Istruzione

Un altro studente si è suicidato: aveva annunciato che il giorno dopo si sarebbe laureato

di Chiara Sgreccia   10 dicembre 2023

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studenti Salute mentale

Studiava all'Università Federico II di Napoli e, come in altri casi recenti, aveva detto che avrebbe discusso la tesi il giorno successivo. «Una sconfitta che deve essere motivo di riflessione» ha detto il Rettore. «Siamo stanchi di fare parte di un sistema che non tutela la nostra salute mentale», commentano i ragazzi

«Un altro studente. Stessa storia, stesso schema. Ci risiamo», scrivono sui social gli universitari di “Chiedimi come sto”, la rete di persone nata a tutela della salute mentale dopo che l’omonima indagine nazionale, a cui avevano risposto 36 mila studenti durante la pandemia, realizzata dall’Unione degli universitari e dalla Rete degli studenti medi, aveva descritto la condizione di malessere vissuta dalla maggior parte degli under 30.

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«È successo di nuovo, a Napoli, un ragazzo si è tolto la vita poco prima della sua “presunta” laurea. Sì, presunta, perché per l’ennesima volta uno studente si è sentito in dovere di mentire sul suo percorso accademico a causa delle pressioni costanti che questa società impone ad ognuno di noi. Antonio ha detto che si sarebbe dovuto laureare ma la verità era un’altra. La verità era che il sistema e la società in cui viviamo, puramente basati su una retorica di meritocrazia, di competizione, incentrati sulla logica del “migliore”, hanno fatto in modo che nella sua mente, come anche in quella di altrɜ ragazzɜ, avvenisse un crollo psicologico tale da non riuscire a reggere questa pressione costante e cercare una via alternativa per scappare dalla realtà in cui viviamo. Noi non ci stiamo», chiariscono gli universitari. Stanchi di essere parte di un sistema che non prende abbastanza in considerazione la tutela della salute mentale, nonostante le richieste incessanti e molteplici che avanzano ormai da tre anni. Tanto che “Chiedimi come sto” è diventato anche un disegno di legge per aprire un presidio psicologico in ogni scuola e ogni università, fermo però in Parlamento: «Pretendiamo un sistema scolastico e accademico che non permetta che a uno studentə, a una persona, venga in mente di non valere abbastanza».

 

Antonio aveva 25 anni, era originario della provincia di Caserta, frequentava Economi all’università Federico II di Napoli. Si sarebbe dovuto laureare proprio lo scorso 7 dicembre, il giorno in cui è stato trovato senza vita. Secondo quanto riportano i quotidiani locali, sembra che abbia lasciato un biglietto ai genitori con la spiegazione del suo stato d’animo.

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«Desidero esprimere a nome di tutta la comunità accademica alla famiglia e agli amici di Antonio, il profondo dolore e il senso di smarrimento per una perdita così tragica. La perdita di un nostro studente segna una sconfitta e deve essere motivo di riflessione per noi che abbiamo la responsabilità di accompagnare i ragazzi nella crescita personale e professionale, nella costruzione del progetto di vita, dando sicurezze tanto più necessarie in tempi difficili ed incerti. Un motivo di riflessione anche per le nostre studentesse e i nostri studenti: devono imparare a chiedere aiuto, a concedersi la possibilità di fallire, imparare a mostrare le proprie fragilità: la comunità di cui fanno parte è una comunità che accoglie e sostiene senza giudicare», ha scritto in una nota Matteo Lorito, il rettore della Federico II. 

 

«La morte di Antonio rappresenta la sconfitta di un modello di società nel quale troppo spesso siamo complessivamente incapaci di comprendere il dramma della solitudine che ci avvolge», ha sottolineato anche il sindaco di Maddaloni, Andrea De Filippo, durante il funerale.

 

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Ma il giorno dopo il lutto servirebbe andare oltre le parole. E fare in modo che le istituzioni avviino azioni concrete e immediate a supporto della salute mentale visto che sono centinaia le indagini che testimoniano la crescita del malessere tra tutta la popolazione. Come più esperti hanno già spiegato a L’Espresso, i motivi che possono portare al suicidio sono complessi e non riducibili ad un unico elemento ma «tra le ragioni per cui gli studenti soffrono c’è il peso dell’eccellenza: come se essere eccellenti, o eccezionali, fosse l’unico segnale possibile di successo. Questo tipo di educazione lascia fuori non solo ciò che non funziona ma anche tutto quello che è medio, normale. Generando la sensazione, in chi non raggiunge il massimo, di aver fallito. E, come conseguenza, l’incapacità di tollerare l’insuccesso. Che invece costituisce un valore nel processo di crescita personale, perché permette di ripensare, ripartire, ricostruire», aveva chiarito Laura Parolin, presidente dell’Ordine degli psicologi della Lombardia.