Modaiola e arrogante, neoliberale e lontana dai suoi temi classici: salari, diritti, welfare. La tedesca figura di spicco del partito Die Linke, contro tutti: Verdi, intellettuali, persino i Fridays for future

Spocchiosi. Arroganti. Ossessionati dal politically correct. Persuasi di stare sempre dalla parte del Bene, e di ciò che fa bene al pianeta. Insomma, di essere i custodi della verità. Così Sahra Wagenknecht caratterizza il tipico rappresentante della sinistra liberale. A cui lei, vera star e figura di spicco di Die Linke, il partito della sinistra radicale tedesca, ha dedicato un libro controverso, un bestseller in Germania non a caso intitolato: “Die Selbstgerechten”, “I presuntuosi”. Ora l’editore Fazi l’ha tradotto con il più classico titolo di “Contro la sinistra neoliberale”, appena arrivato in libreria. Oltre 400 dense pagine in cui Wagenknecht fa una spietata critica «di tanta sinistra alla moda», inizia a dire accogliendoci nel suo ufficio al Bundestag, il parlamento di Berlino.

 

«Un tempo i partiti di sinistra si interessavano agli operai e ai più poveri della società. Oggi le sinistre neoliberali si rivolgono in particolare agli accademici e ai loro figli». Anche la narrazione dei partiti di sinistra è dunque cambiata. Il chiodo su cui oggi si batte sono le politiche dell’identità, il genere sessuale e la difesa delle minoranze, di ogni minoranza. «L’agenda dei partiti della sinistra neoliberale insiste sui temi della diversity, del linguaggio e delle minoranze, tutti temi certo rilevanti, ma che hanno poco o nulla a che fare con i problemi sociali ed economici dei lavoratori e del precariato. Che non per niente si sentono abbandonati dalla sinistra», insiste. Nata a Jena - nel 1969 - da papà iraniano, laureatasi alla Humboldt Universität di Berlino Est, con un bella tesi sul giovane Marx, Sahra è sposata dal 2014 con Oskar Lafontaine, l’ex ministro delle Finanze di Gerhard Schröder nonché ex presidente della Spd, che da anni è un altro carismatico leader di Die Linke.

Nel suo libro, oltre a smascherare le turbe della sinistra modaiola, se la prende con le teorie sulla sessualità di Michael Foucault e le elucubrazioni di Jacques Derrida che tanto ispirano i circoli accademici. E non lo fa solo perché si sente ancora marxista o per il gusto della provocazione. «Ma perché la nostra società è sempre meno solidale e attraversata da impermeabili muri mentali», come li chiama lei. Non sarà un tantino esagerato, e proprio a Berlino, parlare di «nuovi Muri»? «No», risponde lei con foga: «nei quartieri più alla moda di Berlino, i figli dei professionisti e dei nuovi ricchi non incontrano più quelli del precariato; vanno a scuole diverse e i meno abbienti li vedono solo quando gli portano la posta o la cena».

 

Una società insomma sempre più a compartimenti stagni. Divisa da un lato fra chi la globalizzazione la cavalca, come gli accademici e i loro pupilli «che vivono agiati e cullandosi nei loro stili di vita così verdi, ma vissuti come fossero dei dogmi, dei precetti autoritari». E, dall’altra, la larga fascia dei perdenti dell’era digitale, l’esercito del precariato e dei pensionati che, dopo aver sgobbato una vita, si ritrova a frugare nei cassonetti. Il resto, dalle crisi delle sinistre alla marea nera di destra che monta in mezzo mondo, è storia quotidiana.

 

In Germania ha fatto scalpore che Wagenknecht, ex capo frazione di Die Linke, si sia azzardata a criticare anche il movimento giovanile di Fridays for Future. «Al netto del loro impegno ecologico colpisce la loro cecità per i temi economici, la mancanza di empatia per i problemi sociali», spiega. Figuriamoci, lei è una che nel dicembre del 2018, per protesta contro il governo Merkel, si è presentata con un gilet giallo davanti alla cancelleria di Berlino. Nel libro in ogni caso la bastonata più sonora la prendono i Verdi, insieme ai liberali della Fdp ora nel governo “semaforo” del Kanzler socialdemocratico Olaf Scholz. «I Verdi incarnano tutta l’arroganza del ceto più agiato di sentirsi gli unici davvero responsabili delle sorti del pianeta», spiega: «E in questo loro dogmatismo verde e neoliberale possono anche diventare profondamente illiberali».

 

Già, ma quando è iniziata questa schizofrenia della sinistra, la perdita di contatto cioè con il mondo dei “Miserabili”, dei precari e disoccupati? «I primi passi della mutazione neoliberale la sinistra li ha compiuti con Gerhard Schröder, Tony Blair e Bill Clinton», puntualizza Wagenknecht: «con la sua Agenda 2010 Schröder ha smantellato le risorse del welfare in Germania, creando milioni di frustrati nel ceto medio e di lavoratori precari nei servizi, che non riescono più a sbarcare il lunario».

 

Il turbo-capitalismo poi, la perfetta sintesi fra le speculazioni a Wall Street dei colossi finanziari e i miliardi di utili ed utenti di Facebook & Co. a Silicon Valley, ha finito per bruciare ogni gestione politica da parte degli Stati nazionali. È il punto in cui il saggio della Wagenknecht si fa più spinoso. Quando cioè analizza come l’onda nera delle destre sia penetrata negli ex quartieri operai, conquistando uno dopo l’altro i feudi della sinistra. «Oggi di fatto i più disagiati non si riconoscono più nei partiti della sinistra neoliberale. E non vanno più a votare, o se lo fanno votano a destra».

 

Nel 2016 negli Usa non sono stati solo i bianchi e conservatori, ma milioni di delusi della sinistra ad affidarsi a un rabbioso miliardario come Trump. E se in Italia e in Francia l’estrema destra, guidata da Marine Le Pen o Giorgia Meloni, è già a un soffio dal potere, «qui in Germania abbiamo ancora fortuna se l’estrema destra di Alternative für Deutschland non ha politici carismatici o attraenti», nota. Altrimenti anche in Germania l’estrema destra avrebbe molti più voti del 10 per cento ora raccolto da Afd. Certo, dal dopoguerra a oggi partitelli e demagoghi d’estrema destra ci sono sempre stati in Europa. Ma mai con tutto il successo che hanno da quando, per dirla con Wagenknecht, «la sinistra si è fatta tanto neoliberale e presuntuosa insieme, rinchiudendosi nei dibattiti su gender e identità». E lasciando quindi le masse degli esclusi della globalizzazione a macerare nel brodo acido dei risentimenti, razzismi e fobie varie, sempre più facile preda dei pifferai di destra.

 

«Non è vero dunque che nel 21° secolo la gente abbia virato a destra. Dal punto di vista socio-economico le masse richiedono più salario, diritti e welfare, i classici temi cioè di sinistra. Peccato solo che i partiti di sinistra siano sempre più orientati a politiche e atteggiamenti neoliberali», aggiunge: «È un fatto che le garanzie del welfare, i sistemi sociali e sanitari funzionino solo all’interno di uno Stato nazionale. E non possono essere estese, ecumenicamente, a tutti senza pregiudicarne le prerogative». Come la gestione statale nell’emergenza-virus ha drammaticamente mostrato. Ma il tema più controverso di questa pasionaria della sinistra tedesca è un altro.

 

Nei talk in tv o dagli scranni del Bundestag di Berlino è sempre lei non certo a difendere Putin, ma a puntare il dito sull’espansione della Nato all’Est come motivo dell’orrida guerra sferrata contro Kiev dallo Zar di Mosca. «La guerra di Putin non è ovviamente giustificabile in alcun modo», precisa, «ma la Nato ha fomentato il conflitto con la sua espansione che non solo Putin, ma l’intero regime russo segnalava come pericolo per la stabilità in Russia. Sì, possiamo ripetere che la Nato non minaccia nessuno. Ma è stato intelligente provocare per anni una potenza atomica come la Russia con le strategie Nato?». Nel frattempo anche il titubante cancelliere Scholz ha consegnato panzer e armi pesanti all’esercito ucraino di Zelensky. «Ma consegnare altre armi all’Ucraina vuol dire prolungare la guerra e i massacri», sostiene lei: «L’unico modo di fermare i bombardamenti e aiutare l’Ucraina sono trattative diplomatiche con la Russia. Dal punto di vista militare l’Ucraina non può vincerla questa guerra». Piuttosto inutile allora il fondo da 100 miliardi che il cancelliere Scholz ha stanziato in fretta e furia per riarmare la Bundeswehr. «Certo che abbiamo bisogno di un esercito funzionante anche in Germania», commenta, «ma il governo Scholz aveva già stanziato 50 miliardi per la Bundeswehr. Persino l’opposizione della Cdu ora si chiede come il governo spenderà questi altri 100 miliardi».

 

Fin qui le analisi e le critiche pungenti alla sinistra neoliberale di Sahra Wagenknecht, elegantissima icona della sinistra dura e pura. Peccato che il 15 maggio scorso si sia votato nel Nordreno Westfalia, il più grande dei 16 Länder tedeschi. E Die Linke abbia raccolto appena il 2 per cento dei voti. «Un’altra catastrofe per la sinistra, una parte del nostro partito è per dare più armi all’Ucraina. Un’altra contro. Una parte è per più welfare, un’altra per più ecologia. Litighiamo e siamo divisi su tutto, e finché lo saremo perderemo le elezioni». Il morbo del cannibalismo, si sa, è l’eterna malattia della sinistra. E i pifferai di destra ringraziano.