Idee
«Italiani, leggete bene Machiavelli e salverete la vostra democrazia»
La provocazione dello storico americano John P. McCormick. Contro le élite corrotte e per un populismo di sinistra, assicura, niente è più attuale del Principe. E le obiezioni di Ginzburg, Viroli, Urbinati? «Sbagliano: vi spiego perché»
Negli ultimi dieci anni nessuno scienziato politico ha probabilmente fatto parlare altrettanto di sé nell’accademia americana. Le sue tesi sono discusse sul “New York Times”. Alcuni dei suoi articoli sono diventati dei veri classici studiati in tutto il mondo. Ha dozzine di seguaci tra gli studiosi più giovani, ma le critiche degli avversari sono sempre più aspre - anche in risposta a uno stile intellettuale che ama il confronto e rifugge dai giri di parole.
Si parla di John P. McCormick: cinquantacinque anni, professore di Political Science presso l’Università di Chicago, un antico rapporto con l’Italia (anche di discendenza familiare, per parte di madre). La grande particolarità dell’opera di McCormick è che da più di dieci anni propone di curare le democrazie occidentali con una terapia d’urto ispirata agli insegnamenti di Niccolò Machiavelli, da lui letto anzitutto come teorico del governo popolare e nemico delle degenerazioni oligarchiche. L’uscita presso Viella della traduzione del libro che viene considerato unanimamente il suo capolavoro – “Democrazia machiavelliana” – ha offerto l’occasione per una conversazione a 360 gradi sulla speciale attualità del pensatore fiorentino.
Machiavelli è un classico, naturalmente. Tuttavia, professor McCormick, la sua dedizione rimane abbastanza eccezionale... Su di lui ha pubblicato già due libri e, a quanto so, un terzo è in preparazione - un vero record per uno studioso americano! Da cui la domanda: perché proprio Machiavelli?
«Ho incontrato “Il Principe” all’università, ma è stato durante il master che ho avuto la fortuna di seguire due seminari interamente dedicati ai “Discorsi”, nel 1992. È grazie a quelle lezioni che sono stato conquistato da Machiavelli. E anche se ho iniziato la mia carriera di studioso nel solco della “teoria critica” della Scuola di Francoforte, sono tornato a Machiavelli negli anni 2000, quando la crescente disuguaglianza e l’avventurismo militare sotto l’amministrazione Bush-Cheney mi hanno riportato ai “Discorsi”. Dopo tutto, Machiavelli mi aveva insegnato che i cittadini delle antiche repubbliche punivano le élite molto più severamente per la corruzione e il tradimento di quanto non facciano le democrazie liberali contemporanee. I suoi scritti mettono anzi in chiaro che i cittadini non sono veramente liberi se permettono alle oligarchie politiche e socio-economiche di farla franca causando disastri come la seconda guerra in Iraq, la crisi finanziaria, o, più recentemente, la collusione di Trump con potenze straniere e il suo tentativo di sovvertire con la violenza le elezioni. Chiunque legga Machiavelli con l’attenzione che merita può rendersi conto che le democrazie moderne permettono alle élite di non pagare per comportamenti che lui riteneva andassero puniti con la massima severità. La corruzione dilagante della politica americana ha reso il mio lavoro molto meno “habermasiano” e molto più “machiavelliano”».
Lei non è solo uno specialista di Machiavelli. Infatti, ha ampiamente pubblicato anche sul pensiero della Repubblica di Weimar. Si potrebbe dire che la attraggano proprio i momenti di crisi più acuta…
«Non ho pianificato la cosa, ma in effetti la crisi delle repubbliche democratiche è diventata il mio principale tema di ricerca. Da oltre vent’anni indago sugli effetti che la corruzione plutocratica e oligarchica hanno sulla vita democratica, corruzione che spesso sfocia in colpi di stato autoritari».
Torniamo a Machiavelli. Nell’immaginario comune l’autore del Principe è ancora un consigliere dei tiranni. Gli studiosi hanno cercato di correggere questa idea errata concentrandosi invece sui “Discorsi”. La sua lettura è ancora diversa, però. Perché il suo Machiavelli non è solo un pensatore repubblicano: è filopopolare, ostile alle degenerazioni oligarchiche degli stati liberi.
«Anche se Machiavelli non ha mai usato la parola “democrazia”, e anche se ha espresso serie riserve sulla democrazia ateniese, per me va considerato il primo vero “teorico democratico” del pensiero politico occidentale. Machiavelli cancella la distinzione classica tra aristocratici e oligarchi, accusando le élite socio-economiche di essere sempre agenti di oppressione sulla gente comune. Inoltre, sviluppa i pochi passaggi presenti nel pensiero politico tradizionale in cui si ammette (a malincuore) che la gente comune è in grado di prendere le decisioni giuste, e su questa base edifica una nuova teoria democratica».
La traduzione del suo libro si apre con una nuova introduzione, quasi una piccola monografia, in cui discute gli argomenti degli autori italiani che l’hanno criticata o hanno presentato un’immagine di Machiavelli che lei disapprova.
«Era necessario fare chiarezza! Carlo Ginzburg per esempio ha un’idea ingenua, superata da tempo e troppo elitaria, di Machiavelli, in cui il popolo esiste solo come oggetto manipolabile da principi furbi o da pochi potenti. Maurizio Viroli, da parte sua, distorce gravemente la rappresentazione machiavelliana del popolo, rendendolo altrettanto responsabile delle élite socio-economiche per la crisi della libertà repubblicana: una falsa equivalenza che Viroli usa per attribuire a Machiavelli una teoria alquanto superficiale del “governo misto”. Nadia Urbinati è un’interlocutrice intellettuale assai più sofisticata. Ho la massima stima dei suoi scritti accademici e dei suoi interventi pubblici. Però è vero: su questioni importanti la pensiamo diversamente. Trovo la sua devozione alla democrazia rappresentativa basata sui partiti troppo rigida. Questa forma di democrazia delude sempre la massa dei cittadini perché favorisce intrinsecamente le élite socio-economiche e politiche, spargendo i semi di una disaffezione che può essere sfruttata da leader o partiti antidemocratici. Contro Urbinati sostengo che i sistemi rappresentativi devono essere integrati da specifiche istituzioni di classe concepite per difendere il popolo. Con questo, intendo istituzioni che facilitino il giudizio popolare diretto (come i referendum), e istituzioni che diano direttamente potere ai cittadini comuni (gli equivalenti moderni dei plebei) attraverso il sorteggio (piuttosto che attraverso le elezioni), o assemblee che escludano le élite socio-economiche. Urbinati mi rimprovera che la democrazia diretta rende la politica moderna suscettibile di usurpazioni populiste; ma lei considera il populismo solo come un fenomeno di destra. Traumatizzata dall’esperienza del berlusconismo, tende a ignorare che il populismo può assumere forme progressiste: dal People’s Party di fine Ottocento negli Stati Uniti ai gilet gialli nella Francia contemporanea. Inoltre ritiene che le istituzioni di classe pensate per favorire i moderni plebei violino gli standard illuministici di uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, di fatto interpretando la mia proposta come un ritorno al corporativismo fascista. Così facendo, però, Urbinati sembra dimenticare la critica di Marx alla democrazia borghese: un’adesione troppo rigida a una concezione formale dell’uguaglianza può favorire gravi disuguaglianze socio-economiche de facto».
Lei è dunque un populista?
«Sono un difensore del populismo - del populismo di sinistra. La differenza tra sinistra e destra è semplice: il populismo progressista è un movimento che contesta gli ingiusti vantaggi reali di cui gode una minoranza. Il populismo di destra è un movimento che sfida i privilegi immaginari di cui godono le minoranze (religiose, etniche…) più vulnerabili. Penso che gli scritti di Machiavelli anticipino il populismo di sinistra perché incoraggiano i plebei a sfidare le élite e a chiedere loro una quota sempre maggiore di potere economico e politico».
E i marxisti?
«Beh, nella nuova introduzione a “Democrazia machiavelliana” sono molto duro con loro. Il modo in cui ignorano o minimizzano il ruolo delle istituzioni nel pensiero di Machiavelli è esasperante. Per come leggono Machiavelli, il popolo si limiterebbe a contestare le macchinazioni di uno Stato concepito monoliticamente. Ma Machiavelli non voleva semplicemente che il popolo si opponesse al potere dell’oligarchia solo dall’esterno. Unicamente in tal modo - dentro e fuori dalle istituzioni - i cittadini possono combattere in maniera efficace l’oligarchia ed esercitare l’autogoverno. Gli interpreti marxisti di Machiavelli confondono la democrazia con l’anarchia».
Credo che qualsiasi lettore di Machiavelli sia stato portato almeno una volta a vedere in Barack Obama una sorta di reincarnazione di Piero Soderini: il gonfaloniere di giustizia di Firenze con cui Machiavelli lavorò per dieci anni e che fu sconfitto perché, contrariamente ai consigli di Machiavelli, cercava il compromesso con l’élite a tutti i costi, anche quando era chiaro che i suoi avversari non erano disposti a trattare - fino a quando l’oligarchia fiorentina non si sbarazzò di lui con un colpo di stato.
«Quanto lei dice di Obama è divertente e frustrante allo stesso tempo. Ogni volta che tengo il mio corso sulla Leadership politica, dedico sempre una lezione al tema “Barack Obama: Tyrant or Suppliant?”, e assegno da leggere alcuni passaggi di Machiavelli su Soderini. Senza dubbio, credo che Obama sia stato troppo circospetto nel trattare con i repubblicani. Spesso mi immagino Rahm Emmanuel - il capo dello staff di Obama, un vero mastino! - che incita Obama ad essere più aggressivo, con parole che ricordano quelle di Machiavelli a Soderini. Ma non dobbiamo sottovalutare quanto profondamente radicato fosse il tratto caratteriale della moderazione in un afroamericano divenuto presidente degli Stati Uniti, data la lunga storia di oppressione razziale del mio Paese...».
Dopo poche settimane in carica, la grande sorpresa è che Joe Biden, Joe il Sonnacchioso, sembra più pronto a spingere un ambizioso programma di riforme.
«Joe il Sonnacchioso non è Joe lo Stupido! Al fianco di Obama, per otto anni ha visto l’intransigenza dei repubblicani all’opera. Biden ha già dimostrato che tenderà la mano ai repubblicani per coinvolgerli nella definizione delle politiche, ma non ha alcuna intenzione di implorare la loro cooperazione o aspettare all’infinito che contraccambino le sue aperture. E, sì, le sue proposte politiche sono state finora decisamente più a sinistra di quello che ci si sarebbe potuto aspettare da un democratico così moderato. Biden sa che deve molto all’ala sinistra del partito per la sua vittoria, e forse pensa che una politica economica che aiuti le famiglie più in difficoltà possa togliere un po’ di sostegno populista ai repubblicani in futuro».
Esprima un desiderio per il 2021 (non si accettano risposte sulla pandemia!).
«Mi auguro che Mario Draghi diventi la quintessenza del traditore di classe “alla Machiavelli”. Spero insomma che si comporti come uno dei tanti “principi civili” - Clearco o Soderini - che giunsero al potere dalle file dell’élite per farsi ben presto i campioni degli interessi della plebe. Sì, il mio desiderio per il nuovo anno è che Draghi tradisca i suoi amici neoliberali e attui delle vigorose politiche di sinistra in Italia - con la decisione di un Clearco, e non timidamente come Soderini».