C'era una volta Troia: così rinascono i luoghi del mito
A Hissarlik, in Turchia, Schliemann rintracciò le rovine. Nuovi scavi e un anno di eventi rilanciano ora il sito
Cinque lettere bastano a evocare la madre di tutte le battaglie, il primo scontro fra Oriente e Occidente e il poema che ha immortalato l’impresa con i più celebrati eroi del mito: Troia.
La Turchia, che ne ospita le rovine a Hissarlik, ha deciso di dedicarle un intero anno di celebrazioni, a vent’anni da quando il sito è entrato nella lista del Patrimonio Unesco: nuovi itinerari anche con piste ciclabili per collegare diverse aree archeologiche, convegni, mostre e un grande Museo nel Parco nazionale di Troia, che aprirà a luglio. Come L’Espresso può anticipare, con le informazioni fornite dal Ministero della Cultura e del Turismo della Turchia, saranno esposti 2000 reperti provenienti da tutte le zone del distretto di Çannakale - fra le quali Apollo Sminteo, Asso (da dove proviene il più antico stilo in bronzo per scrivere), Alessandria Troade, la stessa Troia. Dal pianterreno al terzo piano si potrà conoscere tutta la storia di questa provincia ricca di testimonianze, che dai più antichi tumuli funerari arrivano al periodo ottomano: statue, sarcofagi, 800 recipienti di ceramica figurati, 100 monete, 680 reperti di metallo, strumenti medici, armi, e oggetti d’oro. Fra questi ultimi 24 reperti, della prima Età del Bronzo, recuperati tra le rovine di Troia con scavi illegali e trasferiti negli Stati Uniti. In collaborazione con il governo turco, l’università di Archeologia e Antropologia della Pennsylvania li ha restituiti nel 2012 e, in attesa di arrivare al luogo di origine, sono conservati nel Museo delle Civiltà Anatoliche di Ankara.
Chi oggi arriva a Hissarlik immaginando gli scenari descritti da Omero, resta disorientato: la collinetta artificiale, risultato di costruzioni sovrapposte, mostra resti di mura e luoghi pubblici, tracciati di strade, gradini di pietra, colonne, difficili da leggere. Non è la conseguenza di un terremoto, ma degli scavi iniziati nell’Ottocento in modo così caotico da complicare le ricerche successive. Sono state le indagini sistematiche, svolte per oltre un secolo da archeologi tedeschi, americani e turchi, a stabilire con certezza nove fasi di vita della città antica (indicate con numeri romani) con molte sotto-fasi, una sull’altra, per millenni di storia. Guerre, incendi, fenomeni sismici non hanno impedito ai superstiti di ricostruire case e mura, tanto strategica era la loro posizione.
All’inizio fu solo un villaggio su un’altura che dominava le valli bagnate da due fiumi, gli omerici Scamandro e Simoenta, e un’ampia baia sulla costa del mar Egeo. Divenne presto una cittadella fortificata, sempre più rispettata dalle imbarcazioni dirette verso il mar Nero: una sentinella sullo Stretto dei Dardanelli, a controllo delle rotte commerciali fra Europa e Asia. Le condizioni atmosferiche avevano contribuito alla prosperità: venti e correnti contrari per la maggior parte dell’anno costringevano le navi a fermarsi a lungo nel porto, facendo pagare onerose tasse ai mercanti in sosta. Non c’è da stupirsi se popolazioni che trafficavano sul mare come i greci avessero cercato di impadronirsene. Il rapimento della bellissima Elena, moglie del re di Sparta Menelao, ufficiale casus belli, c’entrava poco: se furono i greci/achei gli autori di una distruzione realmente avvenuta intorno al 1300 -1250 a.C. (nei livelli di Troia VI e VIIa), si era trattato di motivi economici. Ma l’epos troiano, con il suo carico di amore, guerra e morte, tra storie di amicizie, tradimenti, affetti familiari, capricci divini, non ha mai smesso di ispirare la cultura occidentale, a cominciare dalla prima arte figurativa greca e fino al periodo romantico dell’Ottocento.
Fu nella seconda metà del secolo che il ricchissimo mercante tedesco Heinrich Schliemann, sulla scorta delle descrizioni dell’Iliade, decise di investire beni e mezzi per trovare la città protagonista della guerra più famosa del mondo. E la sua ostinazione fu premiata: rintracciò l’esatta ubicazione, ma il tesoro che portò alla luce non era appartenuto al re Priamo, come annunciò. I gioielli e le coppe d’oro che spuntarono dagli scavi si riferivano a un insediamento di mille anni più antico, anch’esso devastato da un incendio. All’epoca del ritrovamento, fine maggio 1873, la gioia incontenibile dello scopritore alimentò la convinzione che i diademi composti da catenine verticali di foglie, orecchini a cestello con pendenti, anelli a fili ripiegati con pomelli, fossero davvero i monili indossati dalla mitica Elena. C’era altro nel ripostiglio conservato in oltre due metri di cenere: recipienti e coppe (famosa la “salsiera” a due becchi di 600 gr.), orecchini decorati a granulazione, bracciali a nastro con motivi a spirale, fermagli, pendenti, collane, “gemelli” che forse servivano come chiusure di abiti, oggetti d’argento e di bronzo.
Schliemann aveva trovato quei reperti alla base della collinetta, sicuro che Troia fosse stata costruita a ridosso della roccia madre; per arrivarci aveva iniziato gli scavi dal centro, con un grande sbancamento, distruggendo tracce importanti. Poi continuò a scavare verso l’alto e intercettò altri ripostigli di manufatti preziosi, ma la città cantata da Omero gli era sfuggita sotto i colpi di piccone.
La scoperta degli Ori di Priamo suscitò meraviglia nell’opinione pubblica e diffidenza da parte del mondo accademico; si arrivò a dire che tanti reperti sarebbero stati acquistati nei mercatini (l’archeologo Donald Easton confermerà invece l’originalità del ritrovamento nello strato di “Troia II”). A Schliemann va comunque il merito di aver fatto conoscere una realtà storica importante, disegnando e fotografando i reperti, con la pubblicazione a sue spese delle indagini. Spinto dall’entusiasmo, avviò altri scavi in Grecia: era da lì che erano partite le navi sul “mare nero come il vino” dirette nella Troade al comando di Agamennone. In questa città che portò alla luce rinvenne una necropoli con reperti di pregio: come la maschera funeraria in oro di un personaggio maschile barbato che identificò con il re omerico (si rivelerà più antica di tre secoli). Ormai era la Grecia la sua nuova patria e greca la seconda, giovane moglie Sophia Engastromenos, con la quale ebbe i figli Agamennone e Andromaca. Ad Atene aveva portato di nascosto il suo tesoro, violando l’accordo con le autorità turche; seguì un processo che costrinse l’Indiana Jones dell’Ottocento a pagare una grossa multa, alla quale aggiunse 50.000 franchi per sancire la proprietà dei reperti.
Personaggio controverso, Schliemann: trafficante d’oro in California, viaggiatore poliglotta, suddito russo con attività commerciali non sempre limpide, studi alla Sorbona, generoso nel donare a Berlino la sua collezione, ma restio a comunicare al governo turco le asce rituali in giada e lapislazzuli che aveva trovato negli ultimi scavi. Era il 1890. Nel dicembre dello stesso anno morì per strada a Napoli, a seguito di un intervento chirurgico alle orecchie effettuato in Germania.
Se Atene ne onorò le spoglie con un mausoleo, è Mosca, nel Museo di Arti figurative Puškin, che può esibire la sua favolosa scoperta. Il Tesoro attribuito all’ultimo re di Troia era stato nascosto nella torre-bunker della contraerea presso lo Zoo di Berlino. Nel marzo del 1945 Hitler aveva ordinato di trasferirlo nelle miniere di sale di Helmstadt, ma l’incaricato, Wilhelm Unverzagt, trattenne nel rifugio i gioielli. Forse, vista l’imminente disfatta, intendeva usarli come merce di scambio per la sua salvezza; in seguito disse che fu costretto a consegnarlo ai sovietici. Considerato dall’Armata Rossa risarcimento bellico per le perdite subite dai nazisti, fu spedito in Unione Sovietica. Da allora iniziò il mistero degli Ori: chi sosteneva che erano stati fusi in lingotti, chi riteneva che fossero stati dispersi e venduti. I russi a lungo negarono di averli, finché nel 1993 Boris Eltsin, dopo un articolo di “Art News”, annunciò che il Tesoro di Troia era conservato nei sotterranei del Museo Puškin e sarebbe stato esposto al pubblico. Fu una rassegna di grande effetto quella allestita tre anni dopo a Mosca, con la parte più spettacolare dei gioielli di Berlino (catalogo Leonardo Arte). Il bottino, in origine, era più cospicuo: a Mosca arrivarono solo tredici dei diciassette Tesori di Schliemann conservati in Germania.
Ritrovamenti troiani sono disseminati in decine di musei nel mondo: l’Ermitage di San Pietroburgo espone una parte delle collezioni Puškin, il Museo Archeologico di Atene conserva i gioielli donati dalla vedova Sophia, nel Museo Archeologico di Istanbul si trovano i reperti consegnati da Schliemann e quelli sequestrati agli operai a Hissarlik, a Berlino si trovano altri cimeli attribuiti a Priamo. Ma, assodato che Elena non indossò mai gli scintillanti diademi, come appariva Troia nella tarda Età del Bronzo quando è ambientato il rapimento? Ilios per i greci e Wilusa per gli ittiti, era una rocca con alte mura e torri, templi e palazzi e un abitato di 8-10.000 abitanti. Manfred Korfmann dell’università di Tubinga ha documentato l’esistenza della città bassa in lunghe campagne di scavi (1988-1994) trovando gallerie e armi risalenti alla fioritura di Micene.
Tra la fortezza e la pianura di quell’epoca si stanno ora concentrando le ricerche della missione diretta da Rüstem Aslan dell’università di Çannakale Onsekiz Mart, e “L’Espresso” ne può rivelare i primi risultati: un’area sacra all’ingresso meridionale della rocca, a est targhe di terracotta del periodo ellenistico che raffigurano i cavalieri di Dardano (tra i capostipiti di Troia). E nuovi resti architettonici, in corso di studio, risalenti al tempo della mitica guerra. Resa immortale dai 15.696 esametri di Omero. Con Achille, Ettore, Elena, Paride protagonisti della giovinezza della nostra Storia.