L'importanza di un'arte che parli a tutti, il ruolo di Torino come città aperta al nuovo, la Pista 500 metafora perfetta di tutti i cambiamenti. Dialogo con la direttrice della Pinacoteca Agnelli

Produzione, lavoro, ripetizione. C’è un artista che, rielaborando l’idea della catena di montaggio, ha concepito il suo universo artistico in termini di loop e di processi interconnessi. Ispirandosi alla città italiana che più di altri ha creato nel tempo legami tra uomo e fabbrica, opera e tecnica: Torino. Proprio nella capitale sabauda approda il tedesco Thomas Bayrle, che per oltre sessant’anni si è lasciato affascinare dall’estetica delle merci, dei prodotti in serie, del ruolo dell’operaio. Per Bayrle «la ripetizione è alla base della profonda interdipendenza tra l’individuo e la collettività nella nostra società, reiterazione presente anche nei meccanismi che animano il lavoro, la finanza, lo spostamento di merci e di persone, il tempo libero, il sesso e perfino la spiritualità», spiega Sarah Cosulich, direttrice della Pinacoteca Agnelli e curatrice della mostra “Form Form SuperForm” (aperta fino al 2 aprile del 2024), una retrospettiva che riunisce i tanti lavori dell’artista, gigantesche immagini fatte da un’infinità di miniature: dai suoi famosi pneumatici a parete agli intrecci di strade e di vie che ricordano flussi finanziari ma anche codici genetici e algoritmi; dai loghi, i messaggi pubblicitari, i veicoli di marketing più pop al racconto del turismo di massa, attraverso gigantografie costituite di minuscole ripetizioni dello stesso soggetto.

 

Arte contemporanea sul solco della nuova identità che Cosulich ha voluto dare a un luogo emblema della storia della città ma anche della sua l’evoluzione: dall’immaginario vintage della Torino operaia al dinamismo della contemporaneità: capitale dell’arte italiana più giovane, capace di mettere in rete i suoi musei, le sue piazze, le sue rassegne, i suoi ex spazi industriali rinnovati. Come è evidente ogni anno in occasione di Artissima, la più importante fiera del contemporaneo nel nostro Paese, che dà la linea a un’intera art week, chiamando a raccolta fondazioni e piccoli musei, gallerie e teatri, luoghi istituzionali, cortili, palazzi pubblici e privati, spazi di sperimentazione e di creatività.

 

L’installazione di Julius von Bismarck, “Die Mimik der Thetys” sulla Pista 500

 

«La Pinacoteca Agnelli non è un museo vero e proprio», continua Cosulich: «Ha una collezione storica del Settecento, dell’Ottocento e del Novecento di fondamentale importanza, che comprende artisti come Picasso, Matisse, Canaletto, Canova, Balla. Però ha anche una missione contemporanea, affidata alla rivisitazione di queste opere da parte di artisti di oggi». A questa idea risponde il progetto “Beyond the Collection”, alla terza edizione  affidato all’artista inglese Lucy McKenzie: “Vulcanizzato”, curato da Lucrezia Calabrò Visconti, ha messo in dialogo due gessi di Canova con una serie di nuove opere pittoriche e scultoree sui temi della femminilità, della bellezza, della possibilità per le donne di uscire da uno spazio domestico per entrare a pieno titolo in quello pubblico.

 

Ma è soprattutto in Pista 500, l’ex pista di collaudo delle automobili Fiat, due rampe elicoidale all’estremità del Lingotto diventate con le sue opere a cielo aperto emblema di arte pubblica, che si dispiega il progetto più contemporaneo: «La Pista 500 prevede commissioni specifiche, attraverso le quali gli artisti si confrontano con l’idea di fabbrica, con il paesaggio, con le questioni del lavoro, con le lotte femministe», nota Cosulich: circuito con le installazioni di Shirin Aliabadi, Nina Beier, Julius von Bismarck, Liam Gillick, Nan Goldin, Shilpa Gupta e molti altri, che diventa giardino, stupefacente anche dal punto di vista botanico: «Da questo posto che richiama inesorabilmente l’High line di New York - che però è una strada, questo è un circuito chiuso -  si ammira la città da una prospettiva speciale. È un luogo che parla del fascino antico di Torino, ma con uno sguardo internazionale».

 

Quassù si respira velocità: quella che affascina Bayrle, la velocità dell’automobile, simbolo di movimento e energia, status symbol e prodotto di massa; la velocità dei motori delle macchine che diventano macchine meditative, «dove il rumore e il movimento sono sincronizzati con il suono delle preghiere registrate in chiesa o di voci famose come quella di Edith Piaf», fa notare Cosulich: «Il Lingotto, progettato dall’ingegnere Giacomo Matté Trucco nel 1915, era simbolo di modernità per la sua architettura che univa la funzionalità all’utopia. Bayrle ne è sempre stato affascinato: il battito regolare della catena di montaggio, il movimento circolare delle auto ne hanno permeato il lavoro, come una colonna sonora della sua arte».

 

Khalil Rabah alla Fondazione Merz

 

E velocità trasmette la stessa Cosulich: triestina, studi negli Stati Uniti, ex direttrice di Artissima e della Quadriennale di Roma (“Fuori”), a Torino ha scompigliato subito le carte: ha abbassato la “a” del cognome Agnelli nel nuovo logo («la minuscola dà un'immagine più dinamica, rispecchia l’idea delle curve della pista e di uno spazio più accogliente»). Ha proseguito facendo propria l’opera al neon dell’artista svizzera Sylvie Fleury sul tetto della Pinacoteca, “Yes to all”: «La frase che ci si presenta quando scarichiamo on line le condizioni della privacy: accetta tutto. È un’espressione che parla di inclusività e di apertura». Ha rinnovato da zero e ampliato il suo staff, tutto di donne. E ha puntato su mostre di artiste, come quella su Lee Lozano, “Strike”, ora in tour in Francia, la prima in Italia dedicata all’artista visiva e concettuale americana. «Un anno e mezzo fa, quando ho cominciato a lavorare qui, mi sono resa conto che questo era sempre stato un posto di uomini: quelli della fabbrica, gli uomini intorno alle automobili, ma anche i grandi artisti maschi. Da direttrice ho sentito la responsabilità di riequilibrare le cose e dare attenzione ad artiste ignorate per secoli».

 

Senza tradire l’identità del luogo: «Non m’importa fare mostre tanto per farle: le esposizioni devono avere un senso per il luogo che le ospita». Un’opera del patrimonio artistico degli Agnelli, sparito e conteso dagli eredi, che le piacerebbe avere qui? «Io parlo da direttrice della collezione permanente che Gianni Agnelli ha donato alla città attraverso la Fondazione Pinacoteca, non parlo della collezione privata di una famiglia». E sulle trasformazioni che i musei stanno vivendo è altrettanto netta: «Generosità e accessibilità devono essere le parole d’ordine. Non dare le cose per scontate, ma fornire gli strumenti di comprensione senza chiudersi dietro l’elemento un po’ criptico della contemporaneità, ma aiutando tutti ad avvicinarsi all’arte senza timore». Soglia da far attraversare ai più giovani: «Spesso sento dire dagli insegnanti che non portano gli studenti a un museo d’arte contemporanea perché i ragazzi non sono in grado di capirla: non colgono l’arte antica, dicono, figuriamoci quella di oggi. Ragioniamo al contrario: educhiamoli cominciando dal contemporaneo, che parla di temi che conoscono, con un linguaggio a loro vicino. Sono pronta a scommettere che arriveranno da soli a voler indagare la storia dell’arte».