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Spagna, Norvegia e Irlanda riconosceranno lo stato di Palestina

di Simone Alliva   22 maggio 2024

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Il ritorno del redditometro che spacca il centrodestra, la Russia annuncia i nuovi confini marittimi con i paesi baltici e scandinavi, Israele contro il mandato di arresto della Corte penale internazionale, Conte replica all'attacco di Gentiloni. Le notizie del giorno da conoscere

SPAGNA, IRLANDA E NORVEGIA RICONOSCERANNO LO STATO DI PALESTINA
Spagna, Norvegia e Irlanda riconosceranno ufficialmente lo stato palestinese dal prossimo 28 maggio. Lo hanno annunciato a poca distanza gli uni dagli altri i premier dei tre stati, il norvegese Jonas Gahr, lo spagnolo Pedro Sanchez e l'irlandese Simon Harris. Quest'ultimo ha parlato di «un giorno storico e importante» per il proprio paese e per la Palestina. Il presidente del governo spagnolo ha spiegato che la decisione è stata concordata fra i due alleati del governo, Psoe e Sumar, "facendosi eco del sentire comune dei cittadini spagnoli". Sanchez ha assicurato: "Riconosceremo lo Stato della Palestina per pace, per coerenza e per giustizia". L'annuncio è giunto in concomitanza con i riconoscimenti di uno Stato palestinese da parte dei primi ministri irlandese, Simon Harris, e norvegese, Jonas Gahr Store, con i quali il premier spagnolo aveva concordato un'azione congiunta. "Il riconoscimento non è la fine. È solo l'inizio, e continueremo a fare pressione sulla comunità internazionale", perché si possa procedere verso la soluzione dei 'due Stati', ha sottolineato Sanchez. Immediata la risposta dello stato israeliano: il ministro degli Esteri Israel Katz ha ordinato 'l'immediato ritorno in Israele' degli ambasciatori in Irlanda e Norvegia 'per consultazioni, alla luce della decisione di questi Paesi di annunciare il riconoscimento di uno Stato palestinese'. Katz ha denunciato che 'Irlanda e Norvegia intendono inviare oggi un messaggio ai palestinesi e al mondo intero: il terrorismo paga'.

 

TORNA IL REDDITOMETRO, TENSIONE NEL CENTRODESTRA 
La norma era attesa "da sei anni" ed è stata "preventivamente condivisa con le associazioni dei consumatori, l'Istat e il garante per la privacy". Ma la nuova edizione del redditometro, pur con "paletti ben precisi" a "garanzia dei contribuenti", che porta la firma di Maurizio Leo, crea scompiglio nella maggioranza. Tanto che il viceministro di Fdi andrà venerdì a spiegare in Consiglio dei ministri la ratio di un adempimento di cui, viste le reazioni a caldo, di certo non erano stati messi al corrente gli alleati. La novità arriva con la Gazzetta Ufficiale (ma il decreto ministeriale era stato firmato il 7 maggio), e spiazza i pochi parlamentari che si affacciano in Transatlantico mentre in Aula a Montecitorio si discute di Superbonus, altra grana ricomposta a fatica nella maggioranza.

La prima a reagire, a qualche ora di distanza, è Forza Italia che mette in chiaro la netta contrarietà "da sempre" al redditometro. Segue la Lega che prima con il capogruppo Massimiliano Romeo rimanda la palla a Fdi definendo "strana" la proposta (che tale non è, perché di misura attuativa e già operativa si tratta), e poi, dopo le spiegazioni di Leo, ribadisce il suo no perché "l'inquisizione è finita da tempo" e "controllare la spesa degli italiani, in modalità Grande fratello, non è sicuramente il metodo migliore per combattere l'evasione". Non bastano, insomma, le rassicurazioni del viceministro a placare i dubbi degli alleati. Anche perché Fratelli d'Italia per molte ore resta silente di fronte a una mossa che, stando al tam tam parlamentare, non era stata preannunciata e di cui nessuno, in pratica, sapeva nulla. Tanto che pure al Mef le prime reazioni, raccontano, sarebbero state di "sorpresa". A spiazzare non sarebbe stato tanto il contenuto in sé - il refrain ricorrente tra i partiti - quanto il tempismo con cui si è sbloccata una vicenda che appunto, aveva atteso anni.

Certo negli ultimi mesi, spiega chi ha ricostruito la vicenda, anche la Corte dei Conti aveva sollecitato l'attuazione del decreto ministeriale, espressamente previsto da una norma del 2018 (il decreto dignità del governo gialloverde) che aveva cancellato sì il vecchio redditometro prevedendo però un ulteriore decreto ministeriale che disciplinasse l'accertamento sintetico, delimitando gli elementi indicativi della capacità contributiva dei cittadini. Si trattava, insomma, di "regolare il superamento" del redditometro di renziana memoria, spiegano anche da Palazzo Chigi, salvo che, per dirla con un parlamentare di maggioranza, l'effetto è stato quello di un "meteorite" sulla campagna elettorale. "Qualche voto al Pd dovevamo pur farlo prendere", cerca di riderci su un deputato del partito della premier, che nel tardo pomeriggio parte con una serie di comunicati a difesa dell'iniziativa di Leo, che, per dirla con il presidente della commissione Finanze della Camera Marco Osnato "non annacqua né intacca la riforma fiscale né l'atteggiamento del governo Meloni" che vuole un fisco "amico". Forse, osserva l'esponente di Fdi, "fa scalpore perché siamo in campagna elettorale". E sarebbe proprio il rischio di un effetto boomerang a preoccupare Giorgia Meloni. Ma Leo "è un tecnico, tra i più preparati" e sta "facendo più che bene il suo lavoro", dicono i suoi più stretti collaboratori che pure ammettono che ci sia stato un difetto di "comunicazione" di una questione "complessa". La premier avrebbe parlato con il suo viceministro e nei prossimi tre giorni, di qui al Cdm, avrà modo di valutare eventuali contromosse per evitare ripercussioni di qui al voto dell'8 e 9 giugno. "La maggioranza è in tilt", cavalca l'onda il Partito democratico, denunciando il "molto grave" utilizzo delle "istituzioni per propaganda elettorale". Si "fingono liberali ma sono solo statalisti. E stanno seguendo le linee guida di Vincenzo Visco e della sinistra anti-contribuente" affonda Matteo Renzi mentre lo stesso Visco si dice per l'appunto "favorevolissimo" sulla necessità di rispolverare il redditometro come strumento della lotta all'evasione. 

 

STRAPPO DI LE PEN, 'MAI PIÙ CON AFD'. SALVINI LA SEGUE. TERREMOTO SOVRANISTA DOPO MANCATA CONDANNA DI KRAH DELLE SS
A poco più di due settimane dal voto un vero e proprio terremoto scuote il fronte dei sovranisti. L'epicentro è in Francia, dove il Rassemblement National, il partito di Marine Le Pen, ha annunciato la rottura con i tedeschi di AfD. "Non siederemo più nello stesso gruppo", ha assicurato Jordan Bardella, astro nascente dei lepenisti e braccio destro di Le Pen. Il casus belli è un'intervista al quotidiano 'la Repubblica' dello scorso 18 maggio nella quale Maximilian Krah, capolista di AfD, ha affermato che non tutte Le SS possano essere considerati criminali di guerra. L'orizzonte politico, però, va ben oltre l'ennesima strizzata d'occhio al nazismo da parte dei populisti tedeschi.

Una manciata di minuti dopo l'annuncio di Bardella, la Lega ha sottolineato non a caso la "piena sintonia" tra Matteo Salvini e i lepenisti. Il quadro è stato chiarito da fonti interne al gruppo di Identità e Democrazia, contenitore dei sovranisti: "Valutiamo l'espulsione di AfD, ha passato il limite". Lo Strappo di Le Pen non arriva come una totale sorpresa dalle parti di Bruxelles. Sui tedeschi di Alternative für Deutschland da mesi era sceso il gelo degli altri membri di Id, consapevoli che una delle condizioni per provare a rompere il cordone sanitario issato finora sul gruppo all'Eurocamera è la separazione da un movimento che, oltre alle sue simpatie filo-naziste, viene considerato filo-russo e filo-cinese. Lo stesso eurodeputato uscente Krah, lo scorso aprile, è stato travolto dal cosiddetto 'Chinagate', con il suo assistente parlamentare accusato di essere una spia di Pechino. Krah, invece, ha dovuto far fronte alle domande dell'Fbi in quanto sospettato di prendere fondi russi dall'attivista Oleg Voloshin.

Tutti elementi che hanno portato, tra i lepenisti, all'emergere di una considerazione: se si vuole contare di più in Europa, non si può sedere ai banchi con AfD. Il contesto è quello dell'ormai conclamata apertura del Ppe alle destre. Un'apertura che la stessa Ursula von der Leyen ha sempre escluso sia con AfD sia con Viktor Orban. Finora, nella sua campagna elettorale, la presidente della Commissione uscente non si è soffermata su Le Pen. L'idea di un dialogo tra una maggioranza filo-Ue fatta di socialisti, popolari e liberali con il Rassemblement National al momento resta quasi utopica. "Con Salvini non ho alcun problema, ma con Le Pen non condivido Le posizioni su Ue e Nato", ha avvertito il ministro degli Esteri e leader di FI Antonio Tajani. Ma è vero che Bardella e i suoi, negli ultimi mesi, hanno smesso di fare il controcanto all'Ue sulla guerra in Ucraina. Ed è anche vero che, sondaggi alla mano, Le Pen potrebbe essere la nuova inquilina dell'Eliseo una volta terminato il secondo mandato di Emmanuel Macron. Diverso il discorso della Lega. Il suo peso parlamentare è certamente minore di quello dei lepenisti e, finora, Salvini ha impostato la sua campagna tutta in chiave anti von der Leyen. Che il fronte delle destre e dei sovranisti fosse destinato a forti scossoni nel nome del dialogo con i partiti di maggioranza, dalle parti del Ppe lo prevedano da tempo. La rottura di Le Pen e Salvini con AfD non dovrebbe compromettere la sopravvivenza del gruppo Id. Né la rinnovata sintonia tra Le Pen e Giorgia Meloni emersa nella kermesse di domenica a Madrid preannuncia l'automatica formazione di un gruppo unico, con dentro, ad esempio, FdI, Rassemblement, Pis, Lega, Vox e gli olandesi guidati da Geert Wilders. Tuttavia, più il fronte della destre filo-Ucraina si allarga più è complesso, per il Ppe, sdoganare un dialogo strutturale con questi movimenti. I giochi entreranno nel vivo solo dopo il voto. E quella causata da Marine Le Pen non è che una delle prime mosse che potrebbero spiazzare gli equilibri politici comunitari. 

 

LA RUSSIA VUOLE CAMBIARE I CONFINI CON FINLANDIA-LITUANIA 
Le autorità di Mosca hanno deciso unilateralmente di modificare i confini marittimi della Russia con la Lituania e la Finlandia nel Mar Baltico, secondo un progetto di decreto governativo pubblicato ieri sera online dal Cremlino. Il Ministero della Difesa russo ha proposto di approvare un elenco di coordinate geografiche che definiscono la larghezza della costa continentale, del mare territoriale russo e delle isole del Baltico che altereranno il confine nella regione-exclave occidentale di Kaliningrad. "L'approvazione del progetto stabilirà un sistema di linee di base diritte mancante sulla parte meridionale delle isole russe nell'est del Golfo di Finlandia vicino a Baltiysk e Zelenogradsk, e ne consentirà l'utilizzo come acque interne - si legge nel documento -. Ciò modificherà il confine marittimo dello Stato russo, a causa di un cambiamento nei confini esterni del mare territoriale". Il progetto di decreto sostiene che le precedenti coordinate geografiche sarebbero state registrate sulla base di mappe di navigazione marina che si basavano su ricerche del XX secolo, "non corrispondono pienamente alla situazione geografica attuale" e "non consentono di determinare il confine esterno delle acque interne" della Russia. 

 

LA CORTE PENALE EQUIPARA ISRAELE A HAMAS E L'AMERICA VALUTA SANZIONI
L'Occidente si spacca sulla Corte penale internazionale. O, meglio, sulle richieste avanzate dal procuratore capo Karim Khan di spiccare mandati d'arresto nei confronti di Benyamin Netanyahu e del suo ministro della Difesa Yoav Gallant da una parte e dei principali leader di Hamas dall'altra, per presunti "crimini di guerra e contro l'umanità" commessi in Israele e a Gaza dal 7 ottobre in poi. Gli Stati Uniti - che non hanno mai ratificato lo Statuto di Roma che ha dato vita alla Corte dell'Aja - "rigettano la Cpi", ha tuonato il presidente americano Joe Biden sottolineando che "non c'è equivalenza tra Israele e Hamas". Quello che sta accadendo" a Gaza "non è genocidio", ha aggiunto Biden, riferendosi a un altro procedimento in corso, quello alla Corte internazionale di giustizia aperto dopo la denuncia del Sudafrica contro Israele. Il presidente Usa ha quindi ribadito il pieno sostegno di Washington allo Stato ebraico, tanto che la Casa Bianca si è detta aperta a valutare con i repubblicani al Congresso la possibilità di imporre sanzioni alla Corte o al suo procuratore. Quello tra Israele e Hamas è "un parallelo disgustoso", ha detto anche Gallant, chiamato in causa da Khan, ricordando che nemmeno Israele riconosce la Cpi.

Il governo di Netanyahu ha quindi lanciato un appello "alle nazioni civili del mondo" a non dare seguito agli eventuali "mandati di arresto contro i leader di Israele". Gli Stati Parte della Cpi hanno però l'obbligo di eseguire i mandati sul loro territorio, rendendo di fatto difficile per il premier e il ministro della Difesa recarsi in quei Paesi se dovessero essere emessi. Da Bruxelles, il Servizio di Azione Esterna ha riferito che "l'Ue segue la procedura in corso" all'Aja e che "i 27 concordano nel rispettare l'indipendenza della Corte". E ha anche ricordato che "chi ha firmato lo Statuto di Roma ha l'obbligo di rispettarne le decisioni". "Anche se gli arresti verranno confermati dalla Camera pre-processo della Cpi - ha poi aggiunto - ciò non significa un verdetto di condanna". In Europa però la richiesta avanzata simultaneamente da Khan per i due leader israeliani e per i tre di Hamas ha fatto sollevare più di un sopracciglio, anche tra chi - come l'Italia - sostiene e promuove la Corte penale internazionale.

"Mi pare inaccettabile che si equipari un governo legittimamente eletto dal popolo in modo democratico con un'organizzazione terroristica che è la causa di tutto ciò che sta accadendo", ha commentato il ministro degli Esteri Antonio Tajani. La Germania, pur sottolineando l'indipendenza della Corte, ha biasimato la "falsa impressione di equivalenza" e insistito sul fatto che "le accuse del procuratore capo sono gravi e devono essere dimostrate". La Francia, che ha dichiarato di sostenere "la Cpi e la sua lotta all'impunità", si è poi trovata costretta dalle polemiche interne - e dalle proteste del Consiglio delle istituzione ebraiche d'oltralpe - a precisare che "le richieste simultanee di mandato d'arresto non devono creare alcuna equivalenza tra Hamas e Israele".

Perché, ha spiegato in parlamento il ministro degli Esteri Stéphane Séjourné, da una parte c'è "un gruppo terroristico che ha esultato per gli attentati del 7 ottobre e li ha rivendicati", dall'altra "uno Stato democratico, Israele", che però "deve rispettare il diritto internazionale nella condotta di una guerra che non ha voluto". Il timore è ora che le richieste del procuratore ostacolino i negoziati per una tregua e il rilascio degli ostaggi israeliani ancora in mano a Hamas. In questo senso il premier britannico le ha definite "profondamente inutili". Per il segretario di Stato Usa Antony Blinken, c'è "ancora una possibilità" di intesa, ma la decisione della Cpi rappresenta una battuta d'arresto negli sforzi per raggiungerla. Da Pechino infine è arrivato l'auspicio che "la Corte mantenga una posizione obiettiva e imparziale ed eserciti i suoi poteri in conformità con la legge", con il portavoce del ministero degli Esteri cinese Wang Wenbin che ha chiesto la fine della "punizione collettiva del popolo palestinese". Mentre Mosca ha sottolineato "il doppio standard" e "l'atteggiamento curioso" degli Stati Uniti nei confronti della Cpi, che poco più di un anno fa ha spiccato un mandato di arresto per Vladimir Putin con il plauso di Washington.

 

CONTE: "DA GENTILONI UNA MOSSA VIGLIACCA"
«L'attacco di Gentiloni è sorprendente». Così Giuseppe Conte torna sulle dichiarazioni di Paolo Gentiloni che ha minimizzato i suoi meriti nella trattativa sul Pnrr, in un'intervista al Corriere della sera. Questa vicenda allontana l'alleanza M5s Pd? «Io ho sempre lavorato per un percorso di costruzione di un'alternativa di governo ma non permetteremo al Pd attacchi proditori e di mancarci di rispetto». «Nel 2020 il commissario riconobbe in varie interviste grande merito al mio governo riconoscendo che fu una battaglia giusta e vantaggiosa per tutto il Paese - sostiene l'ex premier -. Disse che bisognava dare atto al premier Conte e ai ministri Gualtieri e Amendola di aver rappresentato bene l'Italia. Ora, in piena campagna elettorale, arriva a questo vigliacco attacco. L'algoritmo fa applicato solo alla fine quando si trattò di trovare un criterio di distribuzione tra i vari paesi Ue, ma nei mesi precedenti la battaglia politica fu durissima. Si trattò di costruire un fronte comune con Spagna e Portogallo, poi allargato la Francia. E di contrastare i paesi frugali con la Germania e l'Olanda in testa. Ci fu una battaglia difficilissima, anche perché sul piano interno il Pd e Italia viva volevano accontentarsi della linea di credito del Mes aperta per la pandemia e che io ho rifiutato clamorosamente nel consiglio Ue del marzo 2020 litigando aspramente con la Merkel. Poi furono risolutivi i quattro giorni di consiglio Ue del luglio 2020, dove sfiorammo il rischio fallimento perché volevamo ridurre l'ammontare complessivo del piano». «La destra sarebbe bene che tacesse - aggiunge -. Fratelli d'Italia in Europa si è astenuta cinque volte. Fosse stato per loro non avremo i soldi del Pnrr. Sono due anni che governano e non hanno altra misura sul tavolo che oltre ai soldi che abbiamo portato noi - aggiunge. Vive le dichiarazioni di Gentiloni come un attacco del Pd?  - Il Pd a tante anime - risponde -. Io preferisco quella nobile e limpida di David Sassoli, che all'epoca riconobbe come la delegazione da me guidata avesse «davvero fatto onore a un paese fondatore dell'Unione».