Negli ultimi anni i film presentati al Lido hanno conquistato gli Oscar più importanti. E la rassegna in Laguna ?è diventata il miglior lancio per le pellicole più attese sbaragliando la concorrenza francese
«Quando “Moonlight" ha vinto l'Oscar ho pensato che l’avrebbe meritato “La La Land”: già dopo la prima mondiale al Lido tutti avevamo capito che si trattava di un film epocale».
Alberto Barbera, 67 anni, esprime così il rammarico per quello che è stato un piccolo incidente di percorso nella sapiente opera di rilancio della
Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, di cui è tornato direttore dal 2012 dopo il triennio 1999-2001. Se la pellicola di Damien Chazelle, che la statuetta se l’è comunque aggiudicata, avesse trionfato, avrebbe segnato il terzo anno consecutivo in cui il miglior film dell’anno sarebbe arrivato dopo una corsa iniziata proprio in laguna: nel 2015 è stato il caso di “Birdman” e nel 2016 quello di “Il caso Spotlight”.
Ad accorgersene non è stato solo Variety, la bibbia del cinema americano, ma i produttori di Hollywood, tornati a sgomitare per portare al Lido i propri film migliori. Ad aprire la 74esima edizione del festival, in programma dal 30 agosto al 9 settembre, sarà “Downsizing”: nella satira di Alexander Payne, Matt Damon è un uomo che accetta di farsi rimpicciolire per condurre una vita più agiata, dato che quando si è più piccoli le risorse si ingigantiscono, e per aiutare a risolvere i problemi di sovrappopolazione e inquinamento. «Scegliere il film d’apertura è la cosa più difficile perché bisogna bilanciare vari elementi», spiega Barbera all’Espresso: «Deve essere un grande film americano che richiami l’interesse dei media, avere qualità autoriali e spettacolari, ed essere anche accessibile per incontrare i gusti degli spettatori dell’inaugurazione, che non sono cinefili ma notabili e autorità».
Naturalmente non sempre si riesce a trovare l’alchimia giusta, ma degli ultimi cinque film scelti da Barbera, ben tre (“La La Land”, “Gravity” e “Birdman”) hanno ottenuto in totale 17 Oscar e incassato un miliardo e 200 milioni di dollari al box office planetario.
Un biglietto da visita utile per portare anche quest’anno in concorso al Lido alcuni dei titoli americani più attesi della stagione: “Mother!” di Darren Aronofsky, che Barbera descrive come «un film di genere molto radicale e violento» e racconta la storia di due coniugi, Jennifer Lawrence e Javier Bardem, la cui tranquillità viene sconvolta dall’incontro con un’altra coppia.
Poi “
The Shape of Water”, «il miglior lavoro di Guillermo Del Toro dai tempi di “Il labirinto del fauno”», sul rapporto d’amore tra una bestia creata in laboratorio e l’inserviente muta che lavora in quel luogo, e “Suburbicon”, scritto dai fratelli Coen e diretto da George Clooney, dark comedy ambientata in un sobborgo americano anni Cinquanta «talmente riuscita da essere stata a lungo in predicato come film inaugurale».
Il direttore scommette anche su “Three Billboards Outside Ebbing, Missouri” di Martin McDonagh, in cui Frances McDormand è una donna che lotta tenacemente contro pigrizia e imperizia della polizia incapace di trovare chi ha ucciso la figlia. E “First Reformed”, thriller a sfondo religioso con cui Paul Schrader per la prima volta sarà in gara. «In questi anni abbiamo ricostruito il rapporto con gli studios, che consideravano Venezia troppo costosa e marginale per le loro strategie di marketing. Per riuscirci abbiamo dimostrato di essere capaci di investire sulle strutture di accoglienza, la cittadella del cinema e le sale», prosegue Barbera, che fa riferimento al grande lavoro compiuto dal presidente della Biennale Paolo Baratta, da cui è stato chiamato due volte alla direzione e con cui ha costruito ormai un rapporto saldissimo. «Certo, diventare la piattaforma di lancio per la corsa agli Oscar non sarebbe stato possibile se l’uscita dei film candidati non si fosse concentrata in autunno. Da parte nostra abbiamo snellito il programma, garantendo ad ogni titolo la stessa visibilità, riconquistando un vantaggio su Toronto (che inizia una settimana dopo Venezia, ndr), cresciuto tantissimo in questi anni ma poi rimasto schiacciato dall’eccessiva presenza di film», continua il direttore.
Senza contare che ormai a Venezia vengono invitate solo opere in anteprima mondiale, un privilegio per ottenere il quale i festival fanno a gara e che scherzosamente Barbera paragona alle “tre stelle Michelin”. Nonostante questi primati, a Venezia i blockbuster presenti in massa nelle edizioni dirette da Lizzani e Pontecorvo ormai non arrivano più: il tanto atteso “Blade Runner 2049”, perfetto per l’occasione, visto il debutto previsto nei cinema il 5 ottobre, non sarà in laguna ma neanche altrove.
«Negli anni Ottanta, quando Venezia aprì ai film spettacolari, i festival erano ancora considerati decisivi per la loro promozione. Oggi il successo dipende dagli incassi del primo weekend e quindi le major hanno paura di sottoporsi al giudizio del pubblico festivaliero, più ristretto e diverso dalla massa, fatto di critici ed esperti che con eventuali recensioni negative rimbalzate dai social possono affossare il successivo debutto in sala».
Barbera tocca un tasto dolente: l
’ossessione da parte del cinema americano di controllare ogni minimo dettaglio del lancio, inclusa la gestione delle star, di cui i festival continuano ad aver bisogno come il pane per riempire i red carpet. «A Venezia si scelgono sempre i film a prescindere dagli attori, ma è chiaro che se questi non possono presenziare, le major rinunciano a partecipare, perché sanno che senza star è impossibile lanciare un film». Paradossalmente, rispetto agli anni d’oro in cui i divi si concedevano con generosità a pubblico e giornalisti, oggi più spesso al Lido fanno una fugace apparizione.
Se negli ultimi dieci anni Venezia, con
tre Oscar per il miglior film passati per la prima volta in laguna, ha battuto tutti i grandi festival popolari, compresi Cannes, Berlino e Toronto, è altrettanto vero che il Leone d’oro nello stesso periodo al botteghino ha attirato incassi miserrimi: «Le dinamiche interne alle giurie spesso sono insondabili, come dimostra la mancata vittoria l’anno scorso di “La La Land”, ma è pur vero che sono cambiati il pubblico e le modalità di fruizione dei film. A soffrirne non sono solo i premiati a Venezia, ma anche a Cannes e Berlino».
Secondo Barbera è il cinema d’autore a risentire di più di queste trasformazioni, tanto e vero che al box office vincono i blockbuster e le commedie di basso livello. Per ridestare l’attenzione di un certo tipo di pubblico, Venezia non si affida soltanto al nuovo legame con Hollywood, ma anche a uno certo spirito innovativo che pone la Mostra del cinema più antica del mondo all’avanguardia rispetto a Cannes, dove quest’anno è divampata la polemica sui film di Netflix, giudicati indegni di vincere premi perché non destinati alla sala ma ai piccoli schermi di computer e iPad.
«Secondo me il miglior luogo dove vedere un film è il cinema e i giovani non sono stati educati a cogliere questa differenza, ma non si può arrestare il processo in atto. Penso che il prossimo film di Martin Scorsese, prodotto da Netflix, debba essere valutato allo stesso modo di quello precedente che è arrivato in sala».