«I benefici della Tec arrivano solo dalla temporanea perdita di memoria. Ma appena tornano i ricordi, svanisce ogni effetto positivo». L'opinione dello psichiatra Piero Cipriano
Febbraio 2015, il pilota spagnolo Fernando Alonso esce di pista e con ogni probabilità riceve una scarica elettrica all’interno dell’abitacolo della sua automobile in modo accidentale e incontrollato. Una volta ripresa conoscenza, Alonso non ricorda più nulla della sua vita fino al 1995, tutto rimosso tranne il suo sogno di diventare pilota di Formula 1.
Fortunatamente Alonso rimase senza memoria solo per un paio di giorni ma la sua storia presenta esattamente i sintomi tipici dell’amnesia post elettroshock. E rivela il nodo centrale sulla questione: la terapia elettro convulsivante non ha effetti collaterali tranne per la perdita della memoria. Dunque, sostengono molti psichiatri, se si toglie la memoria a una persona depressa e la si riporta indietro di un anno o anche di pochi mesi, i sintomi della depressione possono affievolirsi ma non perché vi sia una guarigione, piuttosto perché vi è una perdita di pezzi di sé e poi, quando la memoria riemerge, ritorna anche il male di vivere.
Piero Cipriano, psichiatra presso il dipartimento di salute mentale dell’ospedale San Filippo Neri di Roma e autore del libro “Il manicomio chimico”, è fortemente critico verso la pratica dell’elettroshock, avendola sperimentata personalmente. Durante gli anni della sua formazione venne cooptato nel gruppo della clinica universitaria romana che praticava l’elettroshock. «Ho assistito ad alcuni casi, ho visto chi vi accedeva e quali erano gli esiti. Per fortuna dopo poco tempo sono partito per il militare e, conoscendo un altro tipo di psichiatria, ho iniziato a pormi molte domande. Ricordo un anziano giornalista che, dopo venti anni di farmaci antidepressivi, aveva iniziato le sedute di elettroshock ma la sua depressione si trasformava in stolidità, sembrava perdere pezzi della propria storia. Al contrario, ricordo una ragazza con diagnosi di disturbo borderline che scappava sempre dai luoghi di cura. Venne sottoposta a sei o otto sedute di elettroshock e non ebbe alcuna perdita di memoria, ma nemmeno alcun beneficio per il suo problema psichiatrico. A riprova che se non vi è effetto sulla memoria, non vi è effetto alcuno».
Eppure molti centri clinici di paesi avanzati nelle cure psichiatriche, come la Gran Bretagna, la Germania, ma anche gli Stati Uniti, vi ricorrono in maniera quasi sistematica.
«Dove prevale un’impostazione organicistica quando uno strumento non funziona si ricorre ad un altro, così quando i farmaci non bastano più, si passa alla corrente elettrica. Sappiamo che gli antidepressivi dopo quindici o vent’anni perdono il loro effetto. È un po’ quello che succede con la cocaina o le benzodiazepine. La prima somministrazione è la migliore. All’inizio c’è una vera e propria luna di miele ma poi, gradualmente, le sostanze modificano i vari recettori cerebrali, l’effetto si attenua, e bisogna aumentare il dosaggio. Si va avanti così fino a quando i farmaci perdono il loro effetto e ricorrere alla terapia elettrica è l’unica cosa in più che si può fare, ma in realtà si aggiunge danno al danno. Lo racconta bene Paolo Virzì nel film “La pazza gioia” in cui la protagonista chiede di andare a Pisa a fare l’elettroshock, non per guarire, bensì per non pensare, smemorarsi, come farsi dare una botta in testa».
Seguendo questo ragionamento allora l’intervento andrebbe fatto a monte, nella terapia farmacologica. «Oggi i medici di famiglia, i neurologi o altri specialisti prescrivono gli antidepressivi a pioggia, per qualunque forma di tristezza, per i lutti o per disturbi leggeri. Per di più con dosaggi uguali per tutti. È lapalissiano dire che sarebbe meglio prescrivere gli psicofarmaci solo quando veramente è necessario, alle dosi minime efficaci e per periodi limitati».
In Italia il ricorso all’elettroshock è tutto sommato molto limitato, forse perché l’eredità di Basaglia e della sua scuola sono ancora molto forti. «A mio parere abbiamo il migliore sistema che ci sia, i servizi di salute mentale con tutti i loro problemi affrontano le malattie mentali con la relazione, con la psicoterapia e non solo con i farmaci. Senza demonizzarli, ma le sostanze che si pensava avrebbero spazzato via le malattie mentali non si sono rivelate miracolose e di certo il rimedio non può essere l’elettroshock, di cui riguardo ai meccanismi di azione non si sa assolutamente nulla. Concordo con lo psichiatra Kurt Schneider molto apprezzato dagli organicisti: anche se tutto ciò fosse di aiuto, non tutto ciò che aiuta è consentito».