Scuola
«L'educazione sessuale e affettiva nelle scuole serve. Ma Giorgia Meloni ha paura: dalla destra solo calunnie»
Per la leader di FdI nei corsi nelle scuole «si spiega l'omosessualità facendo scambiare i vestiti tra maschietti e femminucce». Solo falsità, replica chi ogni giorno lavora con gli studenti. Come spiega Monica Pasquino, presidente di "Educare alle Differenze"
La violenza maschile che usa le donne come bambole gonfiabili di un videogioco criminale è nella testa di chi si sente in diritto di farlo. Dallo stupro di Palermo a quello di Caivano, dalle frasi degli stupratori appena maggiorenni arrivando alla ragazza che è svenuta a una festa dopo aver bevuto e gli amici che le fotografano le parti intime. Un fenomeno non emergenziale ma strutturale che dimostra in maniera inequivocabile come la violenza contro le donne non si possa contrastare con un approccio securitario, ma attraverso la prevenzione, la formazione e il rafforzamento delle strutture già esistenti.
Eppure la scuola, l’agenzia formativa per eccellenza, è stata esclusa dalle iniziative di governo che a colpi di decreti risponde con maggiori poteri alla polizia giudiziaria e di aggravanti processuali. Ma c’è un’Italia che resiste e che organizza corsi di educazione alle differenze, offre agli insegnanti gli strumenti per parlare alle ragazze e ai ragazzi confusi o semplicemente alla ricerca di risposta. Per smontare tutte le radici che portano a violenza di genere, omofobia, bullismo e razzismo. Lo fa gratis, in una situazione di quasi volontariato, si affida a donazioni, progetti europei. Lo racconta a L’Espresso Monica Pasquino, presidente della rete nazionale "Educare alle differenze" nata nel 2017: «La rete è formata da diverse associazioni che da Bergamo a Siracusa lavorano, con linguaggi e competenze diverse, per la realizzazione di progetti educativi, culturali e sociali finalizzati al superamento di sessismo, omolesbobitransfobia, abilismo e razzismi». Da Nord a Sud, sono tanti e diversi i progetti e i percorsi educativi contro la violenza di genere promosse dalle associazioni. Nonostante Giorgia Meloni sia granitica su questo: «L'educazione sessuale è competenza delle famiglie», convinta che nelle scuole gli alunni siano costretti a scambiarsi i vestiti per comprendere l'omosessualità («Una calunnia» risponde Pasquino). La rete "Educare alle differenze" resiste e rilancia per una stagione priva di paternalismo e ideologia. Si troverà infatti a Bari il 23 e il 24 settembre per il meeting nazionale dal titolo Fare scuola fuori dai bordi «insieme a centinaia di insegnanti per affrontare il tema di una scuola libera e plurale».
Sa che la Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni si è recentemente schierata contro e cito: "le campagne con le quali si spiega ai bambini di sei anni cosa sia l'omosessualità facendo scambiare i vestiti tra maschietti e femminucce". Parlava di educazione alle differenze nelle scuole. Ma veramente fate questo nelle scuole?
«No, non lo facciamo. Sono diffamazioni, accuse orchestrate dall'esterno della scuola. Da chi vuole tessere un filo per diffamare chiunque provi a contrastare gli stereotipi di genere e un'immagine tradizionale, eterosessista della famiglia. Non succede. Sono calunnie che non trovano appiglio nel concreto, se poi si parla con gli insegnanti, con i bambini e le bambine, non ci sono mai imposizioni. Ma attività. Libri, immagini per ampliare immaginari ed è questo che fa paura. E forse spaventa la premier. Fa paura il fatto che si possa dire nella scuola che una donna non è destinata alla maternità o a una persona non binaria che non è malata».
Meloni sembra dire è troppo presto per parlare di queste cose.
«I bambini nascono già immersi in un sistema di norme e di stereotipi. Basti pensare al celeste e al rosa. Agli spot per bambini o per bambine, basta entrare in un negozio di vestiti o giocattoli dove tutto è separato: l'avventura è destinata al maschile, la cura al femminile. Non è mai troppo presto per decostruire stereotipi per proporre una pluralità di ruoli perché dal momento in cui nascono sono immersi negli stereotipi diffusi nella nostra cultura».
Cosa fa "Educare alle Differenze" di concreto per arginare il fenomeno della violenza di genere?
«Attività educative e formative per le scuole di ogni ordine e grado. Dal teatro ai libri illustrati, usando attività laboratoriali e metodologie della didattica non frontale. Cerchiamo di destrutturare gli stereotipi di genere che sono sempre la radice delle discriminazioni e delle violenze. Proviamo a valorizzare le unicità, le differenze e a promuovere immaginari plurali e liberi, costruendo una narrazione diversa sui ruoli di genere, sulle professioni, sulle famiglie, sul futuro. Ormai da nove anni organizziamo un meeting nazionale di autoformazione insegnanti, una due giorni dedicata all’educazione alle differenze nelle scuole. Sono incontri gratuiti dedicati agli insegnanti a cui ogni anno partecipa una platea molto ampia. Quest’anno saremo a Bari il 23 e 24 settembre che si intitola Fare scuola fuori dai bordi. per affrontare il tema di una scuola libera e plurale che sappia davvero interrogarsi sull’inclusione e sulle differenze, perché continua a essere presente nella scuola una separazione netta tra il benessere delle persone e l’apprendimento, come se le esperienze di vita caratterizzate da corpi, sentimenti, sessualità, fossero sempre considerate fuori dall’interesse scolastico ed educativo. Ci saranno tante sessioni laboratoriali insieme a delle assemblee plenarie, tavole rotonde e altri eventi. Si tratta di un momento formativo che serve a creare comunità educative, consolidare buone pratiche ma soprattutto dire agli insegnanti: non siete i soli a voler mettere al centro della scuola il benessere e la crescita di chi avete davanti, parlando di affetti e sentimenti, identità di genere e orientamenti sessuali, siete e siamo tantissimi».
C’è quindi un interesse reale da parte degli insegnanti su questi temi?
«Certo, il bisogno è molto elevato e dunque l’interesse cresce. Oltre alle centinaia di persone interessate ai meeting di Educare alle differenze, ci sono tantissimi singoli progetti, singoli docenti, collegi di classe, scuole e associazioni che portano avanti percorsi educativi, ogni giorno in ogni angolo del Paese. Ovviamente non senza inciampi».
Quanto è difficile entrare nelle scuole, senza un bene placito delle istituzioni?
«Ci sono insegnanti e dirigenze scolastiche più disponibili, curiose, aperte di altre. Ma sicuramente le istituzioni hanno un ruolo cruciale, al netto dell’autonomia scolastica. La politica ha il suo ruolo di indirizzo e di orientamento fondamentali».
Quando lei parla di indirizzo politico cosa intende?
«L’educazione alle differenze, volta a prevenire le discriminazioni, al fine di informare, formare e sensibilizzare studenti e studentesse, docenti e genitori, è attualmente prevista dalla legge italiana e da una serie di fonti nazionali e sovranazionali e costituisce un corollario di numerosi principi generali del nostro ordinamento, a differenza di quanto vogliono far credere campagne di comunicazione reazionarie e diffamatorie. Fa parte delle Competenze di Cittadinanza che alunne e alunni devono acquisire. Tale educazione non ha uno spazio e un tempo definiti, ma è connessa ai contenuti di tutte le discipline, con la conseguenza che ogni insegnamento e docente concorre al superamento o al consolidamento di stereotipi e discriminazioni e ha il mandato di favorire la crescita culturale, emotiva e relazionale degli studenti e delle studentesse. Dalla Convenzione di Istanbul - ratificata dall’Italia- al comma 16 della Legge 107/2015 (la Buona Scuola): abbiamo ovunque indicazioni chiare sulla necessità di costruire programmi scolastici e materiali didattici sulla parità tra i sessi, i ruoli di genere non stereotipati, il reciproco rispetto, l’omolesbobitranfobia, la soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti interpersonali e il diritto all’integrità personale. Ma se abbiamo una politica timida o reticente o addirittura ministri e presidente del Consiglio fobici rispetto all’autonomia femminile e alle famiglie arcobaleno, ecco che il cammino si fa in salita».
Non trovate logorante lavorare in perfetta solitudine?
«L’Italia è uno dei pochi Paesi UE che non prevede l’educazione sessuo-affettiva tra i corsi curriculari a scuola, eppure che altra strada abbiamo per prevenire un femminicidio ogni 3 giorni e colmare il Gender Gap se non costruire una maggiore consapevolezza sul sesso, i ruoli di genere e le relazioni? In Italia portare avanti questo lavoro è molto faticoso e frustrante, sicuramente. C’è tanto attivismo politico e lavoro volontario alla base, per chi riesce a partecipare alle gare c’è qualche fondo dell’Unione Europea o di enti privati. Ma anche quando i progetti sono finanziati lo sono per un anno o due, poi si ricomincia con un nuovo progetto da un’altra parte. Dunque non si riesce a garantire sistematicità, capillarità e continuità».
Cosa serve?
«Abbiamo bisogno di grandi investimenti e di grandi energie collettive per costruire un cambiamento culturale profondo della scuola, delle famiglie, della nostra società. In questi ultimi dieci anni sono tante le realtà e le figure professionali che hanno lavorato per promuovere un’educazione ai generi e agli orientamenti più libera. Dove operano vince la loro competenza e credibilità rispetto alle fake news e alle diffamazioni della retorica gender. Bisogna far sì che queste opportunità formative non siano eccezioni ma prassi».