Il segretario generale Guterres aveva avvertito il Consiglio di sicurezza sull’aumento degli assalti. Un accordo tra Italia e Kinshasa metteva fuori gioco i signori della guerra nella regione in cui il diplomatico e il carabiniere Iacovacci sono stati uccisi

L’omicidio dell’ambasciatore Luca Attanasio, 43 anni, del carabiniere Vittorio Iacovacci, 30, e dell’autista del Programma alimentare mondiale, Mustapha Milambo Baguna, è il sintomo più evidente del fallimento della missione di pace delle Nazioni Unite che da ventun anni tenta di stabilizzare le province orientali della Repubblica Democratica del Congo. Ma è anche un chiaro avvertimento: senza un deterrente internazionale, l’intera regione dei Grandi laghi, che dal Nord al Sud Kivu confina con Uganda, Ruanda e Burundi, precipiterebbe in una nuova carneficina.


Lunedì 22 febbraio, durante il trasferimento dalla città di Goma al paese di Rutshuru, dove Attanasio e i suoi accompagnatori erano attesi in una scuola, la sicurezza dei due fuoristrada era affidata all’Onu. La presenza a bordo di Rocco Leone, il vicedirettore dell’ufficio del Pam in Congo, sopravvissuto al tentativo di sequestro, ha convinto gli organizzatori del viaggio che non fosse necessaria una scorta militare. Il percorso di circa settanta chilometri era infatti considerato moderatamente sicuro. Una valutazione però smentita dallo stesso segretario generale dell’Onu, António Guterres: secondo il suo ultimo rapporto consegnato al Consiglio di sicurezza lo scorso mese di novembre, gli attacchi contro il personale delle Nazioni Unite nella Repubblica Democratica del Congo sono aumentati del 107 per cento.

 

L’attacco in Congo
L’ambasciatore Attanasio temeva per la sua incolumità e stava per ricevere un’auto blindata
23/2/2021

Il resoconto è confermato dall’osservatorio “Kivu Security Tracker” che calcola nelle foreste della ragione l’attività di 109 organizzazioni armate, tra gruppi terroristici e bande criminali, la maggior parte dei quali sconfina dai Paesi vicini. Contro i loro attacchi, Monusco, questo il nome della missione internazionale delle Nazioni Unite, impiega oggi sul campo 17.467 inviati, tra i quali 12.303 militari, 2.970 funzionari civili e 1.403 poliziotti. I primi cinque Paesi di provenienza dei soldati sono, nell’ordine, Pakistan, India, Bangladesh, Indonesia e Sud Africa. E per quanto riguarda le forze di polizia: Senegal, Egitto, Bangladesh, India e Niger.

 

La difesa dei civili e il consolidamento della pace sono quindi affidati anche a eserciti e polizie responsabili, negli Stati di provenienza, di gravi violazioni dei diritti umani. Scandali e denunce di abusi sessuali, che non risparmiano i bambini, hanno accompagnato la presenza dei caschi blu in Congo, tanto che il primo luglio 2010 alla precedente missione Monuc è stato cambiato nome. A questo si aggiungono i costi mostruosi e le accuse di inefficienza.


L’ultimo stanziamento approvato dall’Assemblea generale per il periodo dal primo luglio 2020 al 30 giugno 2021 stima una spesa di un miliardo 154 milioni 140 mila 500 dollari: un miliardo e 75 milioni per il mantenimento della missione, oltre 61 milioni per le spese di supporto alle operazioni, quasi 10 milioni e mezzo per il funzionamento della base logistica di Brindisi e circa 7 milioni per il centro servizi regionale di Entebbe, in Uganda. Ma i dodici milioni e mezzo di congolesi che vivono tra Nord e Sud Kivu, compresi circa quarantasettemila rifugiati dal Burundi, non vedono alcuna ricaduta economica, a parte il solito incasso di bar e prostitute legato al tempo libero dei militari.

 

Le indagini
Congo, muoiono in un’imboscata l’ambasciatore italiano Attanasio e il carabiniere Iacovacci. I terroristi sapevano che non c’era scorta
22/2/2021

A fine novembre 2019, dopo l’omicidio di otto civili nella città di Beni e il rapimento di altri nove da parte del gruppo islamista Allied Democratic Forces, che di democratico non ha proprio nulla, gli abitanti esasperati hanno assaltato e incendiato la base locale della missione. I caschi blu, secondo i testimoni, hanno ucciso due manifestanti. Poi hanno abbandonato la caserma.


La regione, oltre a essere ricchissima di materie prime dal cobalto al petrolio, ospita laghi, vulcani attivi e il paradiso naturale dei gorilla. Da quando la pandemia di Covid-19 ha azzerato l’indotto del turismo, però, le bande si finanziano con i sequestri di persona. Il rapimento dell’ambasciatore italiano per incassare un riscatto potrebbe essere il movente dell’imboscata ai due fuoristrada del Programma alimentare mondiale. Ma il ministero dell’Interno congolese in un tweet, poi rimosso, non ha escluso un attacco mirato.


Se fosse così, le indagini non dovranno trascurare i buoni rapporti tra il presidente della Repubblica, Félix Tshisekedi, e l’Italia. Il 14 settembre 2019 Tshisekedi aveva discusso a Kinshasa con l’amministratore delegato di Eni, Claudio Descalzi, l’avvio di un progetto per la produzione di elettricità da fonti rinnovabili e la sua distribuzione per usi civili e industriali e anche lo sviluppo di iniziative per difendere le foreste dal commercio illegale di legname. Portare energia nella regione dei Grandi laghi, dove Eni dal 2009 è stata autorizzata a condurre studi sui giacimenti di gas e petrolio, toglierebbe potere ai tanti signori della guerra che per estrarre metalli rari, come cobalto e coltan, nelle miniere senza elettricità sfruttano le braccia di migliaia di bambini. Ma soprattutto l’accordo italiano con il governo centrale di Kinshasa metterebbe fuori gioco le varie società di intermediazione con uffici in Sud Africa, Burundi e Uganda che finanziano la guerriglia e non intendono rinunciare alla loro parte di potere e guadagno.

 

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La debolezza della missione Monusco rende il quadro ancor più complicato. La reputazione dei caschi blu è infatti da tempo al minimo, anche per quanto accade al di fuori dei propri compiti. Nonostante la linea dura adottata dalle Nazioni Unite per fermare gli abusi, nel 2017 un militare romeno è stato sospeso per aver messo incinta una ragazza minorenne. E altri cinque colleghi sono stati accusati di violenze e sfruttamento sessuale durante tre mesi di servizio. L’anno dopo si aggiunge la storia di una ragazzina violentata dagli assassini che avevano ucciso i suoi genitori davanti ai suoi occhi, dai soldati governativi inviati a proteggere la comunità e, infine, da un militare della forza multinazionale che si era offerto di aiutarla.


Da allora le linee guida dell’Onu obbligano i comandanti a sensibilizzare il personale e i soldati devono trascorrere il tempo libero in caserma. Davanti ad adolescenti e a volte bambine che si offrono in cambio di qualcosa da mangiare, gli abusi si sono così trasferiti sui mezzi di servizio durante i turni di pattugliamento. Secondo alcune testimonianze, gli ufficiali adesso invitano gli equipaggi a parcheggiare i veicoli bianchi delle Nazioni Unite lontano da bar e club, in modo che possano continuare a fare quello che vogliono senza essere visti. Di fronte a una generazione di ragazzine e ragazzini affamati, bastano una saponetta o qualche spicciolo.


Gli abissi umani raccontati da Joseph Conrad in “Cuore di tenebra” e raffigurati da Francis Ford Coppola in “Apocalypse Now” sono ordinaria quotidianità a nord e sud di Goma. Ed è in questa miscela esplosiva che una delegazione delle Nazioni Unite ha pensato di lasciar partire l’ambasciatore Attanasio e il suo seguito senza alcuna scorta militare.


«Le tante vittime civili hanno portato a un aumento delle manifestazioni e del risentimento contro Monusco», ammette il segretario generale Guterres nell’ultimo rapporto sulla missione: «Da luglio a ottobre sono stati documentati 2747 abusi e violazioni dei diritti umani, una piccola diminuzione rispetto ai quattro mesi precedenti. Agenti statali, in particolare soldati della Repubblica Democratica del Congo, sono responsabili del quarantotto per cento di queste violazioni, mentre il cinquantadue per cento è stato commesso dai gruppi armati... Circa metà di tutte le violazioni documentate tra luglio e ottobre è avvenuta nel Nord Kivu, durante le quali almeno 407 civili (308 uomini, 72 donne e 27 bambini) sono stati uccisi e 237 feriti (188 uomini, 37 donne e 12 bambini) durante gli attacchi e gli scontri tra gruppi armati. Nel conflitto tra comunità del Sud Kivu sono stati invece uccisi trentacinque civili (26 uomini, 8 donne e un bambino) e sono stati distrutti interi villaggi».


Anche la pandemia di Covid-19 è un pretesto per diffondere paura nella popolazione. «Tra luglio e ottobre», aggiunge il segretario generale dell’Onu nella sua relazione sulla missione Monusco, «ventisette violazioni dei diritti umani sono state documentate in relazione all’imposizione delle misure di prevenzione, di cui diciotto commesse da agenti della polizia nazionale congolese. Le violazioni comprendono l’omicidio extragiudiziale di due uomini, il maltrattamento di 42 persone (34 uomini, 5 donne e 3 bambini) e la detenzione illegale di 16 persone (13 uomini e 3 donne)... Sono state inoltre documentate 76 morti in custodia (74 uomini, una donna e un bambino) dovute alle condizioni di detenzione... Circa 50 donne recluse sono state circondate nel cortile e 21 di loro sono state violentate».


Un capitolo è dedicato ai minori. «Nove bambini (quattro femmine e cinque maschi) sono stati uccisi o menomati, compresi due bimbi uccisi dall’esercito della Repubblica Democratica del Congo, durante i combattimenti contro i gruppi armati del Nord Kivu. Trenta ragazze sono state violentate o sottoposte ad altre forme di violenza sessuale, comprese le violenze attribuite ad agenti statali». Di fronte al fallimento della missione, anche il personale delle Nazioni Unite dal 2020 viene preso di mira: «Sono stati registrati 158 attacchi», rivela il segretario generale António Guterres, «il 107,8 per cento in più rispetto agli attacchi documentati nel periodo precedente». Ma lunedì 22 febbraio qualcuno ha garantito che lungo la strada non c’erano pericoli.