Ha raccontato il Novecento. Ora, Dan Diner torna al conflitto da una prospettiva nuova: da Sud verso Nord

Cominciamo con un viaggio. Nel 1942, in piena guerra mondiale, a New York si svolge una conferenza del movimento sionista che vedrà la definitiva ascesa alla leadership di David Ben Gurion. Non ci interessano i dettagli di quella storia. Ci interessa, invece, l’itinerario del viaggio di ritorno dagli States nella Palestina britannica di quell’uomo che nel 1948 avrebbe fondato lo Stato d’Israele. A Ben Gurion venne concesso di spostarsi in aereo. Ci mise due settimane per raggiungere Tel Aviv, via Brasile, Ghana, Sudafrica, India, Sudan. Quell’esempio, che ricaviamo dal libro “Tutta un’altra guerra. Il secondo conflitto mondiale e la Palestina ebraica (1935-1942)”, scritto da Dan Diner e in uscita per Bollati Boringhieri, fa capire come cambia la memoria e la visione (geografica) del mondo, assieme alle guerre e alle svolte politiche radicali.

 

Questo lungo saggio, scritto ben prima della guerra in Ucraina - che sancisce la fine dell’ordine scaturito, appunto, dal secondo conflitto mondiale - aiuta a comprendere quello che succede oggi fra Mosca e Kiev, non perché affronta il tema (non lo affronta) ma perché spiega la casualità degli eventi, la loro imprevedibilità, il fatto che è la contingenza a determinare le scelte politiche così come spesso dalla contingenza nascono i miti fondativi. Insomma è nel metodo il fascino del libro.

 

Diner, storico tedesco-israeliano, autore di “Raccontare il Novecento”, dove guardava l’Europa dalla prospettiva dell’Est, qui inquadra la seconda guerra mondiale non con al centro l’Oceano Atlantico né quello Pacifico, ma partendo dall’Oceano Indiano. Perché quell’Oceano? Perché lì si giocano le sorti dell’Impero Britannico. E così, la lettura, trascinante, che ci viene proposta è quella della guerra vista da Sud verso Nord. Cambiato il (tradizionale) punto di vista e indagando su questioni logistiche, scopriamo cose sorprendenti. Intanto che le guerre erano più di una. Per gli inglesi, l’emergenza cominciò fra fine 1935 e inizio 1936, quando successero due cose, in parallelo. La prima, la rivolta araba in Palestina. La seconda, l’invasione italiana dell’Etiopia. Erano due eventi che mettevano in pericolo le linee di comunicazione di un Impero che comprendeva India e Mesopotamia, fino a Sudafrica e Australia. E ancora, la Palestina subì, fra il 1940 e il 1941, bombardamenti italiani e tedeschi, specie la città di Haifa (ma anche Tel Aviv) sede di raffinerie dove arrivava il petrolio da Bassora. Quei bombardamenti non fanno però parte delle memoria israeliana. Ma ecco, se oggi sappiamo che Haifa in Israele è vicinissima alla greca Rodi, ai tempi Haifa faceva invece parte dello stesso mondo di Bombay, mentre Rodi era vicina ad Auschwitz, dove finirono nel 1944 i suoi ebrei. La Palestina infatti era il confine nord occidentale dell’Impero.

La difesa di quel confine da parte degli Alleati e la sconfitta delle potenze dell’Asse ad El Alamein ha fatto sì che agli ebrei della Palestina venne risparmiato il destino di quelli di Rodi (anche se in Palestina avrebbero combattuto). E si potrebbe continuare con altre vicende, ma ne menzioniamo una sola: la battaglia di Stalingrado. Perché la difesa di quella città fu così importante per Stalin? Simbolo? Mito? Anche. Ma prima di tutto, perché da lì passavano i massicci rifornimenti (da Sud, dall’Iraq e via Iran) delle armi che gli americani mandavano ai sovietici. Infine, fra le guerre, ci sono anche quelle dei movimenti nazionalisti che in Asia si opponevano ai britannici. E Diner fa tornare a galla simpatie rimosse: per i giapponesi, per lo più. Ma, lo ripetiamo, il saggio non parla di ideologie. Scompone, invece, una Storia per dire: erano più storie.