Il numero di iscritti, 375 in tutta Italia, è troppo basso per raggiungere il minimo legale di alunni per classe. Così a due mesi dall’inizio della scuola i futuri studenti non sanno neanche se il percorso di studi presentato con orgoglio dalla destra verrà attivato

Sono soltanto 375 gli studenti che si sono iscritti al liceo del Made in Italy tanto voluto dal governo Meloni. Così pochi che, se non si trova una soluzione, tra due mesi il nuovo percorso di studi rischia di non partire visto che esiste un numero minimo legale di allievi necessario per formare una classe, fissato a 27 per le scuole secondarie di secondo grado dalla riforma Gelmini nel 2009.

 

Che i futuri studenti del Liceo del made in Italy fossero solo 375 da dividere per 92 istituti (anche se non si conoscono le proporzioni) che hanno deciso di attivare il percorso in tutta Italia (17 in Sicilia, 12 in Lombardia e nel Lazio, 9 in Puglia, 8 nelle Marche e in Calabria, 6 in Abruzzo, 5 in Toscana, 3 in Liguria, Piemonte e Veneto, 2 in Molise e 1 in Basilicata, Emilia–Romagna, Sardegna e Umbria) si sa dal 18 febbraio scorso, quando si è chiusa la finestra prevista per le iscrizioni. Ma la prospettiva di aule semideserte non aveva fermato i suoi promotori dall’incensarlo, all’inizio.

 

«Crediamo sia apprezzabile, incoraggiante, essere giunti a oltre 400 iscrizioni che potrebbero avere un ulteriore incremento nei prossimi giorni, man mano che giungono quelle fatte direttamente negli istituti. Ciò consentirà di attivare, già in settembre, i primi licei nei principali distretti industriali italiani. Questo è infatti un anno pilota», aveva commentato Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy durante un question time alla Camera in cui aveva anche sottolineato come una commissione tecnica per definire il percorso formativo del triennio del nuovo percorso di studi fosse già all’opera.

 

Nella realtà però, quasi 5 mesi dopo, il numero di allievi interessati al liceo del Made in Italy non è affatto aumentato. Anzi, come si legge sul sito del Ministero dell'istruzione e del merito. E soprattutto il programma di studi degli anni successivi al biennio è ancora sconosciuto. La probabilità, infatti, che il nuovo indirizzo, si sarebbe rivelato un fallimento era alta fin dall’inizio, quando è stato presentato dal ministro Giuseppe Valditara come il percorso «che formerà le professioni necessarie alle filiere strategiche, a cominciare dalla moda, dall’abbigliamento, dall’arredo, dalla ceramica italiana ma anche a quelle più innovative: pensiamo all’aerospazio, dove noi stiamo dando dei punti a livello internazionale. Il liceo del made in Italy servirà a questo».

 

Peccato che dalle poche informazioni disponibili sul nuovo percorso di studi tanto voluto dal governo Meloni, si deduce solo che il calendario delle lezioni disponibile per i primi due anni sia quasi identico a quello del liceo delle Scienze umane che già esiste, sia per materie sia per ore, senza nessun accenno alle discipline specifiche legate a settori più volte definiti strategici per lo sviluppo del Paese dai rappresentati del Governo. Sui successivi tre anni, appunto, il vuoto, come si capisce consultando la piattaforma Unica che il Mim ha creato con l’obiettivo di orientare gli alunni verso scelte scolastiche più consapevoli, nonostante le numerose richieste di fare chiarezza promosse, ad esempio, dai sindacati del mondo scuola.

 

«Come indirizzo non ha né capo né coda. Non si capiscono gli obiettivi, non si conoscono gli insegnamenti del triennio. Un indirizzo della scuola piegato ai pruriti ideologici del governo. E sul numero minimo di 27 studenti? Per le riforme di Valditara non vale. Al ministero, derogano», aveva detto Gianna Fracassi, segretaria generale di Flc Cgil, lo scorso maggio quando per cercare una soluzione a un numero così basso di iscritti, lo 0,08 per cento degli studenti alle scuole superiori, che a oggi non consentirebbe l’attivazione delle classi, il ministero dell’Istruzione e del Merito aveva pensato a una deroga. Poi finita nel nulla.

 

A fine giugno a risollevare la questione ci ha pensato la deputata della Lega Giorgia Latini che ha proposto un emendamento ispirato al “Decreto Caivano” che consente di derogare al numero di alunni per classe in determinate aree geografiche e condizioni particolari, senza maggiori aggravi per la finanza pubblica. «Ritirato», secondo quanto Latini ha spiegato al Fatto Quotidiano: «Stiamo valutando intese differenti e specifiche. È un problema che sarà affrontato in Commissione VII della Camera. Il ministero è impegnato a trovare una soluzione». Che chissà se e quando arriverà. Mentre restano in attesa di sapere che scuola frequenteranno a settembre, per i successivi cinque anni, quei 375 studenti che si sono fidati del governo Meloni.