Alla fine il «colpo di pistola di Sarajevo» temuto dal segretario del Pd Enrico Letta è stato davvero quel non voto alla fiducia sul ddl Aiuti giovedì scorso da parte del Movimento 5 stelle di Giuseppe Conte. Un gesto che ha dato il via al crollo di un governo che aveva la fiducia al Senato quando il colpo è stato sparato da chi non pensava certo di far cadere l’esecutivo. Invece da quel colpo si è arrivati alla grande guerra tra partiti, presidente del Consiglio Mario Draghi e Quirinale con il risultato che da questa sera il paese ha un governo sfiduciato. E la «splendida giornata», auspicata sempre da Letta che questa volta non ha azzeccato la previsione, si è trasformata in un disastro.
In Senato Draghi ottiene appena 95 sì dopo lo strappo in mattinata di Lega e Forza Italia e nel pomeriggio anche del Movimento 5 stelle. A sostenere ancora l’ex presidente della Bce alla fine restano solo Pd e centristi, aggrappati fino all’ultimo a questo governo che doveva garantire il proseguo della legislatura fino alla scadenza naturale di marzo. Invece adesso il ritorno alle urne ad ottobre sembra certo, a meno di sorprese dell’ultima ora e di conigli dal cilindro che potrebbe tirare fuori il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
La “sfiducia” arriva per il mancato voto da parte di Lega, Forza Italia e Movimento 5 stelle alla mozione Casini, che dava invece ancora fiducia al governo. Dopo una giornata sulle montagne russe alla fine Matteo Salvini lascia la parola al suo braccio destro Stefano Candiani per impallinare Draghi: «La lealtà dei ministri della Lega non è mai venuta meno in tutti i giorni del governo. Noi, presidente Draghi, abbiamo preso nota del suo richiamo sulla democrazia parlamentare ma un Parlamento fatto da transfughi e segnato dalla diaspora del M5s non può garantire stabilità al governo. Il problema non è lei, che è una figura di garanzia e stabilità, ma sono il Pd e il M5s che hanno creato solo fibrillazione in questo percorso.
Tutto è naufragato sull'incoerenza del M5s che in questa maggioranza come già avevamo verificato, ha messo solo fibrillazione su fibrillazione». Anche Forza Italia non vota la fiducia: poco dopo si dimette dal partito la ministra Mariastella Gelmini: «Ho ascoltato gli interventi in Aula della Lega e di Forza Italia, apprendendo la volontaà di non votare la fiducia al governo in un momento drammatico per la vita del Paese. Questa Forza Italia non è il movimento politico in cui ho militato per quasi venticinque anni: non posso restare un minuto di più in questo partito.
Poco dopo è il Movimento 5 stelle che annuncia la sua sfiducia: «Lei, presidente Draghi, aveva detto che un governo di alto profilo non deve identificarsi con nessuna forza politica. Mi permetta di dire che un governo di alto profilo non dovrebbe nemmeno schierarsi nettamente con una forza politica, come invece è stato fatto”m dice la capogruppo del M5s al Senato, Mariolina Castellone.
A favore del governo restano quindi Pd e centristi vari, da Azione di Carlo Calenda a Coraggio Italia al gruppo di Luigi Di Maio passando per Italia Viva. Fine della storia.
In mattinata Draghi, dimissionario dopo il mancato voto dei 5 stelle al ddl Aiuti, si era presentato in Senato per tenere delle comunicazioni. Draghi parla per quasi 20 minuti e di fatto lancia un messaggio chiaro al Parlamento: se dobbiamo andare avanti si devono fare le riforme, anche quelle contestate, dalla norma sulla concorrenza per i tassisti al rinnovo delle concessioni con gara per i balneari, per fare degli esempi.
Il discorso non piace a Silvio Berlusconi e a Matteo Salvini: troppo duro nei toni e senza apertura al dialogo su balneari, tassisti e tasse, appunto. Argomenti molto cari al centrodestra. E a nulla questa volta sono serviti i soliti tentativi dei governisti di Forza Italia e Lega, in primis Renato Brunetta e Giancarlo Giorgetti, per evitare alla fine l’apertura vera della crisi del governo. Riuniti a Villa Grande, a Sud di Roma, i due leader dopo il discorso di Draghi decidono di dare mandato ai propri capigruppo in Senato di chiedere un nuovo esecutivo senza il Movimento 5 stelle di Giuseppe Conte che questa situazione ha creato non votando il ddl Aiuti: «Il Senato accorda il sostegno all'azione di un governo profondamente rinnovato sia per le scelte politiche sia nella composizione», mette nero su bianco il partito di Salvini in una risoluzione firmata dai senatori Roberto Calderoli e dal capogruppo leghista al Senato Massimiliano Romeo. E il forzista Maurizio Gasparri aggiunge: «Se c'è una maggioranza, può governare il Paese con questo presidente del consiglio. Non abbiamo esigenze di poltrone ma di serietà sì e di discontinuità sì. Con chi scambia il Parlamento - che voleva aprire come una scatoletta - per il teatrino della politica non possiamo condividere un percorso, lei presidente Draghi meno ancora di noi». «Stavolta è finita», sussurra subito dopo a Palazzo Madama un componente della segreteria dem, mentre Matteo Renzi ai suoi dice: «Questa volta Draghi ci manda a quel paese». «Conte combina il più epico guaio della storia recente. Ma il centrodestra di governo, geloso, gli ruba in corner, davanti agli Italiani, la responsabilità di far cadere il governo Draghi. Ma davvero stiamo assistendo a tutto questo?», dice il presidente della Liguria e di Italia al Centro, Giovanni Toti.
Nel pomeriggio si spera ancora nella controreplica di Draghi, per trovare spiragli di trattativa con il centrodestra. Invece Draghi attacca sul superbonus e il reddito di cittadinanza, facendo andare su tutte le furie il Movimento 5 stelle. Tenendo però a precisare che «qui nessuno chiede pieni poteri». Frase detta da Giorgia Meloni contro Draghi dopo le comunicazioni della mattina. Alla fine così salta il banco. Il colpo di pistola si trasforma nel caos. Forse quello che voleva lo stesso Draghi, evidentemente in rotta con gran parte della maggioranza e che al presidente Mattarella aveva detto chiaramente di voler lasciare l’incarico già dopo il mancato voto al ddl Aiuti da parte dei 5 stelle. Sono contenti anche i partiti di centrodestra e i loro leader, compreso Silvio Berlusconi, convinti di prendersi il governo e il Parlamento al voto anticipato di ottobre. Gli unici che escono davvero con le ossa rotte da questa giornata sono i dem, che si ritrovano senza governo e senza adesso una vera alleanza forte in vista del voto possibile ad ottobre: «In questo giorno di follia il Parlamento decide di mettersi contro l'Italia – dice Letta – Noi abbiamo messo tutto l'impegno possibile per evitarlo e sostenere il governo Draghi. Gli italiani dimostreranno nelle urne di essere più saggi dei loro rappresentanti».