato un movimento pronto a travolgere il ddl Zan: l’evento è stato aperto da una preghiera invocata da don Ivan Maffei, segretario della Cei, e ha visto la partecipazione a sorpresa di Giorgia Meloni e Matteo Salvini.

«Ricevo più di cento offese e insulti ogni giorno, ma di certo non fanno una legge sulla “melonifobia”. Nel nostro ordinamento le offese e le minacce sono già punite, in Italia non c’è un problema di omofobia. Qui l’intento è quello di creare un reato di opinione». La leader di Fratelli d’Italia, così come tutti i relatori intervenuti, si uniscono ai timori della Cei, che in un comunicato ha specificato la paura è quella di non avere più libertà di critica, «sottoporre a procedimento penale chi ritiene che la famiglia esiga per essere tale una mamma e un papà». Tesi sposata in pieno dal leghista Alessandro Pagano, che in commissione è incaricato di fare ostruzionismo al testo. «Questa legge crea una super categoria, gli omosessuali lobbisti, che sovrasta il resto del mondo. Sono loro gli illiberali, noi siamo per la libertà, non siamo complessati come vorrebbero loro», ha affermato.

E dalle parti della maggioranza come va? Italia Viva sta prendendo le misure per una possibile alleanza con Forza Italia, in vista delle elezioni. Lucia Annibali, la renziana che cerca di fare da ponte con i forzisti, ha cercato più volte di prendere tempo. «Dobbiamo cercare un dialogo costruttivo», ha detto. I due partiti stanno convergendo sulla necessità di asciugare il testo: vorrebbero mantenere solo la parte di contrasto alla violenza di genere, stralciando gli articoli che puntano alla sensibilizzazione, con l’istituzione di una Giornata nazionale contro l’omofobia (il 17 maggio), il potenziamento delle competenze dell’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni (Unar) in materia, mentre i 4 milioni di maggiori fondi per il Dipartimento per le pari opportunità sono già entrati in un articolo del dl Rilancio. Il senatore forzista Lucio Malan, testo alla mano, indica tutti gli articoli che andranno cambiati: «L’aggravante può restare. Anche se a questo punto possiamo anche mettere l’aggravante per chi picchia una persona che ha un piercing o è in sovrappeso. Ma la libertà va tutelata: si puniscono gli atti di discriminazione, ma non è detto che un atto non sia un’opinione. Un fotografo che dice no a una coppia di uomini per un’unione civile è un atto. La battaglia sarà sulla libertà».

Il libro
«Mio fratello mi ha accoltellato alla gola. Perché sono gay»
16/6/2020
Pesano anche i fantasmi della proposta di legge Scalfarotto, abbandonata in Senato nel 2013: il deputato Enrico Costa, Forza Italia, presenta un emendamento molto simile a quello di qualche anno fa passato alle cronache come emendamento Gitti-Verini, il “salva associazioni”, che proteggerebbe gruppi dichiaratamente omofobi grazie all’inserimento di un comma: «Non costituiscono discriminazione la libera espressione di convincimenti o opinioni riconducibili al pluralismo delle idee», anche nel caso siano “assunte” in «organizzazioni politiche, sindacali, culturali, religiose». Un pericolo per i deputati dem.

Il Partito Democratico, compatto in commissione, si è spaccato nelle chat interne, dove un gruppo di femministe tra cui Andrea Catizone, Fabrizia Giuliani e Valeria Fedeli, critica aspramente il testo perché ritenuto contrario alle donne. Chat dalla quale la madre delle unioni civili, Monica Cirinnà, si sarebbe dissociata abbandonando il gruppo virtuale.

Poi c’è il Movimento 5 stelle, che sul tema sta mantenendo un silenzio tombale. Nel 2016 i grillini fecero mancare il loro appoggio alle unioni civili pochi minuti prima di entrare in aula, costringendo il governo Renzi al voto di fiducia. Una ferita che ancora brucia nei dem, ma stavolta a giurare sulla fedeltà dei pentastellati sono proprio quelli della Lega, anche perché oggi sono in maggioranza e con l’endorsement di Conte al testo un forfait sarebbe ingiustificato.

Fuori dai palazzi i favorevoli e i contrari si scontrano a suon di iniziative e atti amministrativi. C’è un vento che soffia da Comune a Comune e parte da Verona, città simbolo dell’opposizione alla comunità Lgbt, teatro del “Congresso delle Famiglie” nel 2019. Qui, il Comune ha approvato una mozione che fa riferimento al comunicato della Cei intitolato “Omofobia, non serve una nuova legge”: nel testo, che mette al centro il contrasto all’ideologia gender, si legge che «detta normativa renderebbe impossibile criticare uno stile di vita omosessualista o manifestare contrarietà allo svolgimento di gay pride davanti a luoghi di culto». Non una novità: nel 1995 Verona approvò una mozione contro le coppie di fatto.

Oggi arriva l’ultima presa di posizione che fortifica l’identità ultracattolica, di estrema destra, dell’amministrazione locale che la firma.

Le mozioni sono simboli, atti che che indicano il sentimento e la politica di una città. Verona si conferma con le sue mozioni (mai stralciate) una città contro le coppie di fatto, una citta della vita contro l’aborto, a favore dell’omofobia. E ha fatto scuola. Anche Ferrara, passata al Carroccio dopo 70 anni di governi di sinistra, ha approvato un ordine del giorno per dire: «Le persone omosessuali al momento non rappresentano la categoria più debole». E così ha negato il sostegno, anche simbolico, alla legge Zan in discussione a Roma: «Un vuoto normativo che non c’è».

L’omofobia istituzionale si conferma di passo in passo in ogni città. A Pescara la giunta si è rifiutata di esprimere solidarietà a un ragazzo massacrato di botte perché teneva per mano il fidanzato sul lungomare. In sei gli hanno frantumato la mascella. E ha deciso di respingere la mozione di solidarietà perché «non si è trattato un episodio omofobico».

E su questa scia si muovono le opposizioni di piazza anti-Lgbt che hanno organizzato le “Cento piazze contro il ddl Zan” e il flash mob “Restiamo Liberi”, che accusa la proposta di legge di essere liberticida. La mobilitazione si è estesa da Milano a Palermo, ma con scarso interesse di pubblico.

Nonostante le misure di prevenzione anti-Covid che impongono il distanziamento sociale e vietano gli assembramenti, dopo una lunga assenza sono tornate anche le “Sentinelle in Piedi”.

Le cento piazze per dire no al ddl Zan non si presentano però come una novità: la “missione nelle 100 piazze”, infatti, era nata come iniziativa del Cammino Neocatecumenale durante l’Anno della Fede indetto da Benedetto XVI nel 2012. Oggi l’iniziativa viene sfruttata per lanciare un messaggio sottile alla politica, in vista del Family Day.

Così Mario Adinolfi del Popolo per la Famiglia, Massimo Gandolfini del Family Day e Simone Pillon della Lega hanno trovato grazie al ddl nuovo spazio nel dibattito pubblico e ricompattato il mondo cattolico con partiti come Forza Italia e Lega Nord che oggi, forti dei sondaggi, sono pronti alle elezioni.