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Economia
aprile, 2020

Gli italiani non sono un popolo di risparmiatori. E il lockdown è già insostenibile per molti

Da anni le famiglie del nostro Paese, a causa delle crisi economiche e della crescita lenta, hanno ridotto la loro capacità di accantomento. Per questo già dopo un mese di quarantena milioni di persone non hanno i soldi per la spesa. L'allarme di Salvatore Morelli, membro del Forum Disuguaglianze Diversità

Nel 2014 gli italiani avevano in tasca titoli di stato - Bot e Btp – per un valore complessivo di 268 miliardi di euro, cioè il 12,2 per cento del totale dei titoli tricolori. Cinque anni dopo la somma totale è scesa a 139 miliardi, cioè il 5,8 per cento. Certamente, da un lato, ha pesato l'instabilità politica e i chiari di luna del nostro paese, ma c'è soprattutto una questione di scarsezza di liquidità dietro a questa scelta. Come fa notare l'economista Salvatore Morelli della University of New York, membro del Forum Disuguaglianze Diversità: «I titoli di Stato sono da sempre percepiti come un investimento di risparmio a lungo termine per i cittadini e l'abbandono di questa forma di accantonamento può determinare proprio dal fatto che i risparmi degli italiani sono finiti».

Proprio così. Si è sempre detto che gli italiani sono dei grandissimi risparmiatori, ma più che un fatto è una leggenda: ecco perché ci sono tantissimi cittadini che, dopo quattro settimane di quarantena hanno bisogno di un sostegno economico persino per fare la spesa. Ci eravamo fatti l'idea che gli italiani, essendo dei grandi risparmiatori, non avrebbero avuto problemi a “tirare la cinghia per due o tre mesi”, ma «il mito dell'Italia come paese di risparmiatori è, per l'appunto, un mito. La realtà è ben diversa», spiega Morelli, che snocciola numeri. Nel 1995, secondo i dati Ocse, l'Italia si collocava al primo posto fra i paesi con il tasso di risparmio più elevato: «Il 16 per cento del reddito totale disponibile annuale non veniva consumato, ma accantonato. Ma già nel 2008 il tasso di risparmio è sceso all'otto per cento e, per colpa della crisi economa del 2009 e, ancor più per quella del debito sovrano del 2011, la capacità di risparmio degli italiani si è ridotta ulteriormente, al punto che nel 2018 il tasso di risparmio è stato del 2,5 per cento, portando l'Italia in fondo alla classifica tra i paesi economicamente avanzati per tasso di accantonamento. Per fare un paragone, gli americani hanno un tasso di risparmio dell'otto per cento, i tedeschi dell'undici per cento, mentre la media europea è al sei».

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Perché gli italiani si sono ridotti cosi? La risposta sta nella crisi occupazionale che, in varie forme, continua ad attanagliare il paese da ormai 12 anni. Già, perché se in una prima fase della crisi del 2009 si è dovuto far fronte ai licenziamenti collettivi, in una seconda e attuale fase, i lavori sono diventati part-time obbligati, stagionali, a singhiozzo, sottopagati, precari, a basso valore aggiunto. Ecco perché dopo anni di decrescita, stagnazione e sacrifici, nel portafoglio degli italiani, alla fine del mese restano davvero pochi spicci.

Non solo, mentre la capacità di risparmio degli italiani era in caduta libera, nell'ultimo decennio aumentava anche la disuguaglianza di ricchezza: «La quota di tutta la ricchezza, che deriva dalla somma del patrimonio finanziario e immobiliare al netto dei debiti, a disposizione del 50 per cento meno ricco della popolazione è stata fortemente compressa. Al punto che, secondo alcune stime, dal 1995 al 2016 si è passati da un risparmio di 26 mila euro (pari all'11 per cento) a sei mila euro (tre per cento). Parallelamente lo 0,01 per cento più ricco del paese, vale a dire cinquemila individui, ha visto crescere il proprio patrimonio netto da 8 a 21 milioni».

Dunque, premesso che ogni persona avrebbe bisogno di circa 760 euro al mese, che è la soglia ufficiale della povertà e che equivale a una spesa minima mensile, gli italiani hanno a disposizione almeno 2.200 euro sul conto corrente per sopravvivere al tempo del coronavirus senza lavorare? «Utilizzando l'indagine campionaria sui bilanci delle famiglie della Banca d'Italia, si scopre che ci sono 10 milioni persone che quei soldi non li hanno», spiega Morelli.

Il sessanta per cento della popolazione risparmia oltre tremila euro l'anno, e sono soprattutto le persone più istruite, con un diploma o una laurea, a riuscire ad accantonare un po' di denaro. Ma il restante quaranta per cento quei 2.200 euro di risparmio accantonato non li possiede: «Ci sono 20 milioni di persone che a fatica riescono a risparmiare circa mille euro l'anno». La maggior parte degli operai, ad esempio, accantona 2.100 euro, i freelance quattromila euro, i manager diecimila euro l'anno, un insegnante poco meno di sei mila euro, un libero professionista novemila euro. Ma chi non ha un lavoro fisso e stabile si ferma a 500 euro», spiega l'economista.
Fatti i conti ci sono 10 milioni di italiani che nel salvadanaio hanno appena 300 euro, cioè non abbastanza per sopravvivere più di due settimane. Certamente, va poi valutata l'assistenza che queste persone probabilmente già ricevono, in forma di pensioni, assegni sociali, reddito di cittadinanza, ma è un fatto che la platea di chi non riesce a risparmiare nulla è in costante aumento dal 2008 a oggi».

Ecco perché l'emergenza coronavirus non è solo sanitaria, ma è per lo più economica, perché un intervento tempestivo a sostegno delle piccole imprese e delle persone più svantaggiate, serve a evitare che, fra pochi giorni si scateni una pandemia di rabbia: «Va scongiurato il rischio di sostanziale impoverimento», spiega Morelli che, insieme al Forum DD e ad Asvis, ha avanzato la proposta di rafforzare la tutela del lavoro autonomo con un sostegno di emergenza e sostenere così circa sette milioni di lavoratori attualmente scoperti dal decreto “Cura Italia”. «Se non si allargherà la platea si rischia un impoverimento diffuso che, unito ai danni del tessuto produttivo e alla riduzione dei risparmi, contribuirebbe a uno sgretolamento della coesione sociale, oltre a danneggiare gravemente le possibilità di una ripresa della crescita quando le misure di lockdown saranno terminate».

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