
Bardolla ce l’ha fatta, difficile negarlo. Non si può dire lo stesso per decine e decine di risparmiatori che negli anni scorsi si sono affidati a lui per investire e adesso temono di perdere tutto. Le loro storie sono coperte dal frastuono della macchina propagandistica che alimenta l’immagine vincente del financial coach più famoso d’Italia, tra comparsate in tv e un esercito di follower nei social network. Un paio di mesi fa, all’ultima trionfale convention organizzata a Rimini dall’Alfio Bardolla Training Group (società quotata in Borsa), non era certo all’ordine del giorno la triste storia degli Arnold Coffee, la catena di caffetterie lanciata da Bardolla in persona una decina di anni fa e a lungo da lui controllata. Tempo qualche settimana e il tribunale di Milano dovrà pronunciarsi sulla richiesta di concordato avanzata da American Coffe, la società a cui fa capo l’iniziativa.
Bilanci alla mano, pare difficile che i piccoli azionisti, quasi tutti ex clienti del popolare guru del risparmio, riescano a recuperare il loro investimento. Incerta è anche la sorte dei sottoscrittori di obbligazioni Sogeaf, una holding della galassia Bardolla con debiti milionari e un attivo di dubbia consistenza. E sono costretti per ora a contare le perdite anche i risparmiatori che hanno sottoscritto titoli dell’Alfio Bardolla Training Group (Abtg), approdato nel luglio 2017 all’Aim, il listino di Borsa per le piccole aziende. Dopo molti alti e bassi, in questi giorni le quotazioni viaggiano su valori inferiori della metà rispetto al prezzo di collocamento.
Cose che capitano. Le sorprese sono altre. Dalla lettura dei bilanci si scopre per esempio che Bardolla si è garantito ricchi guadagni supplementari concedendo in licenza alla società quotata una serie di marchi. Tra questi anche “Wake up call”, l’insegna degli affollatissimi eventi che tre quattro volte l’anno richiamano una folla di migliaia di fedelissimi del financial coach. Nell’ottobre scorso, invece, il fondatore-presidente-socio forte di Abtg ha venduto una parte delle sue azioni nel dichiarato intento di coprire le perdite di American Coffee, di cui pure era il maggiore azionista. Per l’occasione a questo pacchetto di titoli è stato attribuito un valore di gran lunga superiore (circa il 50 per cento) a quello allora corrente in Borsa.
L’obiettivo, a quanto pare, non è stato raggiunto, visto che, a pochi mesi di distanza, la catena di caffetterie si trova ancora sull’orlo del fallimento. E allora, per ricostruire gli affari riservati di Bardolla, partiamo proprio da qui, dalle traversie di una società presentata da principio come una sorta di Starbucks all’italiana. Nel lungo elenco dei piccoli azionisti di American Coffee spunta anche il nome di un deputato della Repubblica. Si chiama Erik Umberto Pretto, 34 anni, viene da Schio, in provincia di Vicenza, e l’anno scorso è stato eletto alla Camera nella lista della Lega. Anche Pretto, come decine di altri soci, tempo fa mise mano al portafoglio per finanziare gli Arnold Coffee.
Il progetto originario prevedeva l’apertura di una trentina di locali nelle principali città italiane. Ben presto però Bardolla, amministratore unico di American Coffee fino a febbraio 2018, ha dovuto ripiegare su obiettivi più modesti. Le sei-sette caffetterie in attività (a Milano, Firenze e Roma) si sono trovate assediate dai debiti e qualcuna ha anche chiuso i battenti. Fino a quando, a metà dell’anno scorso, sono davvero finiti i soldi. «Ci penso io», ha garantito Bardolla, annunciando il suo intervento per rimettere in linea di galleggiamento la società. Niente denaro contante, però. Le perdite, come detto, sono state coperte dal socio di maggioranza conferendo azioni della quotata Abtg.
Nel giro di pochi mesi anche questa manovra contabile si è rivelata una coperta troppo corta. L’annunciato rilancio è rimasto sulla carta, e alcune settimane fa, lo stesso Bardolla ha preferito defilarsi. Al suo posto, nel ruolo di azionista di maggioranza è comparsa una società con sede a Thiene, in Veneto, la Think Power srl, dotata di soli 10 mila euro di capitale. Il nuovo socio si è affrettato a portare i libri in Tribunale chiedendo 120 giorni di tempo per predisporre un piano di concordato da sottoporre ai creditori. In base al bilancio provvisorio aggiornato a fine aprile American Coffee ha un buco di 4 milioni nei conti: attività valutate 2,5 milioni si confrontano con un passivo di 6,7 milioni, con 3,2 milioni di debiti verso i fornitori.
Se queste sono le premesse, la strada verso il salvataggio pare tutt’altro che agevole. E sono quindi ridotte al lumicino anche le possibilità che i piccoli risparmiatori possano uscire di scena senza pesanti perdite. Resta aperto un interrogativo supplementare. Che interesse può avere una sconosciuta, minuscola società del Veneto a rilevare la quota di maggioranza di una azienda sull’orlo del crack come American Coffee? A questo proposito va segnalata una curiosa coincidenza: Moreno Roncaglia, l’amministratore unico di Think Power, vanta ottimi rapporti con Bardolla, di cui celebra le doti sui social network. E anche l’azionista principale della società veneta, Fabio Ferro, in passato ha condiviso iniziative imprenditoriali con il financial coach.
Tocca ai nuovi soci, adesso, salvare il salvabile di un progetto che non è mai decollato e rischia di trascinare a fondo anche le decine di piccoli azionisti che fidandosi delle promesse di Bardolla hanno investito i loro soldi in un’azienda che puntava a diventare una piccola Starbucks tricolore. Restano in attesa di risposte anche i risparmiatori che negli anni scorsi hanno comprato obbligazioni della holding Sogeaf, un nome che ricorre spesso nell’elenco degli azionisti delle aziende di Bardolla. Secondo quanto L’Espresso ha potuto ricostruire, a diversi clienti del guru del risparmio è stato proposto di investire in questi titoli a reddito fisso. Titoli che almeno sulla carta offrivano un rendimento stellare, addirittura il 7 per cento annuo.
Nel 2014 lo stesso Bardolla ha acquistato il 20 per cento circa del capitale di Sogeaf, per poi rivendere le azioni pochi mesi dopo. Prima di lui erano stati azionisti e amministratori della società sua sorella Tiziana e il padre Alfredo. Dal 2015 il capitale di Sogeaf risulta intestato quasi per intero (98,3 per cento) alla londinese Knight & Tower investment, che però a dicembre del 2017 è stata messa in liquidazione e cancellata dal registro delle imprese britannico. Sogeaf invece, che condivideva la sede a Milano con molte altre società del gruppo Bardolla, nel marzo del 2016 ha trasferito i propri recapiti a Trapani, nello studio di un commercialista del posto, Salvo Fodale.
L’amministratore unico, nominato poco più di un anno fa, si chiama Michael Lanzoni, 27 anni. Un nome ricorrente, prima di Sogeaf, anche in altri consigli di amministrazione di società del gruppo Bardolla. Le notizie più preoccupanti per gli obbligazionisti arrivano però dai conti della holding con base a Trapani. A fine 2017, data dell’ultimo bilancio disponibile (una decina di pagine in tutto), all’attivo troviamo le partecipazioni in alcune società che assomigliano molto a scatole vuote: sigle come Abtc e Alan oppure l’Immobiliare Montecatini Dieci.
Poco male, se non fosse che i debiti di Sogeaf superano i 4 milioni di euro e al momento non è chiaro come possano essere rimborsati. L’anno scorso, Bardolla liquidò l’argomento affermando che non si era più occupato di Sogeaf dal 2015, quando aveva ceduto le sue azioni. Di sicuro, il sedicente profeta della libertà finanziaria, autore di libri come “I soldi fanno la felicità”, “L’arte della ricchezza” e “First Class”, il più recente, ora è molto concentrato sull’azienda che gli ha dato visibilità sui mercati finanziari.
Approdata in Borsa nell’estate 2017, l’Alfio Bardolla Training Group può ora contare su centinaia di piccoli azionisti. I titoli vengono trattati all’Aim, un listino secondario che ha criteri di ammissione studiati ad hoc per favorire le piccole imprese. È un mercato con caratteristiche molto particolari. Gli investitori si concentrano su un gruppo ristretto di società. Le altre vivacchiano. E allora, a volte, basta un ordine, in acquisto o in vendita, del valore di poche migliaia di euro per innescare un improvviso rialzo, oppure, a contrario, per mandare a picco il prezzo. Anche Abtg è finita spesso sulle montagne russe. Tra gennaio e dicembre la quotazione è quasi triplicata nell’arco di una quindicina di sedute per poi perdere oltre il 30 per cento nel giro di una settimana.
Al netto di queste fiammate, la creatura di Bardolla resta distante dal valore di collocamento. Due anni fa le azioni sono state vendute ai risparmiatori a 4,14 euro mentre negli ultimi giorni di maggio la quotazione ha oscillato intorno ai 2,10 euro. Sull’andamento del titolo hanno pesato anche i risultati di bilancio del 2018, annunciati poche settimane fa. I corsi di educazione finanziaria con il marchio Bardolla hanno fruttato 10,2 milioni, contro i 9,5 milioni circa del 2017. L’aumento dei ricavi non è però bastato a tenere a galla i conti che si sono chiusi in perdita per 1,2 milioni, anche per effetto, si sono giustificati gli amministratori, di alcuni oneri straordinari legati alla ristrutturazione della sede e a importanti investimenti in Spagna, dove il gruppo è attivo da poco.
Visti i risultati, pare difficile che vengano distribuiti dividendi. Brutte notizie quindi per i piccoli azionisti, già penalizzati dal ribasso della quotazione. Bardolla invece si è garantito un ricco paracadute. Nel 2016, con un anno di anticipo sulla quotazione in Borsa, il financial coach ha infatti siglato tre contratti con Abtg, cioè, in sostanza, con sé stesso. I tre accordi riguardano la licenza dei marchi “Alfio Bardolla”, “Alfio Bardolla Training Group” e “Wake Up Call”. Quest’ultima, come detto, è l’insegna delle convention.
In altre parole, l’azionista di controllo si è messo nelle condizioni di ricevere un compenso supplementare proprio nell’anno in cui i conti si sono chiusi in perdita. In base all’intesa, il bonus sarebbe scattato solo nel caso in cui i ricavi aziendali avessero superato i 10 milioni di euro. Detto, fatto. Nel bilancio 2018 il giro d’affari si è assestato a quota 10,2 milioni. Quanto basta perché Bardolla passi alla cassa. Fanno 200 mila euro circa, a spese della società quotata in Borsa. E quindi dei piccoli azionisti.