Agenda Draghi

Il governo Draghi con i ministri quasi tutti del Nord preoccupa il Mezzogiorno

di Antonio Fraschilla   23 febbraio 2021

  • linkedintwitterfacebook

L’ultimo esecutivo di Conte, con il bacino di voti del Sud del 5 Stelle e il dem Provenzano, spostava risorse al meridione. Ora c’è il timore di un cambio di asse per reddito di cittadinanza e fondi europei

La speranza e il timore. La speranza che il governo Draghi grazie alle risorse del Recovery fund provi a ridurre il divario Nord-Sud. Il timore che al di là dell’assenza, tra i nuovi ministri, di meridionali, ad accezione della salernitana Mara Carfagna, con il governo dell’ex capo della Bce si sia spostato un asse politico-culturale verso un pezzo solo del Paese rappresentato, un volto su tutti, dal leghista Giancarlo Giorgetti al ministero dello Sviluppo economico. Da sindaci, docenti, economisti, la classe dirigente meridionale, nelle riflessioni sul nuovo esecutivo emerge questo doppio sentimento: la speranza e il timore.

 

ITALY JUDICIARY JUDICIAL YEAR OPENING

Gli ultimi due governi, il Conte primo e il Conte secondo, grazie anche alla forte spinta del Movimento 5 Stelle che al Sud aveva raccolto messe di voti, hanno in parte riequilibrato una distribuzione delle risorse pubbliche che negli ultimi decenni aveva fatto aumentare a dismisura il divario tra le due aree del Paese. A partire dal reddito di cittadinanza: su 3,5 milioni di beneficiari, 2,2 milioni risiedono al Sud e nelle Isole e questo significa distribuire sul territorio meridionale ogni anno oltre 4 miliardi di euro alle fasce della popolazione più disagiate. Il ministro del Sud uscente, il dem Giuseppe Provenzano, ha consegnato a chi gli è succeduto, Mara Carfagna, un volumetto di sessanta pagine sulla programmazione delle risorse per il Meridione: 140 miliardi da qui al 2030 per il Piano Sud, 40 miliardi di euro da destinare agli sgravi contributivi per le aziende delle regioni povere, il raddoppio degli investimenti per il Meridione nel bilancio statale, passati dai 10 miliardi del 2008 ai 21 miliardi dello scorso anno, facendo rispettare il vincolo del 34 per cento di spesa dello Stato da destinare al Sud in base alla popolazione residente.

 

Luigi Di Maio, Giuseppe Conte e Matteo Salvini

Cosa farà adesso il governo Draghi? Metterà in discussione alcuni interventi come il reddito di cittadinanza? Rimetterà al centro dell’agenda il federalismo fiscale come impostato da Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna e tanto caro alla Lega e a un pezzo di Pd?


Secondo il direttore del centro studi Svimez, Luca Bianchi, «il rischio da molte parti paventato di uno spostamento del baricentro del governo Draghi verso il Nord dovrà essere messo alla prova dei fatti»: «La provenienza geografica dei ministri non può essere un criterio utile per stabilire il grado di nordismo o di sudismo dell’azione di governo. La verifica dipenderà dalle scelte politiche. E due sono i principali banchi di prova: l’attuazione del Recovery fund e l’eventuale attuazione dell’autonomia differenziata. Come Svimez avevamo già criticato il Piano nazionale di ripresa e resilienza predisposto dal governo Conte. Non si può applicare in maniera ragionieristica il criterio del 34 per cento delle risorse del Recovery da destinare al Mezzogiorno in base alla popolazione, perché al Sud si concentrano i ritardi più rilevanti in termini di offerta di servizi pubblici essenziali. E non si può non porre il tema di una riforma della burocrazia e della governance della spesa al Sud».

 

Camera dei Deputati - Consultazioni del presidente del Consiglio incaricato Mario Draghi

Bianchi insiste sul tema dei divari: la spesa pubblica pro-capite per investimenti nella sanità è stata pari a 25 euro nel Meridione, contro i 75 euro del Nord-Est. Al Sud mancano asili nido e il tempo pieno nelle scuole è garantito per meno di un terzo rispetto a regioni come Piemonte o Lombardia: «Concentrare le risorse dove sono più ampi i divari e quindi i fabbisogni non è un atto di generosità verso il Sud ma è l’unica maniera per rispondere all’obiettivo di una crescita più sostenibile. L’Europa ha destinato al nostro Paese la quota più alta di risorse, circa 200 miliardi, in considerazione di questi ampi divari».


La speranza e il timore. Mauro Calise, scrittore e docente dell’Università di Napoli, tende più verso il secondo sentimento. Per lui la strada è segnata e non a causa del nuovo governo, ma perché Draghi non ha altra scelta che concentrare le risorse là dove c’è un tessuto sociale e imprenditoriale che ne consentirà una spesa veloce. «Draghi ha un problema di tempistica, in un anno e qualche mese dovrà avviare una spesa enorme e quindi non mi sorprenderei se iniziasse a lavorare su quello che già conosce e che sa che può camminare. Sotto Roma non c’è una rete imprenditoriale alla quale affidarsi, né una rete bancaria e sociale forte. Il turismo, una delle poche cose che potrebbe aiutare il Sud, è in mano alla Lega. Quindi che può fare Draghi? Poco, non a caso di Sud non se ne parla più e il presidente del Consiglio alla fine ha salvaguardato la linea tecno-finanziaria e industriale sua, l’asse Colao-Franco-Cingolani. Vedremo sul fronte tassazione se ci sarà una ridistribuzione delle risorse, ma certo non vedremo molto sul fronte delle infrastrutture. Tutto questo avrà comunque delle conseguenze politiche nel medio periodo, perché la parte debole del Paese sarà ancora più debole e dopo Draghi il conto arriverà».

 

Il nuovo numero
Variante Lega: L’Espresso in edicola e online da domenica 21 febbraio
18/2/2021

Un sindaco di frontiera, impegnato nella battaglia per la riconversione green del più grande polo dell’acciaio a servizio proprio delle industrie del Nord, è più fiducioso. Dice Rinaldo Melucci, primo cittadino di Taranto: «Credo che la vicenda dell’Ilva sia un paradigma per il sistema Paese, non solo perché riguarda anche le manifatture del Nord, ma anche perché qui tutta la classe politica nazionale ha commesso errori enormi. La strada è segnata e va verso una vera transizione ecologica su Taranto. Se ce la fa Taranto, ce la può fare anche il Sud, e anche il Nord ne avrà benefici. Il governo Conte aveva aperto una buona strada con i contratti di sviluppo, i tavoli istituzionali e la semplificazione. E sono convinto che il ministro dello Sviluppo economico può essere anche della Lega. Tanto se non sostiene la transizione ecologica di un polo come quello nostro non va da nessuna parte, né lui né il Nord». Ma un velo di timore c’è: «Al Sud abbiamo accumulato sul fronte delle imprese e delle infrastrutture talmente tanti ritardi che dobbiamo fare in fretta, altro che federalismo differenziato. Ma come si può pensare di stare insieme nella pandemia e poi al primo respiro di novità mettere da parte ogni principio di solidarietà tra le regioni?».

 

Giancarlo Giorgetti e Matteo Salvini


«Se Draghi non ricucirà lo strappo ormai sempre più evidente tra aree dello stesso Paese, e non solo sull’asse Sud-Nord ma anche centro-periferia, città-aree interne, penso che fallirà agli occhi dell’Europa. E in questo senso il Mezzogiorno per lui sarà il principale banco di prova», prevede il sindaco di Palermo Leoluca Orlando. Condivide il presidente dell’Anci e sindaco di Bari, Antonio Decaro: «Provenzano è stato un buon ministro, ma sono convinto che anche Mara Carfagna farà bene. Non credo che il programma per far ripartire il Sud dipenda dalla provenienza territoriale dei ministri e tutti sanno, ormai, che se non riparte il Meridione non riparte nemmeno il resto del Paese».