Messo al bando. Minacciato. Costretto a vivere sotto scorta. Parla Nabil Ayouch, regista del film scandalo sulla prostituzione a Marrakesh. In arrivo nelle sale italiane

Ci saranno almeno sei tonnellate di puttane stasera laggiù. Oggi voglio che diate il meglio di voi: fate vedere il culo, le labbra, le gambe. Imparate dalla vostra maestra. Siamo d’accordo?». Parla in maniera esplicita Noha, mentre si va a vendere con le amiche in una villa dove le aspettano sceicchi sauditi per un’orgia.

Il dialogo avviene in una delle prime scene di “Much Loved”, film con il quale il regista franco-marocchino Nabil Ayouch offre uno spaccato della vita notturna di Marrakech, concentrandosi su quattro prostitute costrette a fare i conti col bisogno di soldi, lo sfruttamento, il maltrattamento dei clienti. La pellicola è stata vietata dal ministero della Comunicazione marocchino per «il grave oltraggio ai valori morali e all’immagine delle donne». In Italia esce l’8 ottobre anche grazie a Valerio De Paolis, che già aveva distribuito un altro film vietato in patria, l’iraniano “Taxi Teheran”.

È la prima volta di un divieto del genere nella storia del Marocco», racconta Nabil Ayouch, che “L’Espresso” ha incontrato al Festival di Toronto, dove il film è stato presentato al pubblico nordamericano. «Dopo la proiezione a Cannes, quattro spezzoni sono stati piratati e pubblicati on line», prosegue Ayouch. «La reazione sui social media è stata violentissima e probabilmente ha contribuito alla decisione di bandire il film, anche se nessuno lo ha mai visto per intero. Il divieto poi ha alimentato la tensione: io e le attrici abbiamo ricevuto telefonate ed e-mail con minacce di morte ed è stata creata una pagina su Facebook, condivisa da migliaia di persone, per chiedere la nostra condanna a morte. Per due mesi abbiamo vissuto sotto scorta».
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Ma perché il suo film è stato messo al bando?
«Altre pellicole in Marocco avevano trattato la prostituzione in passato, ma “Much Loved” è la prima opera realistica sul tema. Non credo sia stata la nudità a dare scandalo, perché nei cinema marocchini si era già visto un nudo frontale, né il linguaggio volgare, anche quello già usato. Quindi la mia opinione è che se avessi ritratto queste donne come miserabili e perdenti probabilmente il film sarebbe stato distribuito; invece, sono eroine positive, guerriere in lotta per migliorare la condizione delle donne nella società marocchina».

Perché ci teneva a raccontare questa storia?
«Sono sempre stato affascinato da queste donne e dal loro ruolo nella società, dal loro essere ignorate e coraggiose e piene di energia insieme. La prostituzione è un tema universale: in altri Paesi si dibatte se arginarla punendo i clienti, le prostitute o gli sfruttatori. Ma io volevo concentrarmi sulla realtà che conosco - quella del Marocco - e mostrare come queste donne con il loro lavoro spesso mantengano le famiglie. Mi interessava esplorare ciò che danno e non ricevono in cambio».
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Come si è documentato prima di girare?
«Ho fatto ricerche per un anno e mezzo, ho intervistato più di 200 prostitute e persone che le incontrano tutti i giorni, per strada e altrove».

E come ha scelto le quattro protagoniste?
«Tranne Loubna Abidar, che aveva avuto piccoli ruoli, e interpreta Noha, Asmaa Lazrak (Randa), Halima Karaouane (Soukaina) e Sara Elhamdi Elalaoui (Hlima) non avevano mai recitato prima. Provengono da zone popolari e hanno conosciuto prostitute, sanno come si comportano e come parlano. Mi hanno detto di voler fare questo film per rendere omaggio a quelle donne invisibili e io ho spiegato loro che sarebbe stato difficile girarlo e difenderlo. Per fortuna la loro motivazione era forte».

Il film parla di donne, ma anche di uomini: tutti sfruttatori o clienti, tranne Said, l’autista che le scorta per la città.
«Said esiste davvero, e le porta in giro perché non possono presentarsi in pubblico: la società le disprezza, non possono neppure aspettare un taxi in strada senza essere molestate. La maggior parte degli uomini non fa nulla per loro. Sono solo pronti ad approfittarne».

Ha avuto preoccupazioni nell’utilizzo del nudo?
«Dovevo mostrare il loro lavoro, ma non volevo che le scene di sesso fossero gratuite, e desideravo poter difendere ogni inquadratura. Ho scelto di far vedere solo un amplesso, per sottolineare il punto di vista diverso che hanno Noha e il suo cliente francese: lui vorrebbe baciarla, come un innamorato, per lei è un atto troppo intimo. Naturalmente ho prima chiesto a Loubna se se la sentiva di girare la scena».

Quanto ha contato la religione nel promuovere il divieto, considerata la visione che l’Islam ha delle donne?
«Non credo che la religione musulmana sia colpevole di questa reazione. Il problema è che il Marocco è governato dai maschi e pesa moltissimo la tradizionale idea della vergogna, con cui ci viene fatto credere che ci sono temi di cui si può parlare e altri che sono un tabù. Di prostituzione si è parlato sui giornali, ma il dibattito non è diventato politico: non ci si è sforzati di capire di chi è la responsabilità e come trovare una soluzione».

Bandire il film non è una contraddizione, visto che il Marocco è una delle nazioni arabe più moderate? Molte donne siedono anche in Parlamento…
«È vero che il mio Paese è molto avanzato in tema di libertà civili, anche grazie alle riforme promosse dal re Muhammad VI. Penso tuttavia che nessuna rivoluzione avvenga dall’oggi al domani. E il divieto al film esprime il fatto che quando un Paese affronta cambiamenti epocali ci sono momenti in cui si ferma. Il pericolo però è di fare marcia indietro: in passato era possibile esprimere posizioni minoritarie e avere la speranza di accendere un dibattito. Oggi ho l’impressione che esistano due visioni opposte sul futuro della nazione, ma che non sia più possibile discutere senza andare allo scontro. I progressisti devono essere più attivi».

Esiste la libertà di parola in Marocco?
«Molta di più rispetto ad altri Paesi islamici: lo dimostra il fatto che ognuno può dire ciò che vuole, persino minacciare le persone. È vero che siamo stati attaccati, ma associazioni di donne, giornalisti, politici e artisti ci hanno difeso, sostenendo che il film non doveva essere vietato e che il Paese è sufficientemente maturo per discutere, senza censura, di certi temi. Il film avrebbe potuto aprire un dibattito nella nostra società. È stato deciso che per ora non deve accadere».