"Sinistra, hai perso il senso della realtà": l’accusa delle Sardine all’area dem
"Le sconfitte elettorali sono il rovescio di una politica che ha curato il proprio orto anziché seminare il campo riformista". Giovani, lavoratori, pensionati: ecco chi non si sente più rappresentato
L’aver assunto il compito di governare, o comunque essersi fatto carico responsabilmente delle ristrutturazioni di sistema - che in maniera chiara non avevano al centro la ridistribuzione della ricchezza, l’estensione dei diritti e il rafforzamento dello stato sociale - nel mentre si perseguiva l’attacco ai salari e ai diritti, e per questa via si minava la condizione materiale di vita delle famiglie, ha fatto sì che venisse meno, e in alcuni casi crollasse, la fiducia dell’elettorato nei confronti di quelle formazioni che si presentavano come eredi di una tradizione di sinistra.
Una sinistra il cui isolamento, in primis dalle sue componenti elettorali, e le sue sconfitte sono l’evidente limite dettato da un’incapacità politica di sintesi su tematiche sociali e approcci sistemici. Senza una visione, senza un concreto rapporto con la storica base culturale, è stato inevitabile per la sinistra italiana polverizzarsi e arroccarsi in angoli “confort” dove era più semplice curare il piccolo orto piuttosto che seminare un ampio campo riformista. Il progetto comune della sinistra non ha saputo reggere all’applicazione reale, non è andato oltre e perso il termometro del paese, non è stato più in grado di analizzare e dare risposte reali ad un paese che cambia.
Le nuove generazioni, in questo procedere a tentoni della sinistra italiana, sono cresciute, le famiglie e i loro bisogni sono cambiati e il modello di società ha subito mutamenti di forte impatto sociale. Oggi il modello capitalistico-privatistico ha creato ambiti malsani nella gestione della cosa pubblica e nella formazione stessa delle coscienze sociali. Una società dell’ora e subito, del materialismo come punto cardinale, del produrre piuttosto che dell’essere, ha ribaltato un concetto chiave per lo sviluppo intellettuale dei popoli: la forma è divenuta sostanza. Questa tendenza si è concretizzata spesso con la semplificazione e la banalizzazione delle complessità politiche, nell’assalto al processo formativo delle giovani generazioni (ma non solo) che ha diminuito di molto l’approccio critico. Pensare di meno, affidarsi agli stregoni politici di turno, creare un pantano informativo di bassa lega ha sedimentato una massa “poco” attenta e spesso “per nulla critica” che si è auto-estromessa dai processi politici e decisionali di un paese. Massa che ha demandato le proprie scelte a qualcuno o qualcosa senza capire bene il processo di depotenziamento di cui è stata vittima.
Il precipitare delle condizioni materiali di vita delle famiglie, l’ampliarsi della forbice delle diseguaglianza sociale (in Italia tra le più alte d’Europa) , l’incapacità e spesso l’inadeguatezza degli strumenti politici che avrebbero dovuto analizzare e affrontare i bisogni venutisi a creare e spesso negati, ha fatto sì che si giungesse ad un tasso di sfiducia sempre maggiore e che quel’elettorato, storicamente saldo, cominciasse ad avere un aspetto fluido e a volte schizofrenico.
I sovranismi acquistano spazio proprio dove si è generato un “vuoto di sinistra”. Un vuoto dove ha perso identità la fabbrica, il lavoratore, luoghi e categorie ormai divenute lontane dai salotti della sinistra 3.0. Il pensionato si è sentito un peso per una politica dove il sociale è stato marginalizzato, i giovani hanno visto crollare le sicurezza (qualora vi fossero mai state) di un futuro da determinarsi. In questo vuoto non possono mancare le famiglie, destrutturate da una società che le aggredisce economicamente ma anche in termini di valore assoluto.
Quelle che decenni fa erano le classi dirigenti, formate e proiettate a governare i processi di un Paese, oggi sono “gli eterni giovani” incapaci e che devono aspettare il loro turno, senza sapere se arriverà il proprio turno, poiché la politica e la società, pur avendo perso la capacità di analisi, si chiude a riccio per mantenere in piedi un sistema chiaramente antiquato e di controllo fine a se stesso.
L’antipolitica e l’assalto morale agli strumenti e ai fondamenti democratici passano anche attraverso questo: la fiducia diventa sfiducia, e la sfiducia odio fine a se stesso, un odio che destruttura e non costruisce. Proprio quello di cui una società che vuole migliorare e cambiare non ha bisogno.
Quando una società fagocita il tempo dei propri cittadini, quando il potere d’acquisto dei salari crolla, quando la formazione culturale viene falciata, quando gli spettri della disoccupazione e della povertà aggrediscono le masse, diventa più problematico parlare alla testa e molto più produttivo (in termini elettorali) rivolgersi alla “pancia”. Così parlare di istituzioni, principi democratici, unità del paese diventano concetti vaghi e fuori dalla percezione primaria dei cittadini.
Il fallimento della sinistra non sta nel non aver capito (sul quale dovrebbe fare un mea culpa) ma nel non essere stata in grado (è una conseguenza) di dare delle risposte ad una deriva socio-economica in cui il paese stava e sta andando. Nel non esercitare più il suo ruolo di indagine, di formazione e collante sociale non solo ha diminuito il suo spessore intellettuale, ma non è stata in grado di pensare e costruire un modello “altro”, diverso e più di “sinistra”.
La sinistra non si è posta il problema di come rielaborare il suo operato politico, non è stata in grado di fare autocritica e di aggiustare il tiro su una società che cambiava e continua a farlo. Una serie di piccoli feudi e interessi insiti nelle compagini politiche della sinistra hanno creato un solco profondo con la base e non sono state in grado (o non hanno voluto) di creare una classe politica all’altezza delle sfide attuali.
Questo ha comportato che ciò che poteva essere alternativo e virtuoso apparisse come l’ennesimo strumento mediocre per il mantenimento dello status quo.
La fiducia oggi, negata alla sinistra, è una fiducia che è sfuggita dalla sua compagine elettiva e di conseguenza non è riuscita ad avere capacità attrattiva, la sua identità si è volatilizzata nei palazzi, la sua incapacità di approccio si è riversata sui territori e nel tessuto sociale, generando macerie dove prima si era costruito.
Ripartire oggi da questa condizione, non significa garantire numeri, prendere scorciatoie di potere o fare aggiustamenti di prossimità, significa ripensare interamente l’approccio politico, significa formare e strutturare le classi politiche affinché siano in grado di leggere una realtà e una società che inevitabilmente cambia e esprime nuovi interessi e veicola alle amministrazioni nuovi problemi. Rappresentare oggi la sinistra significa “programmarsi” per una battaglia non solo politica, ma culturale. Cambiare il punto di vista dei politici in primis e delle cose verso una società ampia, accogliente, pensante e partecipe.
I giovani, le persone non credo che chiedano la rivoluzione o la presa del palazzo d’inverno, ma vogliono rimettersi in marcia, vogliono sentirsi partecipi nella costruzione di una società nuova e vogliono sentirsi apportatori di visioni che modellino il cammino verso le proprie esigenze e propri diritti spesso inascoltati.
Impegnarsi in progetto di questa ampia portata significa svolgere il proprio ruolo di cittadini, svolgere una funzione importante, quella di elevare le masse da semplice bacino numerico di voti a soggetto determinante di un paese democratico.
Partendo da questi assunti, solo così alle nuove generazioni potremo chiedere un impegno costante per ricostruire un’identità di sinistra e allontanare le forze disgregatrici.