Per un ragazzo italiano i diciotto anni sono la festa, la patente, l’ingresso nell’età adulta. Per un coetaneo migrante – minore straniero non accompagnato – quel giorno può segnare l’inizio di una vita in strada. È quello che è successo ad Abdo, un ragazzo egiziano arrivato a Genova e accolto in una comunità per minori in via Galata. Lo abbiamo conosciuto il giorno del suo compleanno. Aveva in mano un foglio della Caritas con le indicazioni per il dormitorio del Seminario: quello per i senza dimora.
Sono un migliaio ogni mese i minori in bilico: perché tra i 16.187 minori stranieri soli presenti sul territorio (l’ultimo dato del ministero del Lavoro è di marzo), il 54,7 per cento ha 17 anni, e oltre quella soglia l’accoglienza finisce. Se si guarda ai numeri di coloro che sono “usciti di competenza” – definizione asettica che significa che lo Stato può disinteressarsene – il motivo (in quasi tutti i casi) è proprio la maggiore età. A marzo, i neodiciottenni “usciti di competenza” sono stati 984. A febbraio 1.014. A gennaio 1.997. Potenziali invisibili: soli, fragili, esposti allo sfruttamento.
Nasce per questo Mentoring Hub, un progetto coordinato da Defence for children e sostenuto da Never alone, con Refugees welcome, Oxfam, Università Cattolica, Ciac di Parma, Comm.On e altri: l’obiettivo è consolidare e mettere a sistema la pratica del mentoring. Ovvero, formare cittadini disposti a diventare un punto di riferimento per neomaggiorenni in difficoltà.
Il punto è che, decreto dopo decreto, «la qualità dell’accoglienza scende – spiega Pippo Costella, direttore di Defence for children Italia – mentre i ragazzi sono sempre meno preparati ad affrontare la maggiore età e rischiano di trovarsi a dormire su una panchina. In parallelo, si inaspriscono le leggi e le carceri minorili si riempiono di diciottenni stranieri». Non solo: «Nel vademecum operativo per la presa in carico e l’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati emanato dallo stesso Viminale si dice che ai neomaggiorenni dovrebbero essere garantiti altri sei mesi nei centri: una sorta di scivolo. Ma questo non succede sempre come dovrebbe – continua Costella – Il sistema Sai, il Servizio centrale, lascia discrezionalità nell’applicazione, e i Comuni effettuano le dimissioni. Ma così si violano i diritti». La formazione dei mentori ha un significato anche politico: non volontari ma attivisti «che sollecitano le istituzioni – rimarca Costella – perché riconoscano e sostengano questa categoria».
In piazza don Gallo, a Genova, l’incontro con Wilfred Tchokothe: è partito dal Camerun a quindici anni, viaggiando da solo attraverso Nigeria, Niger, Libia, poi in barcone fino a Lampedusa («era il 13 novembre 2020, ma voglio dimenticare»). In pullman lo hanno portato a Genova: in un centro di accoglienza (Cas) per adulti perché non c’erano altri posti, anche se aveva 17 anni. «Non è stato facile – ricorda – non sapevo come muovermi. Non avevo i documenti e nessuno ti dice quanto devi aspettare, ero ansioso». Attraverso Defence for chidren, Wilfred conosce la sua mentore, Maura Torzolini. «Grazie al suo aiuto ho preso la terza media e ho iniziato le superiori. Ora ho un permesso di soggiorno con protezione speciale e sono idraulico – spiega – e ho un contratto a tempo indeterminato. Adesso cerco una casa mia. Senza di lei forse mi sarei perso».