Dietro la facciata di una città povera e cadente si nasconde una sorprendente vita culturale. Moderna e vivacissima. Siamo andati a scoprirla. Tra famosi scrittori, artisti e geniali cineasti
Nella vetrina di un negozietto d'antiquariato, nel pieno centro di Bucarest, Nicolae Ceausescu sorride benevolo e direi sereno. Eppure, nella sua rubiconda espressione immortalata una volta per sempre da un ignoto pittore, non avrebbe di che rallegrarsi: a parte la brutta fine che i suoi connazionali gli hanno riservato, a Natale del 1989, il palazzo che gli sta di fronte sta cadendo giù pezzo a pezzo, e la strada stessa, su cui la vetrina affaccia, sembra presa di peso da qualche documentario di denuncia sulla guerra in Iraq o altrove, tanto è sventrata e malconcia. Ma non è solo il ritratto su fondo verdino-speranzoso del defunto lìder maximo a rimanere quietamente svagato, di fronte allo scempio urbano della città. Quasi nessuno, da queste parti, fa più caso ai meravigliosi palazzi Bauhaus anni Trenta, sul punto di crollare, né alle splendide ville Liberty e Jugendstil con soffitto a cielo aperto e buone giusto per ospitare gli onnipresenti e invasivi cani randagi, che popolano la capitale.
Da queste vestigia di un passato che in fondo è piuttosto recente, si intuisce che Bucarest, nei primi decenni del secolo scorso, era una città opulenta e con una sua eleganza charmante, che prima gli anni del comunismo e adesso un capitalismo sregolato e corrotto hanno mandato a farsi friggere. E si vede bene, nella mostra fotografica all'aperto sulla piazza dell'Università. Ora, si direbbe, di opulenta c'è solo la villa, nel quartiere Aviatorilor, di un religiosissimo magnate e eurodeputato, il quale ha non solo ornato di leggiadri fregi in oro l'intera costruzione, ma ha posto sul cancello d'ingresso un gigantesco crocefisso piuttosto terrorizzante. E tuttavia, il cattivo gusto dell'eurodeputato sembra simpaticamente ingenuo, se paragonato ai calcoli che invece avrà fatto il vicino Dumitru Dumitriu, un allenatore di calcio, il quale ha acquistato, sempre nello stesso quartiere, una bellissima dimora signorile primi Novecento, lasciandola però andare in rovina, nella speranza forse che caschi tutta a terra e poter così rivendere il prezioso suolo edificatorio.
Il sindaco Sorin Oprescu vorrebbe che palazzi storici grandi e piccini della città fossero considerati monumenti nazionali, e perciò ha fatto mettere qui e là cartelli che lo certificano, ma gli interessi economici sono enormi, come si può immaginare. Ed è facile prevedere che la gran parte di questi graziosi edifici di un passato ricco cadranno presto come birilli, per fare posto a enormi palazzoni in puro gusto Speculazione Edilizia.
È quanto teme Cristina Koneffke, architetto e figlia di Cristian Moisescu, che era responsabile della tutela degli edifici storici, prima che il regime comunista cancellasse l'ufficio, per non avere scocciature.
È Cristina, con suo marito Jan, uno scrittore tedesco che divide il suo tempo fra Bucarest e Vienna (e il cui prossimo romanzo, in uscita nel 2011 da Dumont, è in larga parte ambientato in Romania), a accompagnarmi in quello che è uno dei centri culturali più attivi della città: l'Istituto culturale rumeno, diretto da Catrinel Plesu, e che, attraverso il Centro nazionale del libro, si occupa anche della promozione della produzione culturale nazionale all'estero, per esempio dando sovvenzioni e sostegno ai propri autori e agli editori stranieri. "L'Istituto", spiega la signora Plesu, "è un organismo pubblico fondato nel 2003, mentre il Centro è nato nel 2007. L'Istituto fa parte di una rete con 17 sedi, da Londra a New York, a Venezia, e cerca di essere un canale di comunicazione fra i prodotti culturali rumeni e il pubblico nazionale e estero. Il Centro invece dà sostegno alle traduzioni dei nostri autori, anche assegnando borse di studio". I programmi dell'Istituto, a ogni modo, sono ricchi di incontri, dibattiti, mostre (niente a che vedere col dirimpettaio Istituto italiano di cultura, che sembra una morta gora). Nel mese di settembre, l'Istituto rumeno ha avuto fra i suoi ospiti lo psicoanalista e storico della cultura Ion Vianu, il cui ultimo libro, "Amor Intellectualis", pubblicato da Polirom, è un appassionato memoir, in cui l'autore ripercorre gli anni della propria formazione, prima dell'esilio svizzero negli anni Settanta, in seguito alla firma di un documento collettivo che raccoglieva il meglio dell'intellettualità dissidente anticomunista. Oltre a Vianu, è passato recentemente per l'Istituto lo storico della letteratura Mircea Martin, che dirige pure la casa editrice Art. E poi ancora Gabriela Adamesteanu, nipote del grande archeologo Dinu, una delle scrittrici più amate in Romania, che ha presentato il suo nuovo libro "Provizorat" (Polirom).
Adamesteanu merita un discorso a sé: non solo perché uno dei suoi romanzi migliori, "L'incontro", è appena uscito in Italia (da Nottetempo), ma perché è una delle poche voci letterarie rumene di oggi con una solida riconoscibilità tanto all'estero (in Francia è pubblicata da Gallimard), quanto in patria, dove ha per anni diretto il settimanale "22", di cui oggi si occupa solo del seguitissimo supplemento culturale. Forse più noto della Adamesteanu è solo Mircea Cartarescu (in Italia edito da Voland), uno scrittore saturnino e stravagante, di straordinario talento, più volte arrivato a un soffio dal Nobel. Premio che invece, come noto, è andato l'anno scorso a Herta Müller: la quale, benché viva a Berlino da decenni e scriva in tedesco, è rumena e vecchia amica appunto di Catrinel Plesu, la quale infatti l'ha ospitata poco fa nel proprio Istituto.
Si sarà capito: benché Bucarest appaia a una prima occhiata come una città misera e cadente, in verità nasconde nelle proprie pieghe una vita culturale vivacissima e per niente scontata. C'è una cinematografia piena di interessi e in grado di svariare fra un neo-neorealismo antiretorico e una riscoperta della commedia più surreale e sulfurea - e i riconoscimenti internazionali a registi come Cristian Mungiu, Corneliu Porunboiu, Cristi Puiu, Cristian Nemescu e altri lo certificano. C'è una scena artistica piena di energia (lo ha dimostrato la recente Biennale di Bucarest, curata dal ventenne Felix Vogel) e ricca di personalità già molto spiccate, pur essendo giovani, come è il caso di Mircea Kantor e Laura Matei (che ora vive a Milano). C'è un tessuto intellettuale che, uscito dagli anni tetrissimi del comunismo, oggi appare più consapevole e pieno di cose da dire del non di rado infiacchito mondo culturale occidentale.
Anche un esempio all'apparenza irrilevante può dare il senso di quanto detto. La libreria Carturesti è a due passi dalla centralissima piazza Romana. Si tratta di una splendida residenza nobiliare inizio Novecento. Il proprietario l'ha affidata gratuitamente a un gruppo di ragazzi che l'ha trasformata in un centro culturale pieno di vita. All'interno, si circola come dentro a una (meravigliosa) casa privata, tutta foderata di libri. Nel giardino, invece, si può bere o mangiare ai tavoli della caffetteria davvero per pochi spiccioli. Certo, appena usciti da questa oasi di autentico benessere, sarete travolti dal solito traffico spaventoso, dai soliti tassisti inaffidabili, dai soliti cani randagi. Tuttavia, non dimenticherete facilmente quella che, lungi dall'essere l'ennesima e omologata succursale di una catena, zeppa ormai di ogni cavolata fuorché di cose decenti da leggere, rimane secondo me la più bella, la più semplice e la più originale libreria che si sia mai vista.