Cinema e realtà
Juliette Binoche: «Io, addetta alle pulizie sulla nave delle invisibili»
Una giornalista si finge lavoratrice su un traghetto per scrivere un libro-inchiesta. Nasce così il film “Tra due mondi” diretto da Emmanuel Carrère. E interpretato da una grande star, che qui si racconta
Nel 2009 la giornalista e inviata di guerra Florence Aubenas, ritornata in Francia dopo un drammatico rapimento in Iraq, si è presa un anno sabbatico da Le Nouvel Observateur e, camuffatasi, si è presentata in un ufficio per il collocamento a Caen, città vicina alle coste della Normandia, accettando un impiego di donna delle pulizie sui traghetti diretti in Gran Bretagna, allo scopo di scrivere un’inchiesta sul lavoro precario. Il frutto di quei mesi trascorsi a vivere da reporter in incognito la vita di altre donne con problemi sociali e familiari, costrette perciò ad accettare un lavoro umile e turni estenuanti, è stato il libro “La scatola rossa”, successo editoriale in Francia arrivato poi in Italia grazie a Piemme. Ora, a distanza di oltre 10 anni, quelle pagine approdano sul grande schermo (dal 7 aprile) nel film “Tra due mondi”, grazie a un duo d’eccezione: Emmanuel Carrère, scrittore di romanzi come “L’avversario” e “Limonov”, intellettuale e sceneggiatore, qui in una delle sue rare prove da regista, e Juliette Binoche, nel ruolo appunto di Aubenas, anche se parzialmente reinventato da Carrère: la scrittrice Mariane Winckler (Binoche) decide di portare la finzione fino in fondo e raggiunge un grado di profonda intimità con le lavoratrici la cui vita vuole scrutare da vicino. La sua amicizia con queste donne tenaci, che appartengono a un milieu totalmente diverso dal suo (interpretate da vere addette alle pulizie scelte attraverso un lungo workshop), sarà messa a dura prova quando un evento inatteso scopre il gioco della scrittrice, provocando in particolare la reazione di Christèle (Hélène Lambert), la più orgogliosa del gruppo.
La genesi del film è un esempio di come spesso la trasposizione di un libro al cinema sia molto travagliata e richieda, appunto, anni prima di arrivare a compimento. «Non è stato per niente facile realizzare l’adattamento del romanzo-inchiesta di Florence Aubenas», conferma Juliette Binoche, che da oltre 20 anni si è guadagnata lo status di diva internazionale. «Il progetto mi è stato proposto da un regista e ho detto subito sì senza pensarci troppo. Poi ho letto il libro e mi ha catturato, tanto che ho deciso di produrre il film, ma mi è stato detto che Florence non voleva vendere i diritti. L’ho chiamata e mi ha confermato che li avrebbe ceduti solo a condizione che lo dirigesse Emmanuel Carrère. Tuttavia lui era molto impegnato nella scrittura dei suoi romanzi e così l’ipotesi è tramontata. O almeno così credevo».
E poi cosa è accaduto?
«Ho incontrato Florence a Cannes e lei si è scusata per aver fatto un po’ la difficile, e mi ha detto che il film si poteva finalmente fare. Un po’ di tempo dopo Emmanuel mi ha chiamata per dirmi che aveva scritto la sceneggiatura insieme a Hélène Devynck, ma quando ci siamo incontrati mi ha spiegato che avrebbe prodotto lui il film. Avendo inseguito il progetto per tanti anni, ci sono rimasta malissimo. Ma ho accettato e mi sono detta che questo oltraggio sarebbe stato per me la chiave per entrare nel personaggio e capire l’umiliazione quotidiana a cui sono sottoposte queste donne…».
Non sono attrici, ma vere addette alle pulizie che vivono a Caen. Come è stato l’incontro con lei, grande star del cinema?
«Sono arrivata in città un giorno prima delle riprese e avevano organizzato una cena per darmi il benvenuto. Ero in uno stato pietoso, stanca, raffreddata e molto vulnerabile perché mio padre (Jean-Marie, attore, regista, scultore, ndr) stava morendo. Si aspettavano la diva truccata e vestita di Chanel e invece hanno trovato una persona normale, con la faccia stropicciata e il morale a terra. Appena mi hanno vista in quelle condizioni mi hanno accolto, è stato facile stabilire un contatto. Solo Hélène è stata più sulle sue, sospettosa: voleva essere sicura che non stessi fingendo».
Questo è quel che accade nel film, dove il suo personaggio, Marianne, raggiunge una certa intimità con le compagne di lavoro, anche se in realtà nasconde il suo vero intento. Cosa ha pensato quando ha letto la sceneggiatura?
«Ho pensato che fosse strutturata in maniera eccellente, ma ero preoccupata di come Emmanuel aveva sviluppato il conflitto attorno all’identità di Marianne: temevo che questo spostasse l’attenzione da queste donne sul mio personaggio. Parlando con Florence avevo capito che alcune donne, scoprendo la sua vera identità, erano rimaste ferite perché si sono sentite tradite, e non volevo che la stessa cosa accadesse sul set del film. Hélène, la più fragile di tutte, pensava che il circo del cinema l’avrebbe sfruttata. Emmanuel invece aveva paura che lasciasse il film a metà delle riprese, così l’ho rassicurata costantemente. Molte altre lavoratrici però, si sono sentite lusingate dal fatto che Aubenas parlasse delle loro vite. In fondo questo film pone una grande domanda: come si fa a rendere visibile l’esistenza degli invisibili?».
Dovrebbe essere la politica a migliorare le condizioni di lavoro di chi viene sfruttato. Pensa che questo film possa avere un impatto in tal senso?
«Non credo proprio. Ai politici interessa solo conquistare i voti della gente, di cui poi si dimenticano».
Secondo lei il suo lavoro di attrice è paragonabile a quello della giornalista? Esistono dei punti di contatto?
«Sicuramente sì, perché entrambe abbiamo bisogno di comprendere appieno le persone che ci stanno davanti per restituire la loro esperienza al pubblico. L’unica differenza è che l’attore deve sempre incarnarle, quindi questo pone la questione di quanto sia necessario vivere una situazione per poterla conoscere ed interpretare. In questo caso non ho passato mesi a pulire latrine e sistemare letti come ha fatto Florence, perché per fortuna ho un’età e un’esperienza di vita che mi permettono di trovare scorciatoie per accedere ai miei personaggi. In passato però mi è capitato di camuffarmi per entrare in un mondo e conoscerlo».
Quando?
«Per girare “Gli amanti del Pont-Neuf”, che ruota attorno alla storia d’amore di due persone che vivono in strada, ho fatto quella vita per un po’ di tempo per capire. E ho rischiato seriamente di essere stuprata».
Carrère ha una personalità forte, è uno scrittore magnifico, ma non si può definire certo un regista esperto. Dopo che l’ha delusa, com’è andato poi il vostro rapporto sul set?
«All’inizio ero un po’ rigida nei suoi confronti, ma poi abbiamo trovato una connessione molto forte a livello umano. Non è ingenuo, e subito mi ha detto: Juliette guarda, non so nulla della recitazione, quindi sarai tu che ti prenderai cura di tutte le attrici e degli attori non professionisti. Mi sono responsabilizzata ed è avvenuto un mutuo scambio: io ho fornito loro gli strumenti per recitare, loro hanno dato a me quelli per essere credibile nel mio ruolo. Poi Emmanuel ha scelto un eccellente direttore della fotografia, un ottimo compositore e un fantastico montatore. Si è circondato dei collaboratori giusti. Forse la regia non sarà il suo mestiere, ma ha un incomparabile senso del ritmo nella narrazione».
Come mai a Cannes, alla première di “Tra due mondi”, lei non c’era?
«Ero in Mississippi a girare il mio prossimo film, intitolato “Paradise Highway”, dove interpreto una camionista che per salvare il fratello deve portare a termine una spedizione e rimane sorpresa quando scopre che il pacco in realtà è una ragazzina di 12 anni».