L'immagine che abbiamo della terapia elettroconvulsivante è molto lontana dalla realtà. Tuttavia al momento non vi sono riscontri scientifici certi sul meccanismo che entra in azione usandola. Per questo servirebbe un reale confronto accademico
Ci sono situazioni in cui tutti noi, pur non disponendo di informazioni scientifiche, tuttavia attribuiamo senza esitare un giudizio negativo: è il caso dell’elettroshock, una scarica elettrica a cui si ricorre per alcune forme di grave depressione, avvolto da ombre che non si dissolvono. Eppure un metodo che si pratica con una certa regolarità all’estero ma anche in alcune strutture in Italia. Ci sono stati anni in cui non se ne parlava più. Quando frequentavo la facoltà di medicina, pur essendo un trattamento descritto nei manuali, di fatto non era mai chiesto agli esami ?e non ricordo nessuno che ci scrisse ?la tesi di laurea. In realtà non è mai davvero scomparso e, anzi, nel tempo ?si è profondamente trasformato.
Oggi ?si pratica in un ambiente ospedaliero controllato, con tutte le attenzioni necessarie in procedure complesse. Il paziente viene addormentato e durante la terapia elettroconvulsivante (Tec), eseguita in anestesia generale, non prova alcun dolore. Al risveglio molte persone riferiscono di sentirsi meglio ?e di trarre un beneficio dalla terapia. ?E davvero nei centri in cui si pratica l’elettroshock non esiste nulla di ciò ?che la maggior parte delle persone ha costruito nel proprio immaginario grazie soprattutto al cinema e alla letteratura, anche se il modo in cui è praticato non può non suscitare forte emozione: ?si tratta pur sempre di una scarica elettrica che provoca al corpo del paziente convulsioni scuotenti.
Fermandosi a queste constatazioni , forse si potrebbe affermare che se il paziente riscontra un beneficio allora il metodo va applicato. Ma chi si occupa di medicina e di scienza ha il dovere professionale e morale di farsi qualche domanda in più. Perché quale sia il beneficio reale collegato a una scarica elettrica nel cervello non è dato saperlo e al momento non vi sono riscontri scientifici certi sul meccanismo di azione. Siamo nel campo delle ipotesi, mentre ciò che invece sappiamo con certezza è che ogni trattamento distrugge un certo numero di neuroni, in diversi casi fa perdere anche parte dei ricordi memorizzati e, inoltre, espone sempre ?il paziente ai rischi inevitabili connessi all’anestesia generale. Parliamo dunque di un metodo invasivo il cui meccanismo di azione non è mai stato validato scientificamente. Se si accettano le regole della scienza, è necessario spiegare come funziona una terapia, ?su cosa agisce, quali conseguenze ha, quali sono gli effetti collaterali, senza tutto questo siamo fuori dai parametri ?di ciò che si definisce cura o trattamento medico.
Fatte le debite differenze, si può azzardare un paragone con l’omeopatia. Chi assume sostanze omeopatiche racconta spesso di trarne un beneficio, eppure non vi è alcuna evidenza scientifica che l’omeopatia sia una cura, anzi, la medicina tradizionale non la riconosce, proprio perché le sostanze somministrate non sono sottoposte al metodo sperimentale previsto per i farmaci e quando è stato fatto i risultati non sono stati soddisfacenti. Per questo l’Organizzazione Mondiale della Sanità sostiene che l’omeopatia non sia un trattamento medico. La rivista Lancet, spesso chiamata in causa per i suoi autorevoli giudizi, nel 2007 ha decretato che l’efficacia delle cure omeopatiche riscontrabile in alcuni pazienti è spiegabile solo con l’effetto placebo. ?Il potere della suggestione, ma almeno con l’omeopatia non si corrono ?grossi rischi.
Nel caso dell’elettroshock purtroppo parliamo di situazioni molto gravi, di malati che non trovano più giovamento nei farmaci e per i quali la Tec rappresenta l’ultima tappa di un percorso pesante e doloroso. Per questo, per rispetto verso tutti questi pazienti, sarebbe il caso di fare chiarezza. Per avere un giudizio più sereno in merito all’utilizzo della terapia elettroconvulsivante servirebbe almeno quella che nell’ambiente scientifico viene chiamata una consensus conference, ovvero un confronto tra un ampio gruppo di esperti della materia che, assieme a rappresentanti della società debitamente informati, esprimano una posizione possibilmente unanime. Sulla base di questo giudizio dovrebbero poi essere adottate le decisioni sanitarie. Un percorso che anche la Corte Costituzionale italiana ha indicato in due sentenze, nel 2002 e nel 2003, affermando che le scelte terapeutiche, nel caso specifico l’elettroshock, non possono dipendere dalla discrezionalità della politica che ?le autorizza o le vieta, ma dovrebbero basarsi sulle conoscenze scientifiche ?e sulle evidenze sperimentali acquisite tramite organismi tecnico-scientifici nazionali o sovranazionali.