Giovani
1 ottobre, 2025"Perché questo bisogno di Platone?", si chiede Umberto Eco nella propria Bustina omonima, citando l’attrazione delle persone per alcuni eventi culturali. Raccontando di come le persone siano spinte da una travolgente passione comune, il celebre scrittore sostiene che l’interesse per questo genere di manifestazioni rimane alto perché in grado di rompere una barriera di solitudine
"Perché questo bisogno di Platone?", si chiede Umberto Eco nella propria Bustina omonima, citando l’attrazione delle persone per alcuni eventi culturali come il Festival della Letteratura di Mantova o il Festival Filosofia di Modena, Carpi e Sassuolo. Raccontando di come le persone siano spinte da una travolgente passione comune, il celebre scrittore sostiene che l’interesse per questo genere di manifestazioni rimane alto perché in grado di rompere una barriera di solitudine.
Scendendo in piazza si entra in contatto fisico con anime che parlano la stessa lingua, riacquistando così uno spazio d’espressione di libertà. Tutt’oggi, risulta quasi inspiegabile l’affluenza generata: nelle edizioni del 2025, tenutesi nel mese di settembre, Mantova è stata invasa da 69mila partecipanti, mentre le strade del Festival Filosofia sono state conquistate da oltre 100mila persone in tre giorni.
Numeri sorprendenti, soprattutto se riguardano un universo che, apparentemente, mostra i sintomi dell’estinzione. Eppure, come Eco ha sottolineato: “la gente (almeno, molta gente) non è stupida come pensano i produttori di trash televisivo […]. Vogliono qualcosa di serio da mettere sotti i denti”. Ma soprattutto, l’elemento decisivo “è che questa gente vuole incontrare persone in carne e ossa”.
Abbiamo già sottolineato in "Viaggiamo per aggiustare qualcosa di rotto", per esplorare un’interiorità abbandonata come, soprattutto i giovani, sentano sempre di più la necessità di uscire dalla propria bolla virtuale, avvalendosi del viaggio come occasione non solo di cambiamento interiore, ma come possibilità di relazione diretta con l’altro. Questi eventi colgono perfettamente il bisogno di stare insieme e di rispecchiarsi nei medesimi gusti e problemi, sempre più difficili da soddisfare. Già solo questa prima lettura basterebbe per dare luce al fenomeno. Ma la domanda "Perché questo bisogno di Platone?" richiama le stesse vibrazioni alla radice dell’attrazione nei confronti del cosmo umanistico.
Probabilmente si tratta della capacità di creare bellezza, dell’amore per il sapere o persino dell’evasione in un universo differente: tutto vero, ma non ci basta. Una necessità, un’urgenza ci attrae come una calamita: l’incessante e perdurante sensazione che questo universo ci legga dentro, che possa raccogliere i frammenti di ciò che percepiamo fuori posto, dentro di noi. Il presentimento che possa capire un caos interiore che niente e nessuno sono stati in grado, precedentemente, di ascoltare o di ordinare (caos, fra l’altro, che è stato scelto come tema della prossima edizione del Festival Filosofia).
Non sempre il piacere di contemplare l’armonia di un’opera, ma l’impulso di una crepa interiore, l’esigenza di sintonia, la speranza di aggiustare qualcosa di rotto, può essere la fonte di una passione così potente. Come astronomi che, indagando i misteri del cosmo, credono di poter direzionare i meteoriti che li scuotono. E poi arriva lentamente, dopo tempo, una disillusione cocente: la crescente paura che le risposte che abbiamo cercato dentro la filosofia e la letteratura rimangano celate. Che tutto ciò che abbiamo cercato setacciando le righe degli autori, pagina dopo pagina, pur cogliendo il nostro trasporto così come il nostro disordine, non guarissero le ferite che ci consumano.
Stavolta, come scultori che si innamorano della statua che hanno modellato e finiscono per distruggerla, riducendola in polvere dopo averne colto i difetti. Cosa rimane dopo l’attrazione? Cosa resta dopo aver colto le imperfezioni di una relazione? Oltre alle emozioni che rimangono incise in eterno, la possibilità di erigere ponti con anime affini, che condividono tanto quell’amore quanto quelle fratture. É quel bisogno di cui parlava Eco, di uscire dalla propria prigione vivendo l’intensità di nuovi rapporti: non pensando che là fuori qualcosa possa magicamente allineare il caos, ma trovando compagni di viaggio che possano alleggerirne il bagaglio.
Allora faremo pace anche con quella statua, che abbiamo cominciato ad amare in maniera differente: manchevole e incompleta come noi, rimane il più grande riflesso nel quale poterci specchiare, perché in grado di scolpire le nostre virtù, tanto quanto le nostre cadute e le nostre crepe.
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